La democrazia, almeno il concetto che abbiamo imparato a conoscere nel corso dei secoli e tramandatoci dalla Grecia classica, oggi appare sempre più a rischio scomparsa. La fortissima pressione esercitata dal controllo dell’informazione e dal possesso dei nostri dati da parte del nuovo capitalismo digitale, rappresentano un’opera di addomesticamento collettivo messo all’opera dalle nuove tecnologie, sempre più mezzi di controllo e sempre meno mezzi di comunicazione.
Le nostre azioni sviluppate sulle piattaforme digitali sono sotto continuo monitoraggio per far sì che da questa enorme mole di informazioni vengano estrapolate da appositi algoritmi, i cosiddetti big data, immensi archivi che, elaborati secondo schemi preimpostati, rendono estremamente vulnerabili e trasparenti le nostre conoscenze, i nostri desideri e permettono nel contempo una distribuzione targettizzata e preconfezionata di notizie. Le piattaforme digitali sono le assolute protagoniste nell’aver reso fragile il nostro sistema democratico dal momento che, come un cavallo di Troia, riescono a manipolare e a modificare i sentimenti e le opinioni di milioni di utenti. Sono i detentori dell’informazione on line i veri artefici del potere di inferenza sugli orientamenti e sulle scelte decisionali. A noi rimane non rimane altro che una presunzione di autonomia e libertà di ciò che facciamo all’interno del mondo digitale, un mondo in cui il consenso non viene più estorto a forza di minacce fisiche ed esilio, ma si ottiene con mezzi più soft e soprattutto con il conformismo. Tutto probabilmente è partito allorquando negli Stati Uniti qualcuno ha compreso che il vero timone del cambiamento fosse implementare nella coscienza dei cittadini la cultura del desiderio e che dunque fosse finita la stagione della cultura dei bisogni.
Lavorare sulle emozioni divenne il mantra dell’industria delle merci nel XX secolo, sollecitare le profondità della sfera emotiva irrazionale dell’uomo affinché scatti la molla giusta per cristallizzare nell’immaginario collettivo il desiderio del possesso di un dato oggetto reclamizzato con dovizia e attenzione psicologica dell’utente finale. Il consenso verso il mondo delle merci ben presto si spostò a quello politico e alla propaganda; la psicologia delle masse ebbe i suoi profeti e i suoi adepti, nacque un nuovo spirito partecipativo basato sul consumo ergo sum. Spostandoci all’oggi il pericolo è ancora più insidioso perché più invisibile e ambiguo. A dominare le nostre scelte è un Golem che conosce bene chi siamo e cosa proviamo: l’algoritmo. Esso regola ogni nostra attività svolta in un territorio che gli appartiene, la piattaforma social. Il Golem-algoritmo gioca in casa sua, gode di vita autonoma ed è in grado di effettuare scelte rilevanti per le nostre decisioni e per le nostre emozioni. Ovviamente sotto quest’architettura autonoma e invisibile agli occhi dei più, vi è anche il ricorso all’intelligenza artificiale, un sistema basato sul cosiddetto apprendimento automatico in grado di capire, individuare e ricordare gusti e preferenze così da strutturare un news feed su misura per ognuno di noi. Siamo circondati e poco speranzosi di un possibile cambiamento di orizzonte tale da mettere l’utente al centro del processo comunicativo, e non per ottenere volontariamente da lui le informazioni così da ritagliare artatamente i suoi gusti e i suoi più inconsci desideri. Aggiungere consapevolezza alle azioni di ogni giorno davanti a un monitor è un buon punto di partenza, ritagliarsi momenti di “trasgressiva” conversazione faccia a faccia sarebbe poi una vittoria insperata.