VENEZUELA, A RISCHIO IL SECONDO MANDATO DI MADURO

Si aprono gli interventi internazionali

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Il mandato del presidente venezuelano Nicolas Maduro, della durata di 7 anni, sembra dover volgere al termine. Ufficialmente la vittoria ottenuta alle ultime presidenziali, svoltesi lo scorso maggio , supportata da una vasta maggioranza del 67,7 % , corrispondente circa a 5,8 milioni di voti, gli permetterebbe di prolungare il suo mandato fino al 2025.

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A porre in essere l’incertezza della ripetizione nell’assegnazione dell’incarico presidenziale a Maduro è la posizione acquisita dal Gruppo di Lima, organizzazione intergovernativa che riunisce i governi di tutti gli stati del continente americano, la quale ha espresso la volontà di non riconoscere la legittimità dell’eventuale instaurazione di un nuovo governo Maduro a causa delle evidenti irregolarità che hanno caratterizzato l’ultima campagna elettorale, sprovvista di trasparenza e dunque di qualsiasi valenza di tipo democratico. Il processo elettorale, come denunciato in seguito allo scrutinio dalle forze di opposizione, si sarebbe sviluppato in un clima di intimidazioni e compravendita dei voti, basti pensare agli stand del partito socialista fuori dai seggi dove venivano schedati i simpatizzanti del partito dopo aver promesso loro un compenso di 10 milioni di bolivares (il corrispondente di 10 stipendi minimi) come ringraziamento per il loro supporto.

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Altre irregolarità si registrebbero sui dati dell’affluenza alle urne. Ipartiti antichavisti infatti avevano incitato nel corso della loro campagna, all’astensione, per il timore che in assenza di arbitri indipendenti quali gli osservatori internazionali non si sarebbero avute le garanzie sufficienti per favorire i presupposti di regolarità del processo. Sarebbero meno di un terzo infatti , gli aventi diritto che secondo i dati forniti dalla contro informazione , si sono presentati realmente alle urne. Tredici i paesi del Gruppo di Lima che si oppongono alla rielezione di Nicolas Maduro: Argentina, Brasile, Canada, Cile, Colombia, Costa Rica, Guatemala, Guyana, Honduras, Panama, Paraguay, Perù e Santa Lucia, l’unico a non esprimersi è il Messico, in linea con la politica di non ingerenza del presidenteAndrés Manuel López Obrador. I ministri degli esteri dei paesi appena nominati avrebbero sottoscritto a Lima un documento nel quale ufficializzano il loro non riconoscimento del suddetto risultato elettorale, il cui processo "non si è basato sulle garanzie e gli standard internazionali necessari per un processo libero, giusto e trasparente".

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Intanto l’Osa, Organizzazione degli Stati Americani, ha indetto una riunione generale del Consiglio Permanente il prossimo 10 gennaio ; data da non sottovalutare in quanto parallela a quella del previsto insediamento del presidente Maduro. Sarebbero stati i rappresentanti di Argentina, Brasile, Canada, Cile, Colombia, Guatemala, Paraguay, Perù e Stati Uniti a richiedere la convocazione di una sessione straordinaria, vista l’urgenza dell’intervento internazionale volto a sollecitare Nicolàs Maduro a non assumere la presidenza del paese e trasferire il potere esecutivo nelle mani dell’Assemblea Nazionale, in modo tale da permettere di indire nuove elezioni che siano questa volta osservanti dei più elementari principi democratici grazie magari alla sorveglianza di terze figure che siano neutre ed indiscrete. E in questa situazione arroventata non manca un accenno di panico per teorie che sembrano sfiorare il complottismo, come la dichiarazione del senatore russo Igor Morozov che designa l’operato del Gruppo di Lima come un atteggiamento discendente dalla volontà destabilizzatrice degli Stati Uniti.

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Intanto il neo presidente brasiliano Jair Bolsonaro, esprime preoccupazione per le manovre militari Russe che hanno avuto luogo in Venezuela ; esercitazioni che già a dicembre avrebbero impiegato due bombardieri missilistici strategici Tu-160, un aereo da trasporto militare pesante An-124 e un aereo a lungo raggio IL-62, volati all’aereoporto di Caracas, per poi tornare nella base di partenza in Russia. Gli Stati Uniti dal canto loro non si limitano ai provvedimento dell’Osa.

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Il segretario di Stato americano Mike Pompeo infatti e il presidente della Colombia, Ivan Duque, hanno concordato di unire gli sforzi per isolare diplomaticamente il governo del presidente Nicolas Maduro. Dichiara Duque : "Tutti i Paesi che condividono i valori della democrazia devono unirsi per respingere la dittatura in Venezuela e compiere ogni sforzo per ripristinare la democrazia e l’ordine costituzionale". Un clima da Guerra Fredda in un paese che potrebbe soddisfare per le proprie risorse gli interessi economici dei più ghiotti.

Federica Scippa

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