UN APPROCCIO TECH ALL’INSTITUTIONAL DESIGN (PARTE I)

Nella teoria di Fuggetta innovazione tecnologica, solidarietà e crescita economica operano insieme nella promozione dello sviluppo umano e sociale

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Il volume intitolato “Il paese innovatore. Un decalogo per reinventare l’Italia” scritto da Alfonso Fuggetta è stato pubblicato nel 2020 dall’editore Egea a Milano. Il l libro, di 188 pagine, è composto da una introduzione e tredici capitoli, con il vero e proprio decalogo che viene posto dall’autore tra il secondo ed il terzo capitolo. I capitoli sono indicati di seguito: “Dov’è lo Stato?”, “Lo Stato al Centro?”, “La Produzione del Valore”, “I Confini dell’Azione dello Stato”, “Formazione e Istruzione”, “Innovazione e Imprese”, “La Ricerca”, “Innovazione e Amministrazioni Pubbliche”, “Norme e Regole per l’Innovazione”, “Infrastrutture di Rete”, “Pari Opportunità”, “Procurement Pubblico”, “E Adesso?”. Esaminiamoli uno ad uno.

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Dov’è lo Stato? L’autore apre il libro passando in rassegna un insieme di eventi che hanno manifestato l’assenza dello Stato italiano come, per esempio, il caso della strage di Capaci, la dismissione dell’impianto siderurgico a Bagnoli, il ponte Morandi, l’Ilva di Taranto, il malaffare dei privati, la mancanza di lavoro. L’autore, infine, critica l’idea che lo Stato possa essere la soluzione di ogni problema e richiama alla centralità dell’attivismo della popolazione per creare non uno Stato innovatore quanto piuttosto un “Paese Innovatore”.

Lo Stato al Centro? In questo capitolo l’autore presenta tre diverse definizioni di Stato, ovvero:

  • Stato imprenditore/innovatore: fa riferimento ad una definizione che è stata introdotta nel libro “Lo Stato innovatore” dell’economista Marianna Mazzuccato. L’autore critica fortemente questo approccio considerandolo dirigistico, verticistico, gerarchico e quasi-totalitaristico. Una delle motivazioni che portano l’autore a criticare tale definizione di Stato consiste nella scarsa fiducia nella classe politica e dirigente italiana.
  • Stato giudice e vindice: fa riferimento alla speranza che i cittadini hanno che lo Stato possa intervenire per porre fine alle ingiustizie, tragedie e diseguaglianze che caratterizzano la popolazione. Tuttavia, l’autore critica questa idea sostenendo che lo Stato di diritto non può essere associato ad una visione vendicativa dell’azione pubblica.
  • Stato pianificatore: è l’idea dello Stato come pianificatore e gestore dell’economia privata. Tale visione viene proposta in genere in presenza di fallimenti del mercato oppure in caso di evidenti inefficienze riscontrate nella capacità di aziende di produrre servizi e prodotti di pubblica utilità. L’autore critica questa idea ritenendo che sia inadeguata alle necessità di uno Stato e di una economia orientati all’innovazione.

Il capitolo si conclude con l’idea che lo Stato è solo una componente del “Paese Italia”. Per attivare i processi di innovazione tecnologica è necessario fare leva sul “Paese Italia” piuttosto che sullo Stato italiano.

Il decalogo del paese innovatore. Tra il secondo ed il terzo paragrafo viene inserito il “Decalogo del paese innovatore”, ovvero l’insieme dei dieci interventi che l’autore ritiene necessari per orientare l’economia italiana verso un percorso di innovazione tecnologica. Il decalogo viene di seguito sintetizzato:

