Attacco al Congresso, parte due. A neppure tre mesi dall’assalto dei sostenitori di Trump, Capitol Hill ripiomba nella paura, anche se quanto accaduto sembra essere riconducibile più a un episodio isolato che al preludio di una lunga serie di incursioni.
Alle 13:02 di venerdì 2 aprile (ora locale), quando in Italia era già sera, un uomo a bordo di una berlina blu ha percorso Constitution Avenue ed è riuscito a oltrepassare le barriere della polizia schierate attorno al Congresso degli Stati Uniti. Tali misure di sicurezza erano state predisposte proprio dopo gli avvenimenti dello scorso 6 gennaio, affinché nessun malintenzionato potesse raggiungere la sede del governo. Ma non sono bastate a fermare l’ira del solitario assalitore, che si è introdotto nell’area protetta attraversando a folle velocità un varco sul versante nord, forse rimasto aperto per consentire il passaggio a vetture autorizzate. Un attimo di disattenzione, in cui evidentemente la vigilanza ha vacillato, è costato la vita a un primo agente e il ferimento a un secondo, attualmente in gravi condizioni. Dopo essersi schiantato contro una pedana di acciaio, l’incursore è infatti sceso dal suo veicolo armato di coltello, scagliandosi contro i militari presenti, prima di essere abbattuto dalle forze dell’ordine. Gli uffici del Congresso sono stati blindati e nell’intero quartiere è immediatamente scattato il divieto di circolazione, revocato di lì a due ore perché scongiurata l’ipotesi dell’attacco terroristico.
L’aggressore, deceduto a seguito del trasporto in ospedale, era un 25enne di nome Noah Green, originario dell’Indiana. Il giovane non era noto alle forze dell’ordine e, come accennato, non faceva ufficialmente parte di alcuna organizzazione terroristica; tuttavia, stando ad una prima analisi dei suoi profili social, pare simpatizzasse per il Nation of Islam, “setta islamica militante” nata a Detroit nel lontano 1930 da un movimento afroamericano. “Non abbiamo traccia del sospetto nei nostri file. Non risulta che fosse in qualche modo collegato ad alcun parlamentare” sostiene Yogonanda Pittman, comandante della Us Capitol Police, lasciando spazio a molteplici dubbi circa il possibile movente del misfatto. Ciò che appare strano è che l’uomo abbia deciso di attaccare il Congresso proprio ieri, giorno in cui le strutture istituzionali erano praticamente semivuote. Alle 13:02 la Camera aveva già ampiamente sciolto la riunione formale fissata per quella mattina, dandosi appuntamento a lunedì 5 aprile; analogamente, in Senato non era previsto alcun incontro che potesse dar adito alla collera dei dissidenti, risultando pressoché deserto. Biden aveva lasciato Washington da oltre 45 minuti, a bordo di un elicottero che l’ha condotto a Camp David, nel Maryland, per le festività pasquali. Ricorrenza che sarà certamente amara per il Presidente, il quale si è detto “devastato”; proprio adesso che tutto sembrava andare per il verso giusto, complici il successo della campagna vaccinale e il complessivo miglioramento della condizione pandemica. La morte dell’agente ha tristemente macchiato di sangue il venerdì di Passione, e tutti gli edifici pubblici americani hanno esposto bandiere a mezz’asta in segno di lutto.
A fare da sfondo all’intera vicenda è la tematica della sicurezza del Congresso, che, sollevata dai fatti dello scorso 6 gennaio, torna ora a dividere istituzioni e opinione pubblica. Solo il 23 marzo scorso, sull’onda dell’ottimismo che ormai si respirava a Capitol Hill, era stata disposta la rimozione degli sbarramenti più esterni; ma già in quel frangente la Us Capitol Police si era detta contraria al progressivo abbassamento delle difese, in un monito “premonitore” di quanto sarebbe accaduto appena dieci giorni dopo.