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DEBITO PUBBLICO, I TRE PARADOSSI CHE CI SALVANO – A caro prezzo

Dopo la resa ai vincoli della Commissione Europea, che ha frenato la corsa del Governo italiano verso sempre più deficit e sempre più debito pubblico,  il rischio Italia non è più il fattore di instabilità percepito che era d’interesse per  la  Commissione UE. Non per nulla il caso Grecia, fallimento conclamato delle scelte politiche della UE, era stato uno dei fattori che hanno spinto la UE a finanziare il PNRR; in gran parte prestiti che hanno dato apparente respiro all’Italia dopo la pandemia, e che si riveleranno l’ennesimo cappio al collo quando dovranno essere restituiti.

Certo,  i componenti della  miscela esplosiva sono sempre lì, pronti a detonare al minimo innesco: se i mercati deprezzassero   i titoli di Stato italiani le banche italiane farebbero crack,  che dovrebbe essere ripianato con ulteriore debito, o con un aumento della pressione fiscale / diminuzione della spesa pubblica senza precedenti, che causerebbe recessione, che renderebbe più costoso pagare il debito, innescando  una spirale autodistruttiva che porterebbe l’Italia nelle condizioni già verificatesi per la Grecia, e forse anche peggio vista la situazione suicida di una Europa che, al minimo, getterà centinaia di miliardi in spese militari.

Invece, tutto è tranquillo. Le scadenze non sono più viste  viste con timore, perché le emissioni da vendere  sul mercato sono regolarmente vendute, anzi molto richieste. Gli acquirenti  si sono affollati alle aste e il Tesoro italiano ha rifinanziato il debito pacificamente. Può durare  e per quanto tempo? La situazione è instabile perché nasconde una trappola, e il Governo italiano attuale ci è caduto; non per sua colpa perché il Governo Draghi ha creato una soluzione da cui era difficile uscire senza danni peggiori. L’aspetto rischioso ,  infatti, è che la calma piatta  attuale resiste per  due paradossi. L’aspetto tranquillizzante  è che i due paradossi sussistono grazie ad una scommessa che è il terzo paradosso, ma che può sussistere  ancora per molto tempo, salvo fatti imprevedibili. La riduzione del debito pubblico italiano, che punta senza esitazioni ormai a 3.000 miliardi (erano 2.400 nel 2019), potrebbe avviarsi anche grazie alle politiche di taglio dello stato assistenziale di questo Governo. Ma da un governo dichiaratamente neoliberista non ci si doveva aspettare altro.

Il primo paradosso è che  la richiesta di titoli italiani è dovuta a  rendimenti maggiori  rispetto a quanto offrono altrove i mercati oggi. Interessi che non saranno  pagati attingendo al prelievo fiscale, sostanzialmente stabile nonostante tutti i provvedimenti per ridurlo, ma riducendo in termini reali altre spese pubbliche, come ad esempio:

– il servizio sanitario nazionale, che sta mostrando spaccature terrificanti;

– l’assistenza agli anziani, disabili, fragili, che invece doveva aumentare anche solo per mantenere invariata una sitiazione già pessima;

– l’istruzione;

– l’adeguamento “reale” al costo della vita dei vitalizi previdenziali pagati dall’INPS.

Queste scelte consentono al Governo di non attuare il necessario  maggior prelievo fiscale sui redditi alti, e stanno costando carissime ai redditi bassi e medi. 

Il secondo paradosso è che siano le banche a comprare per prime i titoli. Invece di alleggerire i propri bilanci dal rischio Italia, li stanno appesantendo di titoli  che consentono di abbellire i bilanci coprendo le inefficienze manageriali, e anche l’alto tasso di inflazione unito al mantenere  praticamente a zero i tassi pagati sui conti correnti ha contribuito allo “scoppiare di salute” delle banche. 

Il primo e il secondo paradosso sono resi possibili dal terzo e cioè che l’economia europea occidentale non cresce più: questo ha reso concreta una recessione o bassa crescita, e induce la Bce a ridurre lentamente i tassi d’interesse rendendo così  più appetibili  i titoli di Stato. La scommessa che riassume i tre paradossi e su cui si regge la tranquillità del Ministero del  Tesoro è che la banca centrale europea lasci le cose tranquille perché la situazione è di tale caos che agitare gli spettri di default di qualche Stato è l’ultimo dei pensieri.

