Di Maio attacca Draghi: “Avvelena il clima”
Luigi Di Maio attacca Mario Draghi dopo il monito lanciato ieri dal presidente della Bce sull’aumento dello spread che sta incidendo sul capitale delle banche italiane. “Mi meraviglia che un italiano a capo della Bce si metta ad avvelenare ulteriormente il clima – ha detto il vicepremier ospite di ’Nemo’ su Rai2 -. Stiamo facendo una manovra mai fatta prima, dalla parte dei deboli e non delle lobby e delle banche”. Quindi ha aggiunto: “Stiamo mantenendo le promesse e non torniamo indietro”.
Parlando con Enrico Lucci, Di Maio ha spiegato che “sostenere le banche non significa prendere i soldi agli italiani”, ribandendo che “lo spread sale perché c’è la paura che noi vogliamo uscire dall’euro e dall’Europa”. “Ma non è vero – ha rimarcato il vicepremier – non è nel nostro contratto di governo e noi non vogliamo uscire”.
Il ministro del Lavoro e dello Sviluppo Economico ha poi affrontato il capitolo Standard&Poor’s, che dopo la bocciatura di Moody’s la scorsa settimana, potrebbe annunciare stasera “prospettive negative” sulla tenuta del debito italiano che preludono a un possibile declassamento tra pochi mesi. “Non ho paura del giudizio di Standard&Poor’s – ha sottolineato Di Maio -. La Francia è più indebitata di noi, che abbiamo un debito privato quasi inesistente e questo crea stabilità”.
Di Maio non ha risparmiato, infine, una stilettata all’ex premier, Matteo Renzi. “Ci vuole poco a essere meglio di Renzi, ma decideranno i cittadini – ha osservato -. Al Circo Massimo c’erano 30mila persone, e se guardate la nostra area bibite, quello era il numero delle persone della Leopolda”.
Salvini: “Errore di uno non infanga l’Arma”
“Da ministro non ammetterò mai che l’eventuale errore di uno permetta a qualcuno di infangare il sacrificio e l’impegno di migliaia di ragazzi e delle ragazze in divisa”. Così il ministro dell’Interno Matteo Salvini intervenendo alla celebrazione del 40° anniversario della fondazione del Gis, il Gruppo Intervento Speciale Carabinieri a Roma. Il vicepremier, pur non facendo direttamente riferimento al caso Cucchi, torna sulla vicenda del geometra 31enne, deceduto nel 2009 dopo essere stato arrestato per possesso di droga. “Mai niente e nessuno potrà mettere in discussione il vostro onore, la vostra fedeltà e lealtà“, ha aggiunto il ministro.
Parole che sembrano fare eco a quelle pronunciate dal comandante generale dell’Arma dei carabinieri, Giovanni Nistri: “Si deve ricordare che nella virtù dei 110.000 uomini che compongono l’Arma che abbiamo tratto e traiamo la forza per continuare a servire le istituzioni – ha detto Nistri -. Sono molti di più dei pochi che possono dimenticare la strada della virtù’’. A margine del suo intervento, il comandante generale dell’Arma ha quindi evidenziato: “Sono uomini che lavorano in silenzio, senza esporre le proprie opinioni; lavorano con umiltà, professionalità e capacità. Il motto dei Gis sostanzialmente dice: ’è la virtù dei singoli che fa la forza del gruppo’”.
Nistri ha quindi augura ai suoi uomini di “continuare a essere quello che sono sempre stati”. E di ricordare che “nessuno di noi lavora per se stesso, nessuno di noi non fa altro che il dovere, dell’onestà, della correttezza, del bene della nazione. Questa è l’immagine che tutti i giorni i cittadini vedono dei carabinieri in Italia e all’estero”.
Più dura la ministra della Difesa, Elisabetta Trenta: “L’Arma è sempre stata vicina al cittadino e ogni singolo carabiniere è sempre stato, ed è, punto di riferimento per i cittadini onesti – ha sottolineato -. Un esempio di rettitudine, integrità e coerenza, interiorizzazione del senso di responsabilità. Ma laddove si accerti la negazione di questi valori si deve agire e accertare la verità, isolando i responsabili allo scopo di ristabilire quel sentimento di fiducia da parte dei cittadini nei confronti delle istituzioni“.
RAI:Foa alle strette
Tensione ai piani alti di Viale Mazzini e anche negli ambienti politici esterni al palazzo. Sta aumentando, infatti, la pressione attorno al presidente della Rai affinché il Cda venga convocato perché ci sono questioni aziendali di ordinaria amministrazione importanti per il funzionamento dell’azienda che, se passa altro tempo, rischiano di diventare di straordinaria amministrazione. La lentezza con cui si sta muovendo la Rