Le misure messe a punto in questi due anni da governo e parlamento contro la corruzione vanno nella direzione giusta. È questo, in estrema sintesi, il giudizio del rapporto dell’Onu sulla lotta alla corruzione da parte dell’Italia presentato qualche giorno fa al Centro Congressi della Banca d’Italia. Il documento delle Nazioni Unite, depositato a giugno, si riferisce al quinquennio 2009-2013 e verifica lo stato di applicazione della Convenzione sul fronte legislativo, giudiziario e amministrativo.
Per il ministro della Giustizia, Andrea Orlando, il Rapporto “promuove il lavoro del governo italiano” anche perché molte delle raccomandazioni – per esempio sull’auto-riciclaggio, sugli sconti a chi collabora per denunciare la corruzione – sono già superate dall’approvazione di specifiche norme. La cooperazione internazionale – di cui la Convenzione ONU rappresenta un importantissimo esempio – e l’impegno che discende per i paesi dall’adesione alle convenzioni e dalla partecipazione ai gruppi di lavoro, rappresentano uno strumento fondamentale per garantire il progressivo allineamento alle “buone prassi” che emergono tra i diversi sistemi. Per l’Italia l’adesione al GRECO (il Gruppo di Stati contro la Corruzione), alla Convenzione OCSE contro la corruzione dei pubblici ufficiali stranieri (e al Working Group on Bribery che ne valuta l’attuazione) e la ratifica della Convenzione delle Nazioni Unite sono stati passaggi fondamentali nel sollecitare, negli ultimi anni, l’adeguamento del nostro ordinamento e del complessivo contesto istituzionale alle migliori prassi internazionali.
Il nostro Paese “è considerato largamente in linea con le disposizioni della Convenzione” dice Raffaele Cantone, presidente dell’Autorità nazionale Anticorruzione, secondo cui “si fa fatica a trovare in interventi internazionali parole così positive per l’Italia”: sul cosiddetto all crimes approach, adottato nei confronti dei reati di riciclaggio, sulle misure in tema di responsabilità della persona giuridica, sull’ampio ambito di applicazione e sulle prassi in materia di confisca dei beni, sulla specializzazione della Guardia di finanza e sul coordinamento delle diverse forze di polizia nelle indagini, sugli sforzi per incoraggiare chi denuncia, prevedendo ad esempio uno statuto di protezione del whistle-blower. Restano ovviamente lacune da colmare.
Nel suo intervento il governatore della Banca d’Italia, Ignazio Visco ha osservato che “nonostante i passi positivi, l’Italia continua a soffrire di una percezione assai negativa in materia di corruzione”, anche a causa dell’impatto negativo delle notizie su episodi corruttivi in Italia, che innescano un processo che incide “sugli investimenti diretti nel nostro Paese”. “Sarà importante – ha concluso Visco – che ai progressi effettivi realizzati in questi anni, si associno, da un lato, uno sforzo di elaborazione di indicatori il più possibile ancorati a evidenze oggettive piuttosto che unicamente legati alle percezioni. Dall’altro, che migliori la capacità di comunicare e valorizzare i progressi ottenuti, anche sul piano internazionale oltre che su quello interno”.
Certo – c’è da concludere – c’è ancora molta strada da percorrere. Per questo, il primo Rapporto Onu sullo stato di attuazione in Italia della Convenzione contro la corruzione è un’opportunità che non deve andare sciupata per cominciare a dare un’immagine diversa del Paese, valorizzando “il quadro nel complesso positivo” che ne viene fuori.