Un sorriso di troppo
Omicidio in riva al Po
Impossibile non rabbrividire alla luce delle rivelazioni trapelate nelle ultime ore riguardo l’omicidio di Stefano Leo. La mattina del 23 febbraio, il giovane commesso, impiegato presso un negozio di abbigliamento nel centro di Torino, passeggiava come di consueto lungo la riva del Po, ignaro di quel che sarebbe accaduto di lì a poco. Said Machaouat attendeva con ansia l’arrivo della vittima perfetta per sfogare i propri impulsi. Dopo essersi costituito, infatti, il marocchino ha confessato: "Non so nemmeno io chi aspettassi, volevo uccidere una persona, la cui morte avrebbe avuto una certa risonanza". L’aria felice del giovane e quel sorriso sul volto, sono stati gli elementi cruciali per la scelta dell’assassino, profondamente turbato dall’apparente serenità di Stefano. Secondo quanto stabilito dagli accertamenti, sembra che l’omicida soffrisse di una profonda forma di depressione, scaturita a seguito della prima separazione con l’attuale ex-moglie, ma sopratutto alimentata dall’impossibilità di poter riabbracciare suo figlio, avuto successivamente con una giovane torinese, la cui vicinanza e affetto per il nuovo compagno della donna hanno scatenato la sua ira.
L’arma del delitto è stata ritrovata nascosta in una cabina elettrica in piazza d’Armi: Said ha fornito tutte le indicazioni necessarie, raccontando di essersi procurato un set di coltelli per pochi soldi la mattina stessa dell’omicidio, sbarazzandosi subito di tutti gli altri e tenendo stretto a sé solamente quello che gli è parso più adeguato per attuare la premeditata follia. Colpito ferocemente alla gola, Stefano si è trascinato fino alla gradinata più vicina, spegnendosi poco dopo, soffocato nel sangue. Un gesto connotato da pura illogicità che fornisce ampi e raccapriccianti spazi di riflessione sulla direzione verso la quale il mondo si sta rivolgendo. Delitti efferati e agghiaccianti si sono perpetrati nel tempo, ma mai tanta irrazionalità era stata sfiorata: sconvolgente l’assenza di un movente effettivo da parte dell’assassino. La casualità delle circostanze risulta spaventosa e inspiegabile. Nessuna giustificazione è accettabile per le azioni del ventisettenne, la cui condizione di salute mentale precaria si sarebbe potuta rilevare con un minimo di attenzione in più, attraverso la messa a disposizione di servizi utili al supporto e al sostegno.
L’uomo si è recato dai carabinieri, costituendosi poche ore dopo la marcia organizzata dal padre e dagli amici di Stefano, desiderosi di far luce sul misterioso delitto, ancora irrisolto dopo cinque settimane. Sentendosi braccato e con la volontà di "non combinare altri guai", Said ha deciso di consegnarsi e rivelare la sua colpevolezza. Una tragedia che forse si sarebbe potuta evitare, se solo vivessimo in una società che sostenga e trasmetta, concretamente, valori legati alla dimensione della cura e rispetto per l’altro, e non soltanto a livello puramente teorico e astratto. Dopo i tanti viaggi, tra Giappone, Cina e Australia, certamente Stefano, in pace con se stesso e con il mondo, non poteva aspettarsi di trovare la morte proprio dietro l’angolo di casa.
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