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COSA STA SUCCEDENDO A HONG KONG?

Da più di un mese ormai, Hong Kong è scossa da un movimento pacifico di protesta che sta bloccando il cuore finanziario della città e mettendo in difficoltà Pechino. Decine di migliaia di persone, infatti, si sono accampate per le strade per chiedere di nominare ed eleggere direttamente il proprio governatore nel 2017. Fin dal principio, i media occidentali hanno etichettato la manifestazione come “Umbrella Revolution”, con riferimento agli ombrelli usati dagli attivisti contro il gas lacrimogeno e lo spray al peperoncino sparati dalla polizia. In verità, non si tratta di una rivoluzione. Stiamo assistendo, invece, alla più grande campagna di disobbedienza civile che la Repubblica popolare cinese si sia mai trovata a fronteggiare dai tempi della protesta studentesca di piazza Tienanmen nel 1989.

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Le ragioni della protesta

Hong Kong è stata colonia britannica per oltre 150 anni ed è ritornata sotto sovranità cinese solamente nel 1997. In virtù della formula “un paese, due sistemi”, che ne regola i rapporti con Pechino, Hong Kong gode di un grado di autonomia e libertà assolutamente sconosciute nel resto della Cina continentale. Tuttavia, gli stretti legami fra l’élite economica locale e il regime hanno finora sostenuto un complesso sistema politico inevitabilmente fedele al Partito comunista cinese. Il 31 agosto, il parlamento di Pechino ha proposto a Hong Kong una riforma elettorale che dovrebbe garantire, per la prima volta, il suffragio universale ai cittadini del “porto profumato”, in occasione delle prossime elezioni politiche del 2017. La riforma prevede la costituzione di un comitato elettivo, i cui 1.200 membri sono selezionati da magnati locali, gruppi di affaristi e persone di fiducia del Partito. Solamente i due o tre candidati nominati da questo comitato saranno poi esposti al voto popolare. Tramite questo meccanismo, in sostanza, nessuna figura ritenuta ostile o inaffidabile potrà salire al potere e il regime sarà così in grado di mantenere uno stretto controllo politico sulla regione.

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“Umbrella Movement”

Le proteste contro questa proposta sono nate il 22 settembre, quando tredici mila studenti di Hong Kong hanno indetto un boicottaggio delle lezioni e hanno organizzato un sit-in ai piedi degli uffici governativi. Quattro giorni più tardi, la campagna di disobbedienza civile è iniziata ufficialmente, con Occupy Central che è sceso in campo a fianco degli studenti. Si tratta di un movimento democratico, per lo più giovane, non violento e senza una vera e propria leadership. Al suo interno si possono individuare tre gruppi distinti: Occupy Central With Love And Peace, guidato da Benny Tai, docente di legge presso l’università di Hong Kong; la Federazione degli studenti di Hong Kong, guidata da Alex Chow e Lester Shum; e Scholarism, capeggiata dal diciassettenne Joshua Wong. I manifestanti avanzano due richieste sostanziali: elezioni libere e democratiche, in linea con gli standard internazionali, e le dimissioni di Leung Chun-ying, l’attuale capo di governo accusato di essere un burattino nelle mani del regime. Il sostegno alla campagna, tuttavia, non è unanime. Secondo un recente sondaggio popolare condotto dall’Hong Kong University, meno di un terzo dei cittadini supporta il movimento di protesta. Dietro quest’opposizione c’è più di una ragione, dalla paura di una sanguinosa repressione in stile Tienanmen al danno economico arrecato alla città nelle passate settimane.

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La censura

Nella Cina continentale, le notizie riguardanti ciò che sta accadendo a Hong Kong sono state ampiamente censurate e manipolate. Il sito cinese della BBC è stato completamente bloccato e la maggior parte dei media locali non ha pubblicato alcuna notizia riguardante le proteste. Qualche editoriale ha aspramente condannato come illegali le azioni dei manifestanti, csono stati dipinti come estremisti antidemocratici, sostenuti dagli Stati Uniti per incoraggiare sentimenti separatisti in Cina. Il regime ha dovuto anche stringere la morsa sui social media, da Instagram a Weibo, e parole-chiave come “Hong Kong ”, “Occupy Central”, “umbrella”, sono state bloccate nei principali motori di ricerca del web.

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Le paure di Pechino

I vertici di Pechino non sembrano avere la minima intenzione di accogliere le richieste degli attivisti. Agli occhi del Partito, il suffragio universale non è un mezzo per garantire la formazione di un sistema democratico in stile occidentale, ma una semplice “procedura democratica” per stabilire il metodo di selezione dei candidati. Nonostante Hong Kong sia un caso particolare in territorio cinese, accogliere le richieste dei manifestanti significherebbe non solo correre il rischio che qualcuno non gradito salga al potere, ma creerebbe anche un pericoloso precedente: la possibilità di un cambiamento in senso democratico nel resto del paese, che rischierebbe così di mettere a repentaglio l’autorità assoluta del regime.

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Data:

29 Ottobre 2014