Primo perché  rivelerebbe il disastro seguito alla decisione autolesionista di interrompere i legami economici con la Russia.

Secondo perché parlare di default mentre si parla di aumento della spesa militare, per definizione improduttiva, è insostenibile.

Terzo perché mantenersi buono uno Stato, l’Italia, completamente allineato alla politica guerrafondaia dei vertici UE è indispensabile.

Un Governo d’Italia che fosse lungimirante coglierebbe al volo l’occasione per fermare la crescita del debito pubblico, ma significherebbe più prelievo fiscale (diretto e indiretto) e ancor minore spesa pubblica; l’unico settore della popolazione a sostenerne il costo dovrebbe essere quel 20-30% più ricco dei contribuenti.  La  linea di condotta che il  Governo attuale segue è invece la riduzione del prelievo fiscale e  scaricare il costo sui contribuenti poveri; in modi anche molto sottil, ad esempio costringendo a ricorrere ai servizi sanitari privati;  anzi il Governo continua a promettere e attuare tagli di tasse, riduzione di aliquote, facilitazioni e quant’altro possa portare voti.

Questa purtroppo non è una scelta solo di questo Governo di centro-destra, lo era anche di governi di centro-sinistra, da quando la sinistra è slittata a destra. E’ una strategia pluridecennale di, più o meno, tutti i Governi passati, di destra e di sinistra e l’attuale  non fa eccezione.

Il rumore più tranquillizzante, in questo momento, alla sede della BCE di Francoforte, è  relativo il silenzio dei rigoristi. Uno dei più forti rigoristi, la Germania, è in crisi ed è una crisi prevedibilissima. La Germania ha voluto immigrazione per avere manodopera senza preoccuparsi di “che tipo” di immigrazione, e i conflitti interetnici sono esplosi; ha attivato rapporti con la Cina senza rendersi conto che stava formando dei concorrenti; si è allineata agli USA tagliando le forniture energetiche a basso costo dalla Russia. Le prospettive  per l’economia tedesca non sono incoraggianti, ancora meno quelle per la società della Germania, dove la società tedesca e quella non – tedesca si fronteggiano. Il risultato è che, ora, gli operatori dei mercati finanziari  credono  che i tassi d’interesse in Europa non riprenderanno a salire   e quindi il tasso  offerto oggi dai Btp  italiani attrae.

Gli Stati cosiddetti “frugali”  avvertono il peso delle incertezze attuali.  La UE sta infilando scelte suicide una dopo l’altra. Dalla rinuncia al gas russo a basso prezzo, alla scelta di massacrare il settore auto imponendo vincoli insostenibili ai costruttori, alle centinai di miliardi che sta stanziando per l’Ucraina, ogni scelta affossa sempre di più l’economia della UE, e in questo quadro il problema italiano diventa trascurabile.

Gli elettori italiani, purtroppo, debbono accettare la realtà. Per  ridurre la spesa per interessi  è necessario innescare una riduzione del debito pubblico. Per ridurre il debito è necessario azzerare il deficit pubblico e avere un avanzo. Questo può essere ottenuto solo o diminuendo la spesa pubblica, o aumentando il prelievo fiscale.  I servizi pubblici italiano devono  aumentare perché sono già inadeguati: il servizio sanitario e la ridistribuzione di reddito alla classe povera, anziani inclusi,  debbono crescere. Quindi, non resta che aumentare la  pressione fiscale.  Aumento che dovrebbe essere realizzato in modo da gravare come imposte dirette  sul quartile più ricco dei redditi,  realizzando una progressività  spettacolare, tappando alcune falle nel sistema fiscale che ne inficiano la progressività e semplificandone la gestione da parte dei cittadini.

