Traduci

DANILO DOLCI E PAULO FREIRE, IN DIALOGO – III^ Parte – Coscientizzazione e maieutica reciproca: le prospettive pedagogiche di Paulo Freire e Danilo Dolci

Danilo Dolci e l’approccio maieutico

“Proprio dalla diversità culturale, dallo scontro–incontro iniziale unito al rifiuto delle condizioni presenti della popolazione e al bisogno di far scaturire da essa il cambiamento, avviene la riscoperta della maieutica.” (Dolci, 2011)

“Educare significa costruire le condizioni perché si possano connettere piani di realtà diversi, sequenze biologiche eterogenee, comunicazioni apparentemente inaccessibili ma che diventano possibili, conflitti che si aprono a nuove comprensioni.” (Dolci, 2011)

Danilo Dolci è stato un grande educatore, pedagogista e poeta italiano che ha dedicato la propria vita alla lotta per la rivendicazione politica e sociale dei diritti delle persone. L’impegno politico e sociale di Dolci è sempre stato contraddistinto da un approccio maieutico e da azioni nonviolente. “Il Dolci osservatore partecipa simbioticamente, empaticamente, alla vita dei pescatori e dei contadini di Trappeto […] Il Dolci poeta comincia a chiedersi se è possibile il cambiamento e come bisogna fare per cambiare. Così nasce il Dolci educatore-maieuta”. (Mangano, 1992)

Danilo Dolci

Danilo Dolci a differenza di Paulo Freire, che si riconosceva nel marxismo e nel personalismo di Mounier, non si può ricondurre ad un’ideologia particolare, non può essere definito secondo un’ideologia filosofica-politica. Il lavoro educativo svolto da Danilo Dolci si rifà ad una pedagogia dell’ascolto, ovvero ad un approccio pedagogico maieutico, di liberazione e di emancipazione degli individui e delle comunità. L’approccio maieutico di Dolci, fondato sull’ascolto e sul dialogo, connotato da azioni non violente, ritrova i suoi fondamenti nella convinzione che l’educazione non debba essere un’azione di travaso di sapere, un’educazione volta all’acquisizione di concetti forniti dall’esterno, ma un’interazione tra il mondo esterno e la capacità del soggetto di elaborare gli stimoli che gli si pongono durante la propria esistenza. L’apprendimento avviene tramite questo incontro e il termine educazione è accostato ad azioni come creare, liberare e promuovere.

“L’educazione è, per Danilo Dolci, il processo rivoluzionario con cui si mobilitano dal basso le coscienze perché progettino per proprio conto, in una rete di comunicazione orizzontale con tutte le coscienze della terra, una democrazia sostanziale.” (Mangano, 1992) Il lavoro e il pensiero di Danilo Dolci non sono sistematici, ma possono essere considerati un intreccio di azioni, riflessioni, pensieri ed esperienze, volte ad un agire educativo ed esigenze della comunità, suscitati dalla domanda e analizzati attraverso l’ascolto. La maieutica utilizzata da Dolci, più che un metodo pedagogico, si interroga su quali siano le condizioni affinché le persone possano educare e educarsi.

La comprensione di quali siano le condizioni presenti all’interno di una comunità e l’esigenza di dare voci agli oppressi, sono le due motivazioni principali che muovono Danilo Dolci a svolgere le inchieste nel corso della sua vita. Le inchieste svolte da Dolci sono da lui considerate un agire educativo che pone, da un lato, le persone intervistate nella posizione di potersi esprimere, di verbalizzare le proprie condizioni di vita e, dall’altro, l’educatore in una posizione di ascolto e di apprendimento e comprensione delle dinamiche comunitarie. L’inchiesta diviene quindi un atto maieutico, siccome interconnette gli individui intervistati e gli intervistatori in una relazione volta alla ricerca delle condizioni, materiali e culturali, necessarie alla ricerca di soluzioni ad un problema comune. (Vigilante, 2011)

Il lavoro pedagogico maieutico di Dolci evidenzia tre condizioni per cui l’apprendimento è favorito: le connessioni chiarificatrici, gli sguardi partecipanti e le divergenze creative. Danilo Dolci necessitava costantemente di creare contatti, di costruire relazioni ed alleanze tra diversi individui al fine di favorire il cambiamento, questo siccome, secondo Danilo, il cambiamento non è soggettivo, ma una vocazione sociale. Il cambiamento, possibile soltanto tramite l’apprendimento, non consiste nella creazione di concetti nuovi, ma nell’esplorazione e nella ricerca di collegamenti di concetti e di significati singolari, che tramite la condivisione diventano significati appartenenti al collettivo e non più al singolo. (Dolci, 2011)

Un’altra condizione esistenziale per Danilo Dolci era l’importanza dello sguardo. Una delle condizioni essenziali affinché le persone possano educare ed educarsi è quindi lo sguardo partecipante. Lo sguardo a cui si riferisce Dolci, è inteso come osservazione empatica e partecipante, azione che rende possibile la condivisione di sapere, comunicando e non trasmettendo dei concetti dall’educatore all’educando. L’osservazione per Dolci diventa quindi possibilità di condivisione e di educazione, in quanto lo sguardo che adotta, per esempio, con i bambini nel Centro educativo di Mirto non è uno sguardo di controllo, giudicante e nemmeno uno sguardo di accudimento, ma è al contrario è uno sguardo empatico che permette alla persona di sperimentarsi, di sentirsi stimolata nella ricerca di risorse personali inesplorate.

