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DELL’UTOPIA,DEL PRINCIPIO SPERANZA E PRINCIPIO RESPONSABILITA’-II^

Del principio disperazione: Günther Anders

Auschwitz, il Gulag, Hiroshima, Cernobyl, le guerre di “pulizia etnica” in atto, nonché l’attacco della Russia all’Ucraina, con la minaccia della guerra atomica, la povertà e la fame nel mondo sono i terribili esiti della desertificazione dello spazio/tempo della vita e della storia.

Günther Anders è stato il primo a riflettere sulla drammaticità di questo processo di sconvolgimento, di cui Hiroshima è stato il punto di approdo irreversibile. Con Hiroshima, per la prima volta nella storia, l’immaginazione scalza e surclassa la fantasia e l’immaginario dell’umanità. Reale ed immaginario dello spazio/tempo atomico superano per forza, plasticità e terribilità di conseguenze le capacità mitopoietiche degli esseri umani.

Il mito sprigiona direttamente dalla ritualità poietica della macchina atomica. Qui Prometeo si libera delle catene e, come osserva Anders, diviene figura onnipotente in negativo: in qualunque istante e punto dello spazio/tempo la bomba può distruggere il mondo e la vita nel mondo, senza più possibilità alcuna di costruzione e ricostruzione.

cms_28674/2_1670899337.jpgQuesta onnipotenza negativa è, dunque, impotenza affermativa, da cui deriva l’annullamento della distanza e della durata. Lo spazio e il tempo divengono caricature di se stessi, mentre l’orizzonte di tutto quello che ci riguarda come persone riguarda direttamente il mondo e quel che appartiene al mondo appartiene direttamente ad ognuno di noi.

Mentre spazi e tempi globali si estendono all’infinito, ci sfuggono l’etica della responsabilità e della convinzione rispetto alla nostra singolarità e rispetto al mondo, nello spazio/tempo globale, in cui dovremmo essere responsabili di tutto e di tutti, mentre non riusciamo a responsabilizzarci su niente, nemmeno sulla singolarità della nostra vita. Nel momento in cui tutto tende a dipendere da noi, noi non dipendiamo più da noi stessi, ma dalli automatismi emotivi e di ordigni macchinali: nasce la tentazione e l’ossessione del “no future”.

Nessun luogo e nessun istante costituiscono più una dimora sicura; da qui l’ansia di afferrare il tempo secondo le forme dell’ipertrofia dell’Io che dilata in maniera abnorme il presente. Da tutte le dimore cerchiamo di fuggire, nell’impossibilità di mettere radici in un tempo e in uno spazio devastati e inquinati, ormai senza terra, senza mare e senza cielo.

Quale esodo può mai salvarci, a questo punto? Quale terra promessa sta ancora di là dalla linea di confine che delimita la schiavitù? Quale frontiera si lascia alle sue spalle l’avvelenato orizzonte della situazione atomica?

Dobbiamo salvarci da questo mondo? Oppure salvarlo? L’uno e l’altro. Mentre non esiste nello spazio/tempo globale del pericolo atomico la possibilità dell’esodo, fuori della terra inquinata del presente entro cui siamo confinati, non esiste nessuna terra promessa.

La nostra responsabilità primaria è disinquinare la terra dai veleni coi quali l’abbiamo cosparsa e riempita. Le nostre convinzioni debbono finalmente ruotare attorno alla consapevolezza che al di fuori di questa terra e di questo mondo non ne abbiamo altri: da questo deve partire il cammino della nostra libertà. Possiamo salvarci da questo mondo solo se lo salviamo; possiamo salvare questo mondo solo salvandoci dai suoi mali.

Questo mondo può essere, insieme, l’ultimo e il primo: l’ultimo della vita vecchia, consunta e adulterata; il primo di una “vita nuova”, in uno scenario forse diverso da quello indicato da Heidegger e Marx. Noi siamo le prime generazioni che vivono sul ciglio tragico in cui morte e rinascita si incastrano l’una nell’ altra, in cui l’orrore del mondo e per il mondo si può ribaltare in rivolta e amore per la vita e la libertà. Intorno a queste pulsazioni profonde prende origine “l’amore per il mondo” di Hannah Arendt.

Se è vero, come sostiene Anders, che quanto più grande è l’effetto dell’agire, tanto più è difficile concepirlo, altrettanto vero è che non c’è effetto più difficilmente concepibile e immaginabile di quello collegato all’azione della libertà.

