Una “questione morale”
Le aggressioni ai medici e il valore della vita umana

L’episodio di Palermo, che vede protagonisti due genitori colpiti dalla prematura morte del figlio neonato, ci induce a una riflessione su quanto ci sta accadendo e sulla concezione che abbiamo della nostra e dell’altrui vita.
Il piccolo, venuto al mondo a sole 30 settimane di gestazione, era affetto da una grave patologia tumorale. I medici hanno provato a rimuovere la neoplasia con un intervento di emergenza, ma il neonato non ce l’ha fatta. A quel punto è scattata l’ira dei genitori, che hanno massacrato di botte i sanitari.
Attribuendo poteri miracolosi alla scienza, si è portati a non accettare il fallimento dei medici, i quali talvolta devono arrendersi davanti a situazioni critiche e spesso irrisolvibili. D’altra parte, non accettando la morte dei propri cari, si reputa che l’altrui esistenza abbia uno scarso valore: per questo, spesso, gli episodi di violenza provocano conseguenze drammatiche.
Quanto accaduto a Palermo non è un episodio isolato: sono sempre più frequenti gli assalti ai pronto soccorso o ai reparti ospedalieri ad opera di parenti di ammalati deceduti per cause il più delle volte indipendenti dall’operato dei medici.
È pur vero che, in alcuni casi, l’errore umano è la causa di episodi di malasanità; in questa evenienza, tuttavia, vi sono organi preposti - il Tribunale del malato e la Magistratura - a cui occorre affidarsi.
Il circolo vizioso che viene a crearsi a danno del paziente vede il medico gravato da uno stato d’ansia continuo, che gli impedisce di svolgere serenamente il proprio operato. Ne risente anche l’ammalato (o i suoi familiari), che non accetta la fallibilità delle persone che svolgono questa professione densa di responsabilità.
La morte, specie se quella di un bambino, è un evento drammatico ed inaccettabile, sebbene sia essa strettamente collegata alla vita. Se imparassimo ad accettare il valore del dono che riceviamo al momento della nascita, comprenderemmo che ogni reazione violenta è sempre e comunque da condannare, che l’uomo in quanto tale è fallibile e che nessuno è esente da errori.
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