  1. 1. Preferire la produzione alla redistribuzione di valore e ricchezza;
  2. 2. Fare in modo che lo Stato faciliti la capacità di innovazione delle imprese senza sostituirsi o sovrapporsi ad esse;
  3. 3. Aumentare il livello del capitale umano;
  4. 4. Lo Stato può promozionare l’innovazione delle imprese attraverso l’attività normativa, favorendo la cooperazione tra imprese ed istituzioni;
  5. 5. Lo Stato deve sostenere finanziariamente la ricerca scientifica;
  6. 6. La PA deve ridurre gli adempimenti burocratici richiesti ai cittadini;
  7. 7. Lo Stato deve agire a livello internazionale per la promozione della ricerca e innovazione;
  8. 8. Il paese deve investire nelle infrastrutture digitali;
  9. 9. Lo Stato deve essere solidale verso i cittadini in difficoltà;
  10. 10. Lo Stato può orientare l’innovazione attraverso la domanda di servizi e prodotti di qualità.

La produzione di valore. In questo capitolo l’autore mette in campo le sue convinzioni circa la predominanza della produttività sui meccanismi di redistribuzione. Fuggetta critica, inoltre, l’idea di decrescita felice pure esprimendo solidarietà per la generazione dei delusi dall’assenza dell’ascensore sociale. La questione della solidarietà ai più deboli viene considerata anche in connessione con la sostenibilità ambientale. Il reddito di cittadinanza e quota 100 vengono criticati come strumenti assistenzialistici più che assistenziali. Per ristabilire l’ascensore sociale l’autore ritiene sia necessario puntare su meritocrazia, diritto allo studio, ricerca e innovazione. Tuttavia, occorre anche evitare lo spreco di risorse come quelle, per esempio, impiegate per salvare Alitalia. L’autore è contrario alla patrimoniale come strumento redistributivo.

I confini dell’azione dello stato. Vengono analizzati i limiti dell’azione pubblica in relazione al mercato. Talune attività vengono lasciate in via esclusiva al mercato ed al privato, in special luogo la produzione di valore aggiunto, di prodotti e di servizi. Tuttavia, vi è una critica svolta al fatto che lo Stato controlla, direttamente o indirettamente, circa il 50% del PIL italiano. Per migliorare l’efficienza dello stato è necessario puntare sulla qualità delle classi dirigenti meno estrattive e più risk-oriented. La pratica del nudging è promozionata come essenziale all’efficientamento dell’azione pubblica dello Stato nell’economia. Uno strumento rilevante per promozionare crescita e sviluppo consiste nella creazione di patti territoriali guidati dalla Regione ed in grado di mettere insieme il pubblico ed il privato come nel caso del modello dell’Emilia Romagna. Per sostenere l’economia lo Stato dovrebbe agire attraverso due canali: migliorare la regolamentazione, aumentare i finanziamenti rivolti all’innovazione, sia direttamente mediante i trasferimenti monetari alle imprese, sia indirettamente mediante l’utilizzo della domanda di mercato. L’autore conclude il capitolo facendo riferimento alla necessità di puntare sulle politiche industriali che attraverso il miglioramento della ricerca, sviluppo e dell’innovazione possono aumentare la capacità delle imprese di produrre valore aggiunto orientando il paese verso la crescita economica.

Formazione e Istruzione. In questo capitolo l’autore affronta il tema del capitale umano come strumento necessario per la crescita economica, l’innovazione e lo sviluppo umano. Una delle motivazioni che sono necessarie per sostenere l’investimento nella formazione e nell’istruzione consiste nel cambiamento del lavoro indotto dalle nuove tecnologie. La tendenza delle aziende potrebbe essere quella a richiedere una formazione professionale nelle scuole superiori per avere dei lavoratori a basso costo. Tale scelta potrebbe però essere sostanzialmente errata per gli studenti stessi che potrebbero essere esposti alla variabilità del mondo del lavoro senza una solida formazione e costretti ad adattare le loro skills periodicamente nella precarietà. L’autore consiglia di puntare sulla formazione con le discipline STEM. Tuttavia, occorre anche che le imprese si facciano carico della formazione dei lavoratori. Fuggetta sostiene che il lavoratore deve avere una duplice formazione, ovvero deve essere da un lato specializzato, e sopra questa specializzazione deve creare una dimensione multidisciplinare anche attraverso le soft skills e le abilità comunicative e relazionali. Fuggetta ritiene che le università italiane siano mediamente buone: anche se si pongono al di fuori della top 5% mondiale, esse sono comunque ben rappresentate nella top 1000. Ritiene che lo Stato debba investire nella formazione e che le istituzioni universitarie presenti, soprattutto nelle materie STEM, siano insufficienti rispetto ai bisogni espressi dalle imprese e dalle istituzioni pubbliche. L’informatica, inoltre, non deve essere intesa soltanto come una materia di insegnamento attraverso il coding e la dimensione computazionale, quanto piuttosto deve essere anche intesa come uno strumento didattico. Inoltre, l’applicazione delle nuove tecnologie alla didattica online, attraverso le MOOC-Massive Online Open Courses-platform, ha posto al sistema universitario delle sfide assai rilevanti per fare in modo che vengano utilizzate delle nuove tecnologie. Le università, quindi, devono essere in grado di operare sia nell’online che attraverso l’on site. Tuttavia, il mercato del lavoro appare ancora ampiamente inefficiente per l’assorbimento del capitale umano anche qualificato.

