Le analisi storiche portano alla luce notizie interessanti sui motivi alla base di una pratica diffusa che ha avuto pro e contro.
Uno tra i primi a parlare di delazione è stato lo scrittore e storico Publio Cornelio Tacito ma anche l’antica Grecia ha tentato di regolamentare la figura del collaboratore. A distanza di secoli in Italia il tema della segnalazione di fatti illeciti è ritornato di preponderante attualità
La delazione, sostantivo di origine latina derivato dal verbo deferre ovvero denunciare, è stata oggetto di una nutrita ricerca storica e bibliografica che fa risalire le sue origini alla Roma imperiale e all’antica Grecia. In entrambi i casi emergono alcuni elementi interessanti sottintesi all’utilizzo di questa pratica.
I motivi e l’uso delle informazioni
Le analisi storiche portano alla luce notizie interessanti sui motivi che spingevano a reclutare i delatori e questi ultimi a prestarsi alla delazione. Sul punto emergono due indirizzi prevalenti. Il mandante, era spinto a farlo per prevenire, controllare e reprimere certe situazioni o per compiere vendette personali. L’esecutore, invece, era mosso da finalità lucrative, di vantaggio personale oppure perché poco incline a tollerare situazioni di illegalità.
Tacito e il ruolo della delazione
Uno tra i primi a parlare di delazione è stato lo scrittore e storico Publio Cornelio Tacito che, negli Annales, la descrive come una pratica diffusa ai tempi di Tiberio tra i senatori al punto che “nulla di più pericoloso ed iniquo producevano quanto le segrete o pubbliche delazioni dei più cospicui membri del Senato”. E i motivi per cui si diveniva delatori erano tra i più abietti al punto che Tacito ricorda “molti divennero delatori per avarizia e per ambizione, altri per la propria salvezza e i più perché il tradimento erasi reso un male quasi contagioso e comune”. Ma la delazione aveva anche un rovescio della medaglia perché spesso i più iniqui delatori “caddero anche sotto lo stesso Tiberio nel medesimo precipizio in cui essi gettato avevano tanti infelici”. E sempre Tacito si sofferma sul ruolo della premialità attribuita ai delatori che definiva “razza di uomini inventati per la pubblica rovina, non abbastanza tenuti a freno neppure dalle pene, venivano ora incoraggiati con la prospettiva dei premi”.
La Grecia e il ruolo dei Sicofanti
In Grecia, invece, si deve a Solone, nel VI secolo, la prima regolamentazione della figura dei Sicofanti che fu istituita per tutelare gli interessi collettivi. A questa categoria appartenevano quei cittadini che si erano distinti per aver denunziato reati contro lo Stato e violazioni comuni della legge. Commettere un reato contro le istituzioni era come rendersi responsabile di un delitto contro gli interessi della collettività. Per questo motivo a chi denunziava situazioni di illegalità era attribuito un ruolo di “peso” nella scala sociale del tempo. Le cronache raccontano, però, anche di accuse infondate o costruite ad arte per ragioni politiche, che avrebbero di lì a poco vanificato l’originaria utilità di questa figura. Ancor prima dell’intervento di Solone, i Sicofanti, da cui l’origine etimologica del termine (“sykophantes”, composto da un sostantivo (fico) e da un verbo (mostrare, denunciare) erano coloro che denunciavano alle autorità gli esportatori di fichi dall’Attica. I fichi appartenevano a quella categoria di prodotti considerati un alimento primario per la povera gente e, pertanto, una legge annonaria del tempo ne vietava l’esportazione.
Augusto e le prime leggi sui collaboratori di giustizia
Augusto, al pari di Solone, è stato uno dei primi Imperatori a mettere a punto una serie di leggi per regolamentare la figura del collaboratore. Nel caso specifico contro l’evasione delle imposte. Lo schema prevedeva il reclutamento di privati cittadini. La conoscenza di ambienti frequentati da persone responsabili di comportamenti rilevanti per l’attività di controllo del gettito fiscale, era condizione necessaria per procedere all’informativa e alla denunzia. Anche in questo caso, però, l’istituzione di questa figura non mancò di suscitare tumulti e malumori dato che le informazioni erano spesso prive di fondamento e usate per consumare vere e proprie vendette personali. Il problema che si pose al legislatore del tempo fu proprio quello di evitare che le informazioni trasmesse fossero prive di quelli che, in linguaggio tecnico, erano definiti i sollemnia accusationis ovvero precisi e circostanziati atti di accusa. Al punto che Costantino con il suo editto (312 d.C.) decise di eliminare la figura dall’ordinamento. A evidenziarlo alcune ricerche condotte da studiosi della materia processuale dell’antica Roma.
