“Stiamo intensificando il nostro dialogo con tutte le parti interessate, compresi gli editori e le piattaforme online, per garantire che gli obiettivi della direttiva sul diritto d’autore siano raggiunti”. A dirlo è Mariya Gabriel, commissaria dell’Unione Europea per la Cultura e la Ricerca, commentando il processo del completamento della normativa continentale sul copyright approvata l’anno scorso e che dovrebbe entrare in vigore in tutti i Paesi dell’Unione Europa entro giugno del 2021. Ecco, se esistesse una cerchia di vocaboli italiani più usati e anche fraintesi, “copyright” si classificherebbe tra i primi dieci.
Questa parola inglese, traducibile letteralmente con l’espressione diritto di copia, identifica per estensione anche il “diritto d’autore” propriamente detto, soprattutto per quanto riguarda la sua normativa. Tutto quest’ambito è molto delicato, intrecciandosi a doppio filo con la cosiddetta “proprietà intellettuale” ed essendo protagonista di dibattiti infiniti nonché di processi legali. Perché la violazione del diritto d’autore è un reato, secondo la legge italiana. Per fare un esempio: il plagio, forma più comune di appropriazione della proprietà intellettuale altrui, è vietato dalla legge 633 del 22 aprile 1941, fonte normativa principale italiana. A tutela dei diritti in ambito musicale e artistico in Italia è nata la SIAE, la Società Italiana degli Autori e degli Editori, presieduta da Giulio Rapetti, in arte Mogol.
Facendo un giro per il mondo, come viene trattata la materia “copyright e diritto d’autore”? Negli Stati Uniti esiste il copyright act, secondo il quale le violazioni sono considerate reato federale. In Giappone, dal 2010 sono illegali anche i download di un qualsivoglia materiale acquistabile. In Cina vige una regola praticamente identica alla nostra: qualunque opera d’ingegno espressa in forma tangibile appartiene a chi la crea e ne è vietata la riproduzione. Differente, invece, è il “copyleft”: traducibile in italiano con permesso d’autore, indica un modello di gestione dei diritti d’autore secondo cui il creatore di un’opera può indicare ai fruitori un libero utilizzo, a patto di mantenerne la licenza.
L’Unione Europea stessa ha attraversato due grandi fasi. La prima è la “direttiva IPRED” del primo maggio 2004: con essa veniva ratificato che la riproduzione in copie o in qualunque altro formato, anche in versioni multiple, per fini di recensione, informazione e insegnamento non era in alcun modo classificabile come reato. La seconda svolta è la “direttiva di rafforzamento del diritto d’autore”, arrivata tre anni dopo: riguarda la condivisione di estratti di articoli o di un qualunque contenuto editoriale senza citarne la fonte, dichiarata come “violazione del copyright” e passibile di azioni legali.
Tutte le direttive sul diritto d’autore, dunque, “hanno lo scopo di aiutare gli editori a negoziare con grandi piattaforme e garantire la sostenibilità della stampa di qualità”, spiega la Gabriel. “Uno degli obiettivi è standardizzare la protezione del diritto nelle diverse legislazioni nazionali: ad esempio, l’articolo 15 mira ad avere regole comuni sulla protezione delle pubblicazioni online” aggiunge. “La Commissione rimane impegnata a garantirne la corretta attuazione e l’applicazione pratica, rimanendo in stretto contatto con gli Stati membri”. Tradotto: il fair use, ovvero il libero utilizzo di un’opera d’arte senza alcuno scopo di lucro, rimane pienamente in vigore e concesso.