Anche l’edilizia scolastica è ampiamente inefficiente e sottodimensionata, soprattutto nel confronto con i paesi anglosassoni. L’autore sottolinea come la “cultura digitale” non può essere più considerata come una dimensione terza rispetto a quelle che sono le caratteristiche e i bisogni dei cittadini.

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Innovazione e imprese. L’autore affronta il tema del design delle politiche economiche necessarie per accompagnare le imprese nell’attività di innovazione tecnologica. Viene riportato il caso di Delcon, un’azienda milanese operante nel settore della telemedicina che nonostante le piccole dimensioni e grazie alla partnership con il centro Cefriel è riuscita ad esportare negli USA.

L’autore considera la distinzione tra innovazione e ricerca. In questo senso vengono sintetizzati i passaggi di “Technology Readiness Level” previsti dall’Unione Europa in grado di rappresentare il passaggio dalla ricerca all’innovazione tecnologica. Ovviamente le imprese per innovare devono attivare al proprio interno un insieme di strutture che siano in grado di sostenere i processi creativi, come per esempio forum di discussione, sessioni di brainstorming, seminari e inspiring talks, scouting, call for ideas, hackathon, experimental e demo lab, specialized team, task force, innovation pod, corporate venture capital, partnership. Inoltre, è necessario che vengano attivate anche delle reti che possano essere utilizzate dalle imprese per l’innovazione tecnologica, come per esempio università e centri di ricerca, spin-off e start ups, incubatori e acceleratori, business angel, venture capital, private equity, TIC-Technology Innovation Center. Nello specifico l’autore si sofferma sui TIC-Technology Innovation Centers, sottolineando che vi sono almeno 3 diverse metodologie per la governance dei TIC:

  • Struttura operativa autonoma;
  • Struttura di brokering e PM;
  • Piattaforma di servizi.

Tra le tre forme l’autore sembra preferire la struttura operative autonoma. Tuttavia, non tutte le imprese possono innovare. Ci sono dei limiti che riguardano per esempio le dimensioni aziendali, la patrimonializzazione, l’orientamento all’esportazione, il turnover ed il clima aziendale. L’autore nota in ogni caso che la riduzione della produttività delle imprese italiane si è venuta a creare a partire dagli anni ‘90 come conseguenza dell’incapacità delle aziende di utilizzare l’innovazione tecnologica, ovvero soprattutto la scienza informatica, come uno strumento di governance delle aziende. In seguito, l’autore si riferisce all’idea della co-opetition, ovvero della necessità da parte delle aziende e delle istituzioni impegnate nella ricerca e sviluppo di operare sia attraverso la competizione che attraverso la cooperazione per raggiungere obbiettivi sistemici di più ampio respiro. Infine, con riferimento alla questione del finanziamento della Ricerca e Sviluppo, l’autore si riferisce la possibilità da parte dello Stato di utilizzare lo schema dei bandi e dei grant dello European Research Council.

Angelo Leogrande

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