Fiurin del quindes (in dialetto abbiatense)
Tutt quella vita chì a l’è ‘n tornà
indree al mè d’on foeugh, la su’ lengua,
i spuss, i vos, i mus, al taj di oeucc
di qji angiul analfabeta che cercheven
l’amour a cust de massass de bòtt.
Chi l’è che ta see tì, fiurin del quindes,
che ta ma luma in fund a quella curt?
Chi l’è che sii tucc vialter, brigada morta,
che chì, in del sangh, la vos, quell mus
chì, in del taj che den’gh’hoo, suttee viv?
Traduzione
Bambino del quindici
Tutta questa vita è un ritornare
al mio fuoco, la sua lingua,
gli odori, le voci, i visi, il taglio degli occhi
di quegli angeli analfabeti che cercavano
l’amore a costo di ammazzarsi di botte.
Chi sei tu, bambino del millenovecentoquindici,
che mi scruti in fondo a quel cortile?
Chi siete tutti voi, compagnia morta,
che qui, nel sangue, nella voce, in questa faccia,
nel taglio che ho dentro, continuate a vivere?
Riflessione di Maria Luisa Tozzi:
Grazie per la foto storica: uno di quei bambini( c’è anche qualche bambina) ha (aveva)l’età di mio padre. Una storia che andrebbe riletta come prelusiva all’entrata in guerra e a disastrose decimazioni; alla obbligata consegna di quei bambini al fascismo; alla loro adolescenza ammaestrata da sogni imperiali, facili come contrappunto della miseria (in ogni senso) del ventennio. Quando parli di COEUR questa verità salta fuori.
Nel tuo poetare (scelta scontata) sai ascoltare questo coeur: è un segno originario che ha vissuto quella durezza, quelle asprezze quotidiane, quell’osmosi sacra (panteistica) con una terra già stata e il Tesin che reifichi. Dunque vai avanti: la tua voce è importante, trascina un legame storico, generazionale, che questo tempo inquinato tende a cancellare; è un valore fermo, da non perdere.