L’educatore sociale deve quindi imparare a guardare, osservare le persone con le quali lavoriamo in maniera empatica essendo trasparente, coerente e sincero con l’altro come con noi stessi, essere aperto ad ogni nuovo sviluppo anche se questo non era previsto dall’educatore, che deve essere in grado di osservare empaticamente l’altro, per credere in lui, nelle sue potenzialità e risorse, dandogli la possibilità di credere in sé stesso, nei cambiamenti e nell’emancipazione personale.

Un’ulteriore condizione necessaria, secondo Danilo Dolci, al fine che un processo educativo possa essere efficace è il conflitto, le divergenze creative. Secondo l’educatore infatti il conflitto, non forzatamente violento, è un motore di cambiamento e di trasformazione. Una comunità è tale, non per assenza di conflitto, ma per la capacità di integrare i diversi punti di vista, arricchendo quello comune. Il conflitto, le divergenze, diventano quindi occasione di sperimentazione ed introspezione personale, nelle quali davanti all’ignoto, alla sorpresa, l’individuo è chiamato a risolvere il problema, trovare soluzioni, generando nuova conoscenza. (Dolci, 2011)

“I problemi che generano apprendimento devono essere sostenibili, ossia avere una matrice pertinente con le risorse della persona, del bambino, della bambina, che deve affrontare questi stessi problemi”. (Dolci, 2011) Una delle convinzioni dell’approccio pedagogico di Danilo Dolci è che ogni essere umano possiede molteplici capacità, risorse e competenze inesplorate, e soltanto tramite il confronto con situazioni nelle quali le capacità, le risorse e le competenze consce non sono sufficienti all’individuo per superare la situazione di conflitto.

Il conflitto, le divergenze e il confronto sono la scintilla che permette all’essere umano di esplorarsi, conoscersi ed apprendere nuove competenze, capacità e risorse: “[…] Il principio assoluto della pedagogia dolciana è che l’atto primo dell’uomo è la divergenza e l’atto secondo è la comunione con l’altro, senza soppressione della divergenza.” (Mangano, 1992)

La non violenza

Il concetto di conflitto è prettamente in chiave non violenta. Tutto l’operato Dolciano è non violento e contraddistinto da un approccio maieutico. Inizialmente Dolci si fece portavoce dei problemi degli abitanti di Trappeto, tramite azioni non violente di protesta come il digiuno; dal 1968 in avanti invece si concentrò maggiormente sul lavoro prettamente educativo, aprendo prima il Centro educativo di Mirto e in un secondo momento svolgendo e partecipando a seminari nazionali e internazionali. (Vigilante, 2011)

Danilo Dolci, poeta–educatore, si è sempre rivolto al popolo, alle persone che i problemi comunitari e di vita quotidiana li affrontavano quotidianamente. Per comprendere quali erano le dinamiche che dovevano essere modificate all’interno della comunità di Trappeto, Dolci si interrogava su cosa bisognasse cambiare e in che modo si potesse farlo. Il suo approccio educativo improntato sulla domanda lo portava a domandare e dialogare con i pescatori del posto, i contadini, gli analfabeti, con tutte quelle persone che all’interno di una società dominata dal mantenimento dello status quo, non avevano parola in capitolo; essendo relegata ai margini della società, le persone non potevano coltivare la fiducia necessaria in loro stessi e nelle loro potenzialità e possibilità di proporre un cambiamento che partiva dal basso, dalla stessa situazione che vivevano.

Il processo di coscientizzazione per Danilo Dolci significa “[…] chiarire le incoerenze, andare alle radici della violenza, problematizzare i bisogni; elaborare il progetto o costruire l’alternativa significa accedere, individualmente e collettivamente, all’azione nonviolenta.” (Mangano, 1992) L’impegno di Danilo Dolci è quindi contraddistinto dall’impegno nella creazione delle condizioni per le quali l’educazione possa svolgere un ruolo di coscientizzazione della situazione e delle potenzialità negli individui al fine di alimentare la speranza in un possibile cambiamento. Il lavoro di Dolci si svolge attraverso una doppia valenza, che prende in considerazione il cambiamento dell’individuo singolo favorendo la creazione di una cultura che possa essere a sua volta cambiamento di prospettiva all’interno di una comunità.

(Continua)

——————————————————————————————————————–

Le parti precedenti ai links:

——————————————————————————————————————–

Data:

15 Agosto 2024