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CRIMINALITA’ UNDER 18

Venerdì pomeriggio, ore 18:30. Gaetano, 15 anni, sta raggiungendo la stazione metro linea 1 di Chiaiano (Napoli) insieme a due cugini, suoi coetanei. Giunti alla fermata, i tre vengono accerchiati da una quindicina di ragazzi, presumibilmente tutti adolescenti. E’ l’inizio di una violenta aggressione ai danni di Gaetano: volano pugni e calci carichi di odio, mentre i cugini del malcapitato, riusciti a divincolarsi, fuggono via in cerca di aiuto. Subito dopo il pestaggio, il 15enne viene recuperato dal padre di un suo amico e trasportato dallo zio all’ospedale “San Giuliano” di Giugliano. I medici riscontrano una grave lesione interna, che porterà il giovane all’asportazione della milza, spappolata dai colpi. Ora il giovane, ricoverato nel reparto di rianimazione, è vigile e cosciente, anche se ancora troppo debole per poter raccontare agli inquirenti la sua drammatica verità su quel pomeriggio che avrebbe potuto costargli la vita. Sono già in corso le indagini, condotte da Paolo Auriemma presso il commissariato di Giugliano.

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Le prime indiscrezioni della polizia parlano di un episodio di violenza pressoché immotivata, forse riconducibile a futili motivi. Un’ipotesi che, se confermata, renderebbe ancora più agghiacciante la tragica storia, ricalcando un copione che a Napoli – ma anche in altre parti d’Italia – fa ormai parte di una quotidianità dalle tinte fosche. La violenza è spesso l’unico linguaggio parlato dai giovanissimi, dando prosecuzione alle ormai radicate fondamenta della criminalità organizzata. “Gaetano mi ha raccontato che, in attesa del pullman, alcuni ragazzi gli si sono avvicinati rivolgendogli alcune domande, chiedendogli di dove fosse. Lui non ha risposto: non era abituato a dare confidenza agli sconosciuti. Forse proprio il suo silenzio è bastato a scatenare l’ira degli assalitori. – riferisce la madre della vittima ai microfoni di RepubblicaNon è possibile dover assistere a episodi del genere ogni 15 giorni. Non ci sentiamo tutelati, possiamo solo aspettare con angoscia il ‘prossimo turno’, il prossimo malcapitato che finirà nelle grinfie delle baby gang”. Una denuncia che fa riferimento a un altro terribile episodio di violenza risalente a 15 giorni fa, quando il liceale Arturo è stato accoltellato da un branco di giovani assalitori per le vie di Napoli. Anche lui non è in pericolo di vita, ma i violenti colpi gli hanno causato problemi alle corde vocali. Un’aggressione che, come nel caso di Gaetano, non sembra nascondere importanti motivazioni di fondo.

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La ricerca dei perché trascina l’opinione pubblica in una spirale di domande senza risposta e di luoghi comuni che solo raramente si rivelano fondati. Perché abbandonarsi ad atti di inutile e ingiustificata violenza fin dai primi anni dell’adolescenza, macchiando irrimediabilmente la propria fedina penale? E’ colpa di una società alla deriva, degli scarsi controlli da parte della polizia? La risposta non è immediata e, forse, cela un disagio (che spesso non coincide con il degrado che siamo soliti attribuire ai quartieri malfamati delle grandi città) difficile da indagare nel profondo, nella sua fitta trama di dinamiche.

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Quando non finalizzata a scopi ben precisi, l’aggressione non è altro che una richiesta d’aiuto da parte degli stessi aguzzini, in cerca di attenzioni e approvazione nell’età critica per eccellenza. In questo si può inquadrare il ruolo di una società che, seppur senza demonizzazioni estreme, contribuisce di certo a diffondere la cultura della violenza, attraverso stereotipi poco costruttivi, capaci di attecchire con velocità estrema negli animi degli adolescenti più fragili e propensi a sviluppare tali tendenze. E’ la “legge del più forte” a farla da padrona in questi tempi difficili: bisogna mostrarsi invincibili, dominare l’altro con qualsiasi mezzo possibile fino a farlo soccombere, laddove neanche la morte e la sofferenza fisica possono aprire uno spiraglio di sana pietà umana. Con la violenza, messa in campo in tutta la sua potenza distruttiva, la sensazione di essere “una nullità” lascia spazio a un malsano senso di autoaffermazione. Ci si sente riconosciuti da un mondo in cui fare del male a un proprio simile e perseguire la strada di una criminalità senza scrupoli non costituiscono motivo di vergogna, ma di orgoglio. Nascono così le baby gang, dalle ceneri di tante identità perse nel proprio dolore, forse assuefatte a un’aggressività ormai “ordinaria”, diffusa tanto quanto l’ossigeno vitale nelle nostre città. Una realtà che va cancellata al più presto dagli occhi attenti dei giovanissimi, prima che le loro coscienze perdano la capacità di parlare il linguaggio del rispetto e della filantropia.

Data:

14 Gennaio 2018