UNO STORICO GIORNALISTA O UN GIORNALISTA STORICO?

Sono quasi certo che il mio amore per il giornalismo sia nato grazie a lui. Leggevo i suoi articoli, i suoi libri, lo seguivo nelle sue trasmissioni televisive e mi affascinava il suo modo di scrivere e di parlare. Intellettualmente onesto, tranquillo, pacato, pungente e pieno di una sagacia che a volte sfociava in una forma di umorismo pungente. Ricordo perfettamente una sua storica battuta:“...A Milano gli affari si fanno con un colpo di telefono, mentre a Palermo gli “affari” si concludono con un colpo di lupara”. Un narratore di gran classe. Non so cosa avrei pagato per conoscerlo personalmente. Pur di incontrarlo, ho passato ore in galleria dove sapevo avesse il suo studio privato. Non sono mai riuscito ad incrociarlo fino a quando una collega mi comunica che al circolo della stampa, in corso Venezia, il dottor Biagi dovesse presentare un suo nuovo libro. Decisi che per l’occasione avrei potuto quantomeno incontrarlo. Da bravo meridionale riuscì ad arrivare in ritardo. In una sala gremita di gente che lo applaudiva trovai un posto in piedi in fondo alla sala. La presentazione stava per volgere al termine e riuscì a malapena a cogliere una sua simpatica battuta che provocò l’ilarità tra gli ospiti. Ironizzando sulla distrazione di un suo collega presente in sala, raccontò che quest’ultimo era così “imbambolato” da pensare che la “cedrata” fosse un’opera minore del ”Tassoni”. Risate e applausi a scena aperta. Classico umorismo romagnolo. Nella ressa generale lo vidi andar via senza nemmeno potergli stringere la mano. Una sera d’autunno di alcuni anni fa mi ritrovai a cenare, da solo, in un ristorante nel Modenese, quando notai ad un tavolo poco distante dal mio un volto che mi sembrava avere già visto da qualche parte. Riconobbi il “maestro” del giornalismo. Chiesi al cameriere conferma e mi venne detto che il signore in questione era, appunto, Enzo Biagi, oltretutto loro cliente abituale. Lo stesso cameriere mi intimò di non importunarlo durante la cena sapendolo piuttosto schivo e riservato. Mi consigliò che sarebbe stato meglio raggiungerlo all’uscita o nell’area parcheggio vista la caratura del ristorante. Solamente allora capì che vista la classe del posto anche il mio conto sarebbe stato al top. Più falso dei soldi del monopoli finsi di andare in bagno. Notai che stava gustando una minestrina in brodo accompagnata da un bicchiere di lambrusco. Non era da solo; lo accompagnava una anziana signora che immaginai fosse stata la sua la sua segretaria. Una simile occasione non mi sarebbe mai più capitata. Avevo la mani sudate per l’emozione e decisi di farmi coraggio e chiedergli l’autografo. Mal che vada, pensai, mi butteranno fuori dal locale per aver disturbato i clienti. All’uscita dal bagno mi accorsi che al suo tavolo vi era un’altra coppia. Si trattava del proprietario del locale, il maestro Luciano Pavarotti accompagnata dalla signora Nicoletta Mantovani. Ero nell’olimpo delle star. Decisi di lasciar perdere, mentre, per la rabbia,continuavo a rodermi il fegato. Pur di sedere al suo tavolo sarei stato pronto a commettere qualsiasi efferatezza. Guardavo questi personaggi come una tenn ager dei tempi nostri potrebbe guardare Vasco Rossi o Laura Pausini. Mi sarebbe bastata una loro stretta di mano per vivere un attimo di protagonismo ed essere felice.Per “pura casualità”, decidemmo di uscire dal ristorante “quasi” contemporaneamente. Pagai il conto, mi infilai l’impermeabile, mi guardai intorno e notai che sul tavolo del dottor Biagi, un tovagliolo mal ripiegato sembrava nascondesse qualcosa. Potrebbe essere l’occasione buona per raggiungerlo, pensai, e “eventualmente” restituirgli quanto da lui dimenticato. Mi fiondai verso il suo tavolo e notai che “qualcuno” poteva aver dimenticato qualcosa.
Si trattava di un libro dal titolo: “Enzo Ferrari -the drake-: l’uomo che inventò il mito del cavallino rampante”. Scritto dallo stesso Biagi e edito dalla Biblioteca Universale Rizzoli. Lo sfogliai e vi trovai una dedica con firma autografa. Istintivamente lo presi e lo nascosi sotto il mio impermeabile. Ero indeciso se restituirlo o tentare una appropriazione indebita. Rallentai il passo sperando di non raggiungerlo. Al parcheggio arrivai giusto in tempo per vederlo andare via. Memore di alcuni esami di diritto civile considerai il corpo del reato “res nullius” o “res derelicta”.
Finalmente ero entrato in possesso di un suo autografo. A distanza di anni, considero l’eventuale “reato” caduto in prescrizione, diversamente sarei pronto a pagarne le conseguenze pur di non restituire il maltolto. Questo volumetto lo conservo, ancor oggi, gelosamente nella mia libreria e lo mostro a pochi amici quasi fosse un “trofeo” di caccia. La dedica non mi appartiene, ma la sua firma sì! Sono rammaricato per il maltolto...ma non pentito! Vorrei semplicemente precisare che il vero destinatario del volumetto non è più tra noi. Che Dio gliene renda merito.
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