È nata “Mo veng”, l’app per i “fuorilegge”

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L’idea è nata a Napoli, da un’intuizione dell’imprenditore Fabio Capurro, dell’ingegnere informatico Luigi Chougard e del grafico Vincenzo Impiccichè. Non è casuale la scelta della città partenopea per verificare l’efficacia della loro invenzione: si tratta infatti di un’applicazione, già disponibile gratuitamente su tutti gli smartphone, che rende più semplice la gestione dell’annoso problema delle auto in doppia fila.

cms_7606/2.jpg"Mo veng" funziona così: il proprietario dell’automobile posteggiata in modo scorretto dovrà registrarsi preventivamente inserendo i suoi dati, mail e targa dell’auto; l’automobilista, registrato anch’egli, che dovesse essere ostacolato nell’uscita dal parcheggio a causa del veicolo in doppia fila, dovrà semplicemente fotografare la targa del veicolo in infrazione per allertarne il proprietario. L’intento è nobile, ma il concetto di fondo potrebbe risultare “deviante” per molti: è come se l’infrazione del codice della strada fosse legittimata oltre che tollerata, se non incentivata, per via di questa “facilitazione”.

La pratica di parcheggiare in modo scorretto è diffusa ovunque; si tratta di un gesto irresponsabile dal punto di vista della civiltà e del rispetto verso gli altri automobilisti. Questa applicazione si basa sul principio del “tra i due mali, scelgo il minore “, malgrado le buone intenzioni degli ideatori, che hanno dichiarato di augurarsi un progressivo inutilizzo della loro invenzione, quando cioè i “parcheggi selvaggi” cesseranno di esistere.

I benefici sarebbero innumerevoli: minore uso dei mezzi privati a favore di quelli pubblici - da cui deriverebbe anche una diminuzione dell’inquinamento ambientale causato dai gas di scarico delle autovetture -, maggiore rispetto degli altri automobilisti e osservanza del codice della strada.

cms_7606/3.jpgIn Saigon era Disneyland in confronto (Baldini e Castoldi, 1991), gli autori Gino e Michele scrivono così:«Abbiamo volutamente lasciato che le acque si calmassero. Volevamo riflettere con serenità. Così è stato, dunque non c’è traccia di emotività o di superficialità nella nostra presa di posizione. Il punto è questo: siamo favorevoli alla pena di morte. Non generalizzata, intendiamoci. Però la signora bionda e altera con la pelliccia di leopardo e il barboncino bianco seduta sulla jeep Cherokee Limited T.D. 4 x 4 verde targata MI 7M0644 che tutti i giorni, tra le 12.30 e le 13, parcheggia in seconda fila a Milano davanti all’Istituto Orsoline San Carlo, costringendo chiunque passi di lì ad almeno cinque minuti di coda supplementare e gratuita (sei giorni la settimana per dieci mesi all’anno, da settembre a giugno), ebbene lei deve morire. Non abbiamo niente contro questa signora, non sappiamo neppure come si chiami, dunque non si tratta di un fatto personale. Tuttavia deve morire. Deve morire e basta. […] Che poi: se al suono della campanella dalle Orsoline uscissero dodici bambini biondi e festanti e prendessero posto sul Cherokee, allora pazienza, si potrebbe chiudere un occhio: una jeep per tredici persone è quasi un risparmio in termini di spazio. Il fatto è, ma lo immaginate già, che sulla Cherokee 4 x 4 sale una ragazzina bionda di 18-20 chili […]».

Riprendendo l’ironia dei due simpatici autori, si potrebbe concludere che tra la “pena di morte”, simpaticamente evocata, e l’app Mo veng, la seconda sembrerebbe essere la strada più “percorribile” e meno cruenta.

Il “male minore”, insomma.

Lucia D’Amore

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