Segnalazione o delazione? Veniamo a noi
A distanza di secoli da quegli avvenimenti, che conservano il sapore dell’attualità, si è aperto sul tema un ampio dibattito in Italia che ha investito l’uso delle informazioni e la tutela di chi denunzia le situazioni di illegalità. Sul punto c’è chi ritiene che la denunzia di situazioni illecite rischia di trasformarsi in una e vera e propria delazione e chi pensa che la segnalazione sia invece un modo per richiamare l’attenzione su un fatto illecito soprattutto quando si parla di corruzione.
Gli ultimi interventi normativi
In Italia tra il 2012 e il 2019 vi sono stati tre interventi normativi di rilievo: la legge Severino (legge n. 6 n. 190 del novembre 2012) con misure per la trasparenza dell’attività amministrativa e la tutela del dipendente pubblico che denuncia e riferisce di condotte illecite apprese in ragione del suo rapporto di lavoro; la legge Grasso (legge n. 69 del 27 maggio 2015) che contiene una disciplina penale della corruzione pubblica e fattispecie contigue con strumenti più stringenti contro il crimine, misure più efficaci e pene più severe; la legge n. 3 del 9 gennaio 2019, cosiddetta Spazzacorrotti, che con misure di contrasto ai reati contro la Pubblica Amministrazione, di prescrizione e di trasparenza dei partiti e dei movimenti politici e delle fondazioni, con riferimento al loro finanziamento.
In Svizzera e negli Stati Uniti diffuso il sistema delle segnalazioni
In Svizzera dal 2015 è stato istituito un numero verde dedicato agli informatori anonimi, proprio per combattere la corruzione. Negli Stati Uniti è grazie ai privati cittadini e alle loro informazioni riservate che il Fisco federale ha potuto recuperare svariati milioni di dollari, frutto dell’evasione fiscale. E questo senza nulla togliere ai sofisticati strumenti di intelligence messi in campo dall’IRS, l’Agenzia americana delle Entrate, per arginare un fenomeno, quello dell’evasione fiscale, che ogni anno erode ingenti risorse alla comunità. In questo caso, però, non si tratta di ex appartenenti alle organizzazioni criminali, divenuti collaboratori di giustizia, ma di semplici contribuenti. Il fenomeno, è bene sottolinearlo, affonda in parte le proprie radici nel civismo ma ha anche una precisa valenza premiale. Il sistema delle segnalazioni, infatti, introdotto dal Congresso americano, non ha mancato di suscitare critiche e perplessità. Nel mirino proprio quel meccanismo di premialità, di cui si lamentava Tacito negli Annales, sottinteso a ogni informativa riservata e che può arrivare a garantire al collaboratore sino al 30% della somma recuperata.
Collaboratore e testimone di giustizia
Ben diverso il ruolo dei collaboratori e dei testimoni di giustizia a cui l’ordinamento negli ultimi decenni ha attribuito una differente valenza. Il collaboratore di giustizia, definito con un linguaggio proprio della cronaca giornalistica pentito, affianca, sotto il profilo della ricerca delle prove e dei riscontri, il meticoloso e più vasto lavoro di indagine, svolto dai magistrati e dagli investigatori, in prima linea nella lotta contro la criminalità organizzata. Il collaboratore di giustizia è in genere chi ha fatto parte di una organizzazione criminale e a un certo punto ha deciso di dissociarsi.
E se è vero che i pentiti sono stati e continuano a rappresentare, a certe condizioni, uno strumento utile per l’ordinamento penale è altrettanto vero, però, che la collaborazione con la giustizia può essere esercitata in altre forme. È il caso di chi intende informare le autorità dopo essere venuto a conoscenza di un fatto criminoso, il c.d testimone di giustizia. A differenza del collaboratore di giustizia, ha chiarito il Consiglio di Stato (Cons. Stato, sez. III 13 marzo 2019, n. 1678), il testimone di giustizia è estraneo alle vicende, oggetto di propalazione. Nel 2018 la materia ha trovato, dopo il decreto legge n. 8 del 1991, convertito nella legge n. 82 del 15 marzo 1991, e la legge n. 45 del 13 febbraio 1991, una sua precisa regolamentazione con la legge n. 6 dell’11 gennaio “Disposizioni per la protezione dei testimoni di giustizia”.
Fonti bibliografiche
- Storia della decadenza dei costumi, delle scienze e della lingua dei Romani di Christoph Meiners
- Giustizia Amministrativa – Focus di giurisprudenza e pareri Collaboratori di giustizia, Testimoni di giustizia
- Sycophantes, in William Smith A Dictionary of Greek and Roman Antiquities
- Fisco: contro gli evasori, sì ai collaboratori di giustizia – G. Di Muro ( FiscoOggi 2008)
- Resoconto stenografico Senato 23 novembre 2015
- Legge 69/2015 e disciplina dei delitti della PA di G. Domeniconi