Senza soldi non si salva la biodiversità!”: con questo appello, il WWF Italia sintetizza lo sconcerto e la preoccupazione per il mancato risultato della COP16, l’ultima riunione internazionale (Conferenza delle Parti) sulle questioni ambientali che si è conclusa a Cali, in Colombia, senza un nulla di fatto, per non aver raggiunto il quorum minimo nel momento in cui si votava sui finanziamenti.
Nel dettaglio, la COP16, tenutasi dal 21 ottobre al 1° novembre, ha contraddistinto la sedicesima riunione della Conferenza delle Parti sulla diversità biologica, definita “una grande opportunità” per l’America Latina e, in particolare, per la Colombia che ha ospitato gli incontri, secondo le parole del ministro dell’Ambiente colombiano Susana Muhamad, intervenuta in rappresentanza di “una delle nazioni con più biodiversità al mondo”. La ministra ha presieduto l’ultima discussione, dovendo però sospenderla a causa della mancanza del quorum necessario nel momento in cui si doveva votare sull’istituzione di un fondo per la biodiversità che non fosse gestito dal Global Environment Facility, su proposta dei paesi dell’America Latina e africani. Eppure, tutto sembrava essere partito per il meglio.
Importante è stato infatti l’accordo sancito proprio tra Colombia e Costa Rica, sulla conservazione della regione biogeografica del Chocò, area ricca di biodiversità e unica al mondo minacciata da deforestazione, cambiamenti climatici e attività illegali, come l’estrazione mineraria. È stata riconosciuta l’importanza delle comunità locali e indigene, che svolgono un ruolo chiave nella conservazione del territorio, che adesso faranno parte di un gruppo consultivo permanente della Convenzione delle Nazioni Unite sulla diversità biologica. Più in generale, la COP16 ha portato avanti le discussioni sull’implementazione del quadro di Kunming-Montreal (KMGBF), cercando di colmare le lacune di finanziamento per raggiungere il target globale di 20 miliardi di dollari all’anno per la conservazione della biodiversità, obiettivo che rimane essenziale per garantire che i paesi possano raggiungere la protezione del 30% delle terre e delle acque del pianeta entro il 2030.
Durante i lavori, è stato anche discusso il ruolo dei dati genetici digitali (Digital Sequence Information – DSI) e la loro condivisione equa, riconoscendo l’importanza di sostenere le nazioni da cui provengono queste risorse. Un grosso passo avanti è stato fatto per la tutela dei mari, giungendo all’accordo per identificare e conservare le aree marine ecologicamente significanti, tra le quali figurano, per l’Italia, le coste della Toscana e della Liguria, l’arcipelago toscano e la costa nord della Sardegna, il Canale di Sicilia e le isole che sorgono tra Sicilia e Tunisia, lo Ionio-Adriatico meridionale al largo della Puglia, la Fossa di Jabuka/Pomo nel Mare Adriatico centrale e l’Adriatico Settentrionale, con le coste di Marche, Emilia-Romagna, Veneto e Friuli Venezia-Giulia. Ma, come spesso accade, nel momento in cui si devono fare i conti a livello economico, sorgono i problemi.
“È grave e preoccupante il mancato accordo su come finanziare la protezione della natura nei paesi poveri con cui si è conclusa a Cali, in Colombia, la COP16 sulla biodiversità”, ha commentato Stefano Raimondi, responsabile nazionale biodiversità di Legambiente. “In un momento storico in cui la crisi climatica ha accelerato il passo, con effetti sempre impattanti su ambiente e perdita di biodiversità, sarebbe stato fondamentale dare un segnale importante con un solido accordo finanziario, lanciando così un messaggio chiaro e preciso anche in vista della prossima COP29 sul clima in programma a Baku, in Azerbaijan, dall’11 al 22 novembre”. Ha, infine, aggiunto che “tutto ciò non è accaduto e ora si rischia di non dare concretezza finanziaria all’accordo di Kunming-Montreal, raggiunto in Canada alla COP15”. Detto patto globale, adottato a dicembre 2022 durante la COP15 della Convenzione sulla diversità biologica (CBD), ha previsto l’obiettivo minimo del 30% di protezione del pianeta da raggiungere entro il 2030, con riferimento alle terre, agli oceani, agli ecosistemi degradati, oltre a vari altri punti che hanno reso quell’appuntamento un passo storico verso la conservazione globale della biodiversità. Lo stesso Stefano Raimondi ammonisce, nella consapevolezza che “ogni ritardo e ogni mancato accordo internazionale è un danno che facciamo al nostro Pianeta”.
La sola conquista ottenuta, quella del “Cali Fund”, non è abbastanza: il fondo istituito per compensare quei Paesi le cui informazioni genetiche vengono utilizzate dalle industrie per ottenere dei profitti colossali è solo una piccola fiammella di speranza, all’interno di vero e proprio mare di cose da fare. O che forse non si vogliono fare.