La situazione nella penisola coreana “ha raggiunto un punto delicato e una guerra nucleare può scoppiare in qualsiasi momento”. Il nuovo monito arriva dal vice ambasciatore nordcoreano all’Onu, Kim In Ryong, che ha parlato durante una riunione della commissione disarmo al Palazzo di Vetro. Pyongyang, ha ribadito, “sostiene l’eliminazione totale delle armi nucleari e gli sforzi per la denuclearizzazione del mondo intero“, tuttavia non può firmare il Trattato sul bando alle armi nucleari a causa delle minacce americane.
Secondo Kim, “nessun Paese al mondo ha subito una tale minaccia nucleare diretta ed estrema dagli Stati Uniti e per così tanto tempo”. Quindi, l’avvertimento: gli Stati Uniti si trovano “nel mirino di fuoco della Corea del Nord e se gli Stati Uniti oseranno invadere il nostro sacro territorio anche di un centimetro non sfuggiranno alla nostra punizione severa in alcuna parte del globo”.
Le nuove minacce di Pyongyang arrivano due giorni dopo le dichiarazioni del segretario di Stato americano Rex Tillerson, secondo cui il presidente Donald Trump è impegnato a risolvere la crisi “attraverso la diplomazia” e gli sforzi “continueranno fino a quando cadrà la prima bomba”.
Il Consiglio Ue, riunito oggi a Lussemburgo, ha adottato sanzioni autonome nei confronti della Corea del Nord, aggiuntive a quelle decise dal Consiglio di Sicurezza dell’Onu, volte ad aumentare la pressione su Pyongyang. Le sanzioni hanno effetto immediato e includono il divieto totale di investire in Corea del Nord, in tutti i settori (prima il divieto ne riguardava solo alcuni); il divieto totale di vendere greggio e prodotti raffinati a Pyongyang; i trasferimenti personali di denaro dall’Ue alla Corea del Nord non potranno eccedere i 5mila euro, contro i precedenti 15mila.
In aggiunta, gli Stati dell’Ue si impegnano a non rinnovare alcun permesso di lavoro rilasciato a cittadini nordcoreani, fatta eccezione per i rifugiati e le persone bisognose di protezione internazionale. Vengono inoltre aggiunte tre persone e sei entità alla lista di coloro che sono sottoposti a limitazioni di viaggio; il numero dei sottoposti a sanzioni autonome dall’Ue sale così a 41 persone e 10 entità, cui si aggiungono 63 individui e 53 entità elencati dalle Nazioni Unite.
Dall’assedio Isis alla liberazione: quel che resta di Raqqa
Era il 13 gennaio del 2014 quando i miliziani del sedicente Stato Islamico (Is) proclamarono Raqqa, nel nordest della Siria, la capitale del loro ’’Califfato’’ islamico. Migliaia i jihadisti che da allora raggiunsero la ’capitale’, tra cui molti leader. Fonti dell’intelligence irachena hanno sostenuto a luglio che anche il leader dell’Is, Abu Bakr al-Baghdadi, avesse lasciato Mosul per trasferirsi a Raqqa, ma la notizia non è mai stata confermata.
Preso il controllo della città, i jihadisti iniziarono a imporre una rigida interpretazione della sharia, la legge islamica. Terribile la repressione nei confronti di chi si opponeva al loro dominio, con decapitazioni, crocifissioni e torture. Crudele l’uso dei civili come scudi umani per ostacolare l’avanzata delle forze avverse.
Una dura repressione viene messa in atto anche nei confronti degli alawiti e dei sospetti sostenitori del presidente Bashar al-Assad. La piazza di al-Naim, liberata oggi dalle Forze siriane democratiche, è diventata ben presto tristemente nota come luogo pubblico per le esecuzioni.
I primi a iniziare la devastazione di Raqqa, l’80 per cento della quale è oggi ridotto in macerie, sono stati propri i miliziani dell’Is, che hanno fatto saltare in aria le moschee sciite e le chiese cristiane. La chiesa cattolico armena dei Martiri ha invece perso la sua identità, trasformata dall’Is nel quartier generale della sua polizia e in un centro islamico per reclutare nuovi combattenti. I primi a fuggire da Raqqa sono stati proprio i cristiani, che rappresentavano il 10 per cento della popolazione totale.
Imposto il loro dominio, i jihadisti dell’Is hanno iniziato a usare Raqqa come ’centro di comando’, pianificando da qui gli attentati all’estero. Tra questi anche gli attacchi di Parigi del 13 novembre del 2015, costati la vita a 130 persone. Due giorni dopo, in risposta agli attacchi subiti, la Francia aveva iniziato a bombardare Raqqa: una ventina le bombe lanciate su obiettivi dell’Is in città. Numerosi i bombardamenti aerei condotti su Raqqa, anche sulle zone densamente popolate da civili, da varie forze. In campo la Coalizione internazionale a guida Usa, che con raid aerei hanno sostenuto l’alleanza curdo araba impegnata sul campo. Lo scorso giugno gli attivisti hanno denunciato l’uso di bombe al fosforo lanciate sulla città.
La prima offensiva internazionale per liberare Raqqa viene annunciata il 26 ottobre 2016 da Ash Carter, segretario alla Difesa di Barack Obama, che afferma che sono iniziati i preparativi. La seconda battaglia, iniziata il 6 giugno del 2017, vede scendere il campo le Forze siriane democratiche, alleanza curdo araba sostenuta dalla Coalizione militare internazionale a guidata dagli Usa nella lotta all’Is. In campo ci sono 30mila combattenti curdi dell’Ypg (le Unità di protezione del popolo curdo) e 20mila arabi.
Dopo un assedio di circa quattro mesi e un accordo per permettere l’evacuazione dei miliziani dell’Is rimasti in città con le loro famiglie, le Forze siriane democratiche annunciano la liberazione di Raqqa. Un caro prezzo è stato pagato, ancora una volta, dai civili: circa 50mila quelli assediati insieme ai jihadisti, costretti a fare i conti con l’assenza di cure mediche e con una disponibilità alimentare a livello critico, usati come scudi umani dall’Is. Molti quelli morti sotto i bombardamenti, come hanno denunciato varie organizzazioni internazionali e locali.
Invalidata legge referendum Catalogna
La Corte Costituzionale spagnola ha invalidato – dichiarandola nulla e incostituzionale – la legge del referendum approvata dal parlamento catalano per convocare la consultazione elettorale dello scorso primo ottobre. Secondo i giudici, la legge invade competenze statali e lede “tra gli altri principi costituzionali, la supremazia della Costituzione, la sovranità nazionale e l’indissolubile unità della nazione spagnola”, si legge in un comunicato.
Il ’Parlament’ di Barcellona aveva approvato la legge il 6 settembre nel corso di una turbolenta sessione durante la quale i deputati contrari al governo indipendentista avevano abbandonato l’aula in segno di protesta. Il governo centrale di Mariano Rajoy aveva immediatamente presentato ricorso contro la legge, sospesa il giorno successivo dalla Corte costituzionale in via cautelare, così come la convocazione del referendum firmata dal capo dell’esecutivo catalano, Carles Puigdemont.