È notizia di questi giorni il temporaneo svuotamento – per motivi di manutenzione – del lago di Resia, il bacino artificiale che alimenta la centrale idroelettrica di Glorenza. I lavori in corso hanno fatto riemergere i resti dell’antico paesino di Curon Venosta, demolito (e riedificato, nel 1950, poco distante) per permettere l’innalzamento del livello delle acque.
La nascita di Curon Venosta, un piccolo Comune situato sulla sponda orientale del lago di Resia, in Alto Adige, risale al 1950. Ben più antiche sono le sue origini: già nel 1147, secondo la toponomastica dell’epoca, si trovano le tracce di quello che un tempo era indicato come Curun apud lacum. È una terra di confine, quella di Curon Venosta. Spostandosi poco più a Nord si incontra la frontiera austriaca, mentre basta percorrere una manciata di chilometri verso Ovest per sconfinare in Svizzera. La storia di Curon e del suo popolo è una storia travagliata, fatta di conquiste, come spesso accade in quei luoghi destinati a diventare terre di confine.
La conclusione della Grande Guerra e la sistemazione delle frontiere
La prima guerra mondiale sconvolse l’assetto geopolitico europeo. La scomparsa di grandi imperi del passato si è accompagnata alla nascita di tante nuove realtà. Il principio fondamentale, che avrebbe dovuto guidare la sistemazione delle nuove frontiere, era – almeno sulla carta – il rispetto dell’autodeterminazione dei popoli.
Così nel 1918 il Passo di Resia e il paese di Curon si apprestavano a divenire italiani, benché non furono aspirazioni nazionalistiche a guidare questi stravolgimenti. L’Italia uscì dal conflitto al fianco delle potenze vincitrici e reclamava il suo bottino di guerra.
A partire dal 1919 il Piz Lat, che si erge a pochi chilometri da Curon, segna il nuovo confine tra Svizzera, Italia e Austria. E Graun im Vinschgau cambiava nome in Corona alla Muta, per poi tornare a essere Curon e, dal 1928, Curon Venosta.
Non era la prima volta che la Val Venosta passava da una dominazione all’altra. A farla da padroni erano stati dapprima i celti seguiti dai romani che vi segnarono una terra di confine. Secoli dopo fu la volta degli evangelizzatori, poi di nuovo dei germanici. Passarono di lì anche gli spagnoli e i francesi, finché nel 1919 la Val Venosta divenne italiana.
Al di là delle vicende politiche, a non subire cambiamenti fu la popolazione. Gli abitanti del luogo gente umile, erano soprattutto pastori e contadini. A fare da sfondo una economia semplice, di sussistenza. Donne e uomini si conoscevano tutti, si ritrovavano sulle panchine o davanti alla stube di qualche osteria del paese; si aiutavano gli uni con gli altri, quando occorreva far partorire una manza o caricare una balla di fieno su un mulo.
Il fascismo, il nazismo e l’accordo sulle opzioni
L’avvento del fascismo, tuttavia, cambiò notevolmente le abitudini dei curonesi. L’italianizzazione forzata dei bambini, costretti a parlare italiano e a studiare la lingua tedesca in modo clandestino e la sostituzione dei vestiti tirolesi con le divise dei Balilla, generarono i primi malcontenti. Soltanto nel 1939 agli abitanti dell’Alto Adige fu riconosciuta la possibilità di decidere della propria sorte. L’Accordo sulle Opzioni, siglato da Hitler e da Mussolini, consentiva agli altoatesini di scegliere se rimanere in Italia (rispettando le politiche di italianizzazione imposte dal regime) o migrare in Germania. L’intesa fu causa delle prime divisioni anche se la maggior parte dei curonesi, comunque, decise di non abbandonare il territorio.
La costruzione della diga Montecatini-Montedison
Sempre nel 1939 l’azienda Montecatini di Milano (futura Montedison) presentò il progetto per la costruzione di una diga che si sarebbe realizzata dove un tempo erano localizzati i vecchi laghi di Resia e di Curon. Durante il fascismo sorsero molte centrali idroelettriche e quella della Montecatini non allarmò particolarmente i curonesi: la diga avrebbe dovuto essere alta 5 metri e non avrebbe sconvolto il territorio circostante. Tuttavia, una volta approvato il progetto, la Montecatini ottenne l’autorizzazione a innalzare ulteriormente il livello delle acque, fino a 22 metri.
