Si chiami Dan Brown, perché qui c’è abbastanza materiale per un nuovo thriller bestseller ed è materiale che scotta. Ex spie russe e inglesi, multinazionali all’opera nel settore degli idrocarburi, il braccio destro di un despota africano, auto-assegnazione a prezzacci di giacimenti petroliferi, quantità dal valore di miliardi di dollari, esecutori italiani, affari pilotati. Questi sono gli elementi immediatamente venuti alla luce… ma dove sono quelli passati sotto traccia? Case presidenziali, bottiglie di champagne, hotel extra-lusso e soldi che fanno dei giri talmente grandi da non venir nemmeno completati. No, non è un film, ma la realtà. Una realtà, però, taciuta.
Fino ad ora! I due grandi protagonisti, o per meglio dire gli “antieroi” della storia, sono la Eni e la Shell. Stando all’inchiesta del settimanale TPI e da quanto emerso dagli atti processuali, e due gigantesche oil companies sono accusate di aver pagato più di un miliardo di dollari per assicurarsi OPL 245, uno dei più ricchi giacimenti petroliferi al mondo, situato in Nigeria. Trattasi della più grande tangente della storia giudiziaria italiana, passata sotto silenzio in quanto il tribunale di Milano ha archiviato il caso di presunta corruzione per “mancanza di prove”. Ed è peggio di una gara di appalti, perché va da sé che due delle più grandi e conosciute multinazionali al mondo abbiano messo gli occhi e le mani su uno dei più preziosi tesori della Nigeria e dell’Africa intera, praticamente depredandola per intero.
Presentiamo, dunque, le menti dietro la faccenda. Al vertice della piramide segreta c’è Paolo Scaroni, amministratore delegato di Eni dal 2005 al 2014. Ogni capo che si “rispetti”, ovviamente, ha un suo vice: Claudio Descalzi, attuale amministratore delegato della oil company e del 2008 al 2014 direttore della sua divisione Exploration&Production.
Non può mancare poi il cosiddetto “armadio a quattro ante”, quello forzuto che è meglio non mettersi contro: Dan Etete, che da ministro del Petrolio nel 1998 si è auto-assegnato la licenza su OPL 245. Il superiore del forzuto, colui che ha dato inizio al domino, è Adoke Bello che ha assegnato la licenza sul giacimento petrolifero senza indire la legale gara per conquistarlo. Ma c’è anche un russo in questa vicenda: Ednan Agaev, ex diplomatico del Cremlino, con il ruolo di intermediario tra Etete e Shell. L’altro faccendiere è Emeka Obi, che ha messo in contatto Etete ed Eni. Da parte olandese c’è Malcom Brinded, ex direttore generale della divisione Exploration&Production di Shell. Manca la spia: nella nostra storia è John Copleston, ex direttore dei servizi segreti inglesi in Nigeria ed ex advisor di Shell. Chiudono l’appello Luigi Bisignani, colui che ha messo in contatto Shell e Obi, e l’ex vicepresidente delle attività di Eni in Africa Vincenzo Armanna.
Ripercorriamo, comunque, le tappe di quello che è stato soprannominato da chi ne è venuto a conoscenza come il “processo del secolo”. La Procura di Milano apre il fascicolo su Eni nel 2013, dopo aver ricevuto dei reclami a proposito da ben tre ONG. Quattro anni dopo i PM hanno chiesto il rinvio a giudizio, con l’accusa di corruzione, per 15 persone, tra cui le 10 di cui sopra, e le società Eni e Shell.
In particolare, i magistrati tacciano le due multinazionali di appropriazione indebita, avendo pagato Dan Etete per accaparrarsi la licenza petrolifera su OPL 245. Le oil companies, ovviamente, asseriscono di aver rispettato la legge e le procedure aziendali. Rivelano anche la cifra esatta: 1 miliardo e 92 milioni di dollari. Ma sostengono che è stata accreditata su un conto intestato al Governo, negando dunque di aver avuto rapporti diretti con Etete. Aggiungono anche, ed è una difesa difficilmente attaccabile e che non erano tenute a sapere dell’utilizzo che sarebbe stato fatto da Etete dei soldi ricevuti dal Governo. Trascorrono altri quattro anni, siamo al 17 marzo 2021, e il Tribunale di Milano assolve in primo grado tutti gli accusati: per i giudici non sussistono “prove certe e affidabili” per l’accusa della corruzione. Inoltre, il Tribunale redarguisce la Procura per aver omesso un video in cui si dimostra la non affidabilità di Vincenzo Armanna, principale accusatore di Eni e imputato a sua volta. I due intermediari Di Nardo e Obi sono stati completamente assolti, chiudendo così, e per il momento, uno dei capitoli della storia.