Il principe ereditario saudita Mohammed Bin Salman, che sin dal 2017 ha il controllo della sicurezza del Regno e delle operazioni d’intelligence, ha "autorizzato" un’operazione per "catturare o uccidere" il giornalista dissidente, collaboratore del Washington Post, Jamal Khashoggi. Il piano avrebbe coinvolto ben 21 persone, tra complici e responsabili diretti. Lo afferma un rapporto dell’intelligence Usa diffuso dall’amministrazione Biden dopo averlo declassificato.
La notizia, che fa rabbrividire ma non sorprende più di tanto, è stata diffusa dai media americani, che hanno quindi gettato una nuova luce sugli avvenimenti del consolato saudita di Istanbul del 2 ottobre 2018. Mohammed Bin Salman riteneva Khashoggi un pericolo per il suo regime, vista l’importante cassa di risonanza internazionale che ottenevano i suoi scritti di denuncia.
Il report reso pubblico dall’amministrazione Biden è un altro passo nella direzione di un cambiamento radicale nei rapporti con l’Arabia: Donald Trump, infatti, aveva uno stretto legame proprio con Bin Salman, e aveva appoggiato, tra le altre cose, l’invasione saudita dello Yemen. Appoggio, quest’ultimo, che è stato ritirato dal nuovo governo USA, che ha anche bloccato diverse forniture di armamenti ai sauditi. Ci si chiede, ora, se gli Stati Uniti applicheranno sanzioni contro l’Arabia Saudita: scenario incerto, forse improbabile, a causa dei delicati equilibri mediorientali. Per il momento, sembrerebbe che nessuna sanzione sia prevista verso Bin Salman, mentre potrebbero essere colpiti alcuni organi del governo di minore (ma non trascurabile) importanza. “La nostra intenzione è di ricalibrare le relazioni con il governo dell’Arabia Saudita a tutti i livelli”, ha detto la portavoce della Casa Bianca Jen Psaki.
Visto il risultato delle indagini, il Dipartimento di Stato USA avrebbe deciso di varare il cosiddetto “Khashoggi ban”, volto a punire tutti coloro che, agendo in nome di un governo, si pensa abbiano direttamente partecipato o partecipino in attività contro i dissidenti “gravi e di natura extraterritoriale”. L’amministrazione avrebbe già identificato 76 persone che potrebbero essere sanzionate con, tra le varie misure, anche il ritiro o la restrizione dei visti.
L’accertamento dell’implicazione nel caso Khashoggi di Mohammed Bin Salman ha causato un certo eco anche in Italia. Matteo Renzi, il fautore della caduta del governo Conte e della nascita del governo Draghi, appena poche settimane fa si era rivolto al principe ereditario con le seguenti parole: “Per me è un privilegio poter parlare con te di Rinascimento. Credo che l’Arabia Saudita possa essere il luogo per un nuovo Rinascimento”. Dichiarazioni che, se già suonavano male una volta pronunciate, ora sembrano ancora più inaccettabili. Tanto che il mondo della politica, in particolare il blocco di centro-sinistra formato da M5S, PD e LeU, sta insistendo perché il leader di Italia Viva dia una spiegazione precisa sui rapporti che lo legano all’amministrazione saudita. Lui stesso aveva promesso di chiarire il tutto dopo la fine della crisi politica: ora che sono stati nominati ministri e sottosegretari, però, tutto ancora tace. Per il PD, che si è espresso tramite l’ex ministro per il Sud Provenzano e il vicepresidente dem alla Camera Bordo, si tratterebbe di una questione di “sicurezza nazionale”.
Anche Amnesty International, tramite il suo portavoce Riccardo Noury, si è espresso: “Certamente è inopportuno essere invitati in forum internazionali che sono emanazione diretta della monarchia saudita e tacere sul sistema di violazioni dei diritti umani”.
Il numero due di Silvio Berlusconi, Antonio Tajani, pur non citando Renzi, si è espresso sulla questione: “La notizia di un coinvolgimento del principe ereditario saudita ci obbliga a rivedere le nostre relazioni con l’Arabia”, è quella che possiamo ragionevolmente ritenere la posizione ufficiale di Forza Italia.