A quei tempi, a Curon, non esisteva una vera e propria rappresentanza comunale, non vi era un sindaco. Il capo commissario del luogo, che avrebbe dovuto spiegare, nei dettagli, alla popolazione quali sarebbero state le conseguenze derivanti dalla realizzazione di quel progetto, non fece nulla. Ad eccezione di una lettera inviata a Roma in cui comunicava che non erano pervenute obiezioni da parte degli abitanti. Questo unico atto fu l’inizio della fine di Curon.
L’innalzamento del livello delle acque avrebbe prodotto l’allagamento della valle mentre il paese di Curon, insieme agli appezzamenti di terreno, sarebbero stati sommersi per sempre. Tutta la zona della Val Venosta era considerata scarsamente produttiva, una terra povera. Ai curonesi furono corrisposti compensi irrisori per abbandonare il territorio. Le cronache dell’epoca parlano di una lira per ogni metro quadro di terreno perduto, da riscuotere personalmente, da chi ne facesse richiesta, a Merano. Ma le spese del viaggio, in molti casi, superarono la quota del rimborso e tutto si risolse con un nulla di fatto.
Le cronache dell’epoca raccontano di alcuni valligiani che, per la disperazione e in assenza di altre forme di sostentamento, si videro costretti a partecipare ai lavori per la costruzione della diga e a supplicare di essere assunti dalla società appaltatrice. I più fortunati riuscirono a trasferirsi altrove, trovando un maso disponibile dove ricominciare una nuova vita, magari come coltivatori di mele. La seconda guerra mondiale impose la sospensione dei lavori ma si trattò di una breve pausa. Nell’immediato dopoguerra (1949) fu decisa la prima prova di sbarramento e il livello delle acque raggiunse le abitazioni, nonostante a Curon vi fossero ancora molti residenti.
Il campanile, simbolo di un popolo
Il 23 luglio 1950 il paese di Curon Venosta fu completamente raso al suolo e soltanto un edificio, il campanile della chiesa di Santa Caterina d’Alessandria, edificata nel 1357, riuscì a salvarsi dalle demolizioni. I residenti che non erano riusciti a trasferirsi altrove trovarono alloggio nelle baracche costruite dalla Montecatini più a monte, a pochi passi dal vecchio paese. Gli effetti sull’economia furono negativi e ciò che rimase dell’antica struttura erano soltanto pochi campi da coltivare e un grande lago artificiale immerso in una splendida valle.
La rinascita di Curon Venosta
Curon Venosta fu riedificato sulle sponde orientali del nuovo lago di Resia e soltanto a distanza di decenni riuscì a ottenere un piccolo risarcimento per la triste sorte che aveva dovuto subire. I contrasti tra il Comune e la Provincia, che voleva trattenere per sé il canone che Montedison pagava per la concessione delle acque, furono superati nel 2002 grazie al pronunciamento della Corte Costituzionale. Da quel momento Curon Venosta riuscì a riscuotere queste entrate, oltre a ricevere una quota di partecipazione agli utili derivanti dalla concessione del lago pari al 3,3%.
Questa triste storia ha lasciato una cicatrice ancora visibile nel lago di Resia, l’antico campanile, divenuto meta di visitatori e fonte di guadagno per gli abitanti del Comune. Sono molti i turisti che, specie nel periodo estivo, si recano sulle rive del lago di Resia per fotografarlo o per scattarsi un selfie affianco al campanile di Santa Caterina d’Alessandria.
Curon tra turismo, produzione televisiva e letteraria
L’antico campanile, che ha resistito alle demolizioni e alle infiltrazioni delle acque, ha, di recente, ispirato una serie tv trasmessa su Netflix, Curon, ma anche un romanzo italiano, Resto qui, di Marco Balzano. Due eventi che hanno contribuito a diffondere il fascino per un luogo così singolare ma anche per portare alla ribalta una storia millenaria fatta di conquiste e di tradizioni negate.