Sono questi gli obiettivi perseguiti? Sembra proprio di no!  La proposta  di “tassa piatta” (“flat tax” suona meglio) va esattamente nel verso opposto.  Sostenere i costi di accoglienza di milioni di stranieri (con cittadinanza e non) anche. Una  tassa sull’acquisto di auto nuove sarebbe esemplare di come tassare i consumi di lusso e andrebbe nel verso giusto, ma dovrebbe essere estesa ad altri acquisti di lusso. L’elenco potrebbe continuare per pagine, ma il punto è che se l’Italia non vuole essere costretta a trovarsi nella situazione della Grecia deve iniziare a prendere i provvedimenti necessarii. Visti gli effetti sulla Grecia, però, tutti i provvedimenti “di riforma” consigliati alla Grecia dal Fmi e da altre congreghe di economisti liberisti si sono rivelati  assolutamente da evitare;  necessitano scelte più sottili e graduali, che però sembra i Governi italiani non vogliano, o non sappiano, o non possano,  attuare.

Si afferma solo che occorre  ottenere più crescita, sperando che questo offra risorse monetarie che consentano di ridurre il debito evitando il ricorso alla  leva fiscale. Il PNRR voleva  rilanciare la crescita economica con un piano basato su  nuovi investimenti e sblocco degli appalti. Ma il Piano si è trasformato in un incremento di spesa pubblica non finalizzata a investimenti forieri di crescita “buona”, che è quella in conoscenza e innovazione. Invece di assiste  a una pioggia di investimenti che spesso avrebbero dovuto essere a carico della spesa pubblica consueta.

Per quanto riguarda gli investimenti pubblici, oltre ai fondi per le opere dei piccoli comuni, occorrono piano per prevedere stanziamenti per il dissesto idrogeologico nel Mezzogiorno, per la siccità, per gestire le alluvioni. Ma ci sarebbero anche misure per le famiglie, come il fondo di garanzia per l’ acquisto della prima casa, e per i professionisti, con nuove agevolazioni per il rientro dei cosiddetti ”cervelli”. L’elenco è infinito.

Si sta  anche riducendo il costo del lavoro  attraverso ulteriori provvedimenti: misura suicida  perché riduce le tutele, il benessere sociale, e riporta indietro l’Italia di decenni.  Se si vuole ridurre il costo del lavoro è macchinoso limare tutele e altro, basta ridurre il salario lordo contrattuale. Misura semplice e chiara, evitata forse proprio perché chiara.  Offrire stipendi bassi  ai nuovi assunti nella Pubblica Amministrazione, tagliare quelli della dirigenza, riattivando le assunzioni e offrendo posti a tempo indeterminato ai giovani, darebbe un messaggio chiarissimo. Per ridurre il costo del lavoro il PD di Renzi ha perseguito la  strada tortuosa e complicata di ridurre tutele senza farlo troppo apparire, anche cancellando l’art.18 dello Statuto dei Lavoratori, rendendo oggi “precari” di fatto anche i lavoratori a tempo indeterminato; questa scelta è stata proprio quella che ha fatto percepire ai suoi elettori che il PD non era più il Partito “dei poveri”, innescando un calo di voti che probabilmente non sarà mai recuperato e sta portando a una involuzione della “vecchia” sinistra. La fiducia è una cosa seria, e il PD ormai non ha più la fiducia delle masse di poveri italiani. Il PD stava a Renzi come il PSI stava a Craxi, e sta lentamente seguendo la stessa parabola. Non per nulla Forza Italia, per molti aspetti  senso erede del PSI di Craxi, sta facendo scelte tattiche (come quelle dello “ius schole”, cioè conferire la cittadinanza a giovani stranieri che frequentino tot anni di scuola in Italia) inspiegabili se non per essere gradevoli per il PD, partito xenofilo di eccellenza.

Se Lega, FdI e FI riuscissero a innescare un meccanismo di riduzione progressiva del debito pubblico,   si avrebbe una riduzione dello spread che faciliterebbe una ulteriore riduzione del deficit, in un circuito virtuoso che renderebbe molto probabile una stravittoria alle prossime elezioni politiche nel 2027?). In ogni caso, la  progressiva riduzione del debito pubblico italiano dovrà continuare anche allora.

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Data:

26 Aprile 2025

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