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DE GUSTIBUS NON EST DISPUTANDUM, COGITA PRIUSQUAM DESPICERE!

Il piccolo principe nella sua innocenza e profondità, così come il semplice pastore errante dell’Asia leopardiano che interroga con intensità filosofica la luna sul perché della vita, ci presenta un aspetto importante del vivere: il binomio semplicità-profondità. Un bambino vede quello che uomini vissuti non sanno cogliere, un pastore, un contadino seguono quel senso della vita che esperti, specialisti non afferrano. Semplicità e profondità sembrano lontane, inconciliabili, lo sono per la banalità, la retorica che ordina, compone, rende levigato, omologato all’esterno quel magma incandescente che ribolle all’interno sotto una perfezione stigmatizzata, pietrificata, stataria, asettica, anaffettiva, classista. Se si scompone umoristicamente, pirandellianamente, si scopre un mondo vero, in evoluzione, ricco di contrasti che pulsano nelle variegate sfumature afferrabili con una riflessione sgombra da appesantimenti pregiudizievoli. Solo così si può andare oltre la muraglia che per Montale non ci lascia cogliere il varco, assaporare il genuino, l’autentico, che per il critico Croce è l’unica vena emozionante, senza la crosta pesantemente raziocinante…

La semplicità, di per sé apprezzabile, spesso bistrattata perché non associata alle bardature dell’“élite” pseudovippata, ci presenta una profondità che sfugge agli occhi di chi la bandisce dal vocabolario vivente degli orpelli fastosi. Si possono addurre moltissimi esempi variegati a riprova di ciò, ma piace scegliere la Canzone, per i molteplici aspetti “semantici” di contestualizzazione, recezione, musica, testo. Analizziamo Fin che la barca va, di Orietta Berti, anni ’70, accolta con sorrisino di superiorità, ritenuta sempliciotta come la sua cantante, dequalificata in seno alla rivoluzione di costume, della musica leggera di quegli anni: ci renderemo conto, così, della veridicità dell’assunto predetto.

Il ritmo è da canzonetta, filastrocca, semplice, come certe rime e la ripetizione, il cui uso risale alla tradizione orale per imprimersi nella mente… Niente di banale, pensando alle origini dell’identità letteraria di ogni civiltà: citiamo i poemi omerici, i canti diffusi dagli aedi, i vari miti, addentellati popolari. Scrive Saba “fiore e amore: la più antica e difficile rima del mondo”.

Comincia la canzone…

Il Grillo disse un giorno alla formica..

Ecco la favolistica Esopo, Fedro, Collodi, Rodari, che richiama stilemi del genere, gli animali parlanti, primo dei fili conduttori dei vari quadri.

La formica non si accontenta del pane, vuole il vino, ma deve aspettare! Concetto semplice ma profondo nella morale… volere un inopportuno “altro”, senza aspettare i tempi dovuti. L’attesa è importante, il “tutto e subito” attuale frantuma il ciclo naturale del tempo.

Il secondo quadro passa all’uomo, operando il collegamento uomo-animale e prospettandone le conseguenze: il Machu Picchu richiama altezze enormi, al di là dell’assonanza “Perù più”. “Chi troppo vuole nulla stringe”, semplice espressione che riprende il concetto classico senecano, lucreziano, della smania di possesso, avidità…si vuole sempre di più, non ci si accontenta. Ma così non si riempie il vuoto! Oggi si insegue la felicità, magari avendola, in una ricerca fine a se stessa; si perde tutto, si vuole arrivare in cielo, si superarono i limiti come la torre di Babele, come le colonne d’Ercole da Ulisse o da chi arrogantemente aspira all’impossibile, misconoscendo i propri limiti o ricorrendo a mezzi illeciti.

Fin che la barca va lasciala andare

Il ritornello e terzo quadro richiamano la barca che procede con il vento, con le vele, la navigazione secondo buoni auspici, nella giusta direzione. Simboleggiano l’assecondare le attitudini, i processi naturali, senza forzare, utilizzando i remi, in caso di necessità. Con semplicità si esprime un concetto profondo: non intervenire sempre, controllare, dirigere… saggezza orientale che si impernia sull’attesa, sulla pazienza, tolleranza, laddove oggi è invece tutto forzato, diretto, stressato.

Quarto quadro…quel che deve accadere accadrà, serendipidità, sano fatalismo che talvolta ti salva; non lottare contro la tigre, “siediti sulla sponda del fiume e aspetta”, la giustizia fa il suo corso, la fortuna e l’amore sono spesso incontri casuali, una ricerca affannosa non è vincente… siamo ancor oggi attratti da ciò tanto da affollare gli spalti del teatro greco di Siracusa, per assistere alla plastica drammatizzazione di tale pensiero ellenico.

E tu che vivi sempre sotto il sole

Quinto quadro… Chi vive nella propria terra, soleggiata come la nostra, a misura d’uomo, ricca di fiori e sentimenti, desidera andarsene, cercare altro, altrove: le belle donne di città, metropoli, Milano, affari, per poi trovare fretta, smog, anaffetività, botulino, solitudine… ecco l’eterno desiderio di passare dal semplice al grandioso, dalla campagna alla città, dal genuino all’artefatto, al trend di moda patinato di falso luccichio, alle donne omologate, alle metropoli spersonalizzanti.

Sesto quadro, ritorna il tema dell’amore e, per par condicio, il non accontentarsi anche nell’aver tanti fidanzati… non si ama l’unità, l’individuo, si desiderano i “tanti”…

Stasera mi è suonato il campanello

Ed ecco il quadro finale: l’imprevisto nella vita, l’occasione di un incontro, l’aprosdoketòn, la battuta finale a sorpresa come in Marziale, poeta satirico latino. Il cerchio si chiude come nei grandi romanzi e poesie, la cui struttura è circolare. C’è la curiosità ma il cancello non si apre… si resiste alla tentazione di una fuga, non si mette a repentaglio tutto, si salva, custodendolo, il proprio amore. La curiositas è positiva, fa ricercare, scoprire; ma è anche negativa: Psiche perde Amore, Ulisse trascina i compagni a morire, Lucio di Apuleio viene trasformato in asino… insomma, per curiositas talvolta si intraprendono strade sbagliate.

Resistere alle tentazioni: è questo uno dei significati profondi nascosti dietro una canzonetta apparentemente semplice, giocosa, banale. Non desiderare sempre oltre le possibilità, accontentarsi godendo di quello che si ha, aspettare i tempi dovuti, non scambiare il proprio bello con l’ignoto omologato, standardizzato.

Bisogna nella vita non fermarsi alla superficie, cercare di leggere tutto allegoricamente, da allon agoreuo, dico altro. A conferma di ciò, il fatto che recentemente la canzone, come per i testi d’autore che si prestano a varie interpretazioni, contestualizzate, è stata considerata un velato manifesto contro i migranti, l’immigrazione, una sorta di razzismo, quale quello che a tratti si è manifestato e pur indirettamente ha causato migliaia di morti. Panta rei, tutto si modifica; ma alla fine il messaggio per chi sa leggere oltre è che dietro la semplicità c’è la profondità, dietro una lacrima c’è un cuore ferito, dietro un urlo c’è un’anima sofferente, dietro un sorriso c’è una mano che si tende, dietro un semplice gesto entusiastico c’è un intelligente, passionale senso della vita che esplica energia positiva nell’incontro con chi sa apprezzarlo.

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Data:

11 Maggio 2021