Niente è più grande della libertà

cms_28674/3.jpgQualora irrompa l’agire della libertà, lo “scarto prometeico” di Anders assume ben altra configurazione. Lo “scarto prometeico” tra l’agire e l’immaginare assume un risvolto catastrofico e angosciante soltanto se lo spazio/tempo atomico viene emotivamente e concettualmente fatto assurgere a centro totalitario della storia e dell’esistenza. Sono gli effetti dell’azione libera a risultare incalcolabili e impredicibili, ben più di quelli delle prassi collegate all’ordigno atomico.

È la libertà, non la bomba atomica — per far uso del lessico andersiano —, il vero e proprio discrimine. Lo stupore sta sempre di fronte alla vita: in faccia alla morte, la fantasia e la meraviglia ripiegano negli automatismi del sempre eguale. Eppure, niente è più grande della libertà. Diversamente dalla bomba atomica, la libertà provoca delle reazioni creative, sollecita la fantasia e l’immaginazione. Ecco perché la politica che si fa sistema chiuso e la rivoluzione che si esprime in superstizione e dogmatismo, si tutelano preventivamente contro la libertà, inibendola e interdicendola.

Come ci indica Anders, nella gabbia dello spazio/tempo atomico nessuno di noi sa cosa fa e cosa gli viene fatto. Nella prospettiva dell’azione libera, invece, ognuno si posiziona rispetto al flusso della propria esistenza e di quella altrui: ritorna a sapere sul proprio conto e sul conto dell’Altro, fino a rimettere costantemente in discussione il proprio sapere. La prospettiva della libertà ci consegna ad un’esperienza più densa del tempo.

Per effetto della bomba atomica, domani potremmo non esistere. Se questo carico di angoscia aumenta giorno dopo giorno la sua pressione, sciogliendosi in tutti i nostri sentimenti e in tutte le nostre preoccupazioni, puo’ aver luogo esistenzialmente e storicamente un movimento contrario: ora e domani potremmo vivere secondo modalità di esistenza mai così ricche, per effetto della libertà e degli effetti della sua azione.

Speranza e responsabilità si riannodano proprio attorno al nucleo insopprimibile della libertà. Il corso di questo nucleo è il movimento reale dell’utopia. Se, come osserva Anders, la bomba atomica estingue la distinzione classica tra ontologia e morale, la libertà reintroduce la frattura tra essere ed etica.

I motivi dell’etica

cms_28674/4.jpgI motivi dell’etica non possono risolversi nella pura e semplice conservazione dell’essere, ridotto a quella sopravvivenza minima che, nel “tempo della fine”, diluisce quotidianamente la “fine dei tempi”. Per contro, i motivi dell’esistenza non si risolvono nel “conservatorismo ontologico” che intende preservare l’essere e il mondo così come sono, nella presunzione rassegnata che nessun rilevante cambiamento sia ormai più possibile. Mai niente può essere veramente conservato, se non viene investito nel flusso e dallo slancio del cambiamento, della svolta, della rivolta.

Cambiamento, svolta e rivolta sono possibili unicamente collocandosi dalla parte della libertà, attraverso il lavoro responsabile e la speranza costruttiva. Le ragioni della libertà stanno oltre il dubbio, fermo davanti all’alternativa essere/non essere. La libertà si sposta dall’essere al non essere e dal non essere all’essere.

Essere e non essere, allora, sono condizione l’uno dell’altro, come mondo e mancanza di mondo. Allo stesso modo con cui malattia e guarigione, vita e morte sono l’una il presupposto necessario dell’altra. Autenticità e inautenticità dell’esistenza abitano tanto l’infinito della libertà che la povertà della schiavitù. Lo scandalo vero non è la presenza del male nel mondo, bensì la presenza del bene.

L’utopia come chiave di lettura dei tempi

cms_28674/5.jpgAllora, non è la teodicea la chiave di lettura con cui procedere all’interrogazione del tempo, ma l’utopia. L’utopia scava negli eventi senza senso e nei vissuti, restituendoli alla memoria di ciò che erano e di ciò che li ha corrotti.

L’utopia non è solo memoria delle origini, ma è valico, ricchezza del presente e memoria del futuro. Come afferma Simone Weil, sono le condizioni in cui viviamo ad avvelenare la speranza, ad ucciderla. Sperare è l’atto attraverso cui modifichiamo le condizioni di tristezza e oppressione in cui viviamo. Se sperare significa modificare l’esistente, il cambiamento è quell’assunzione di responsabilità che ci rende vivi e liberi.

Fine

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Data:

13 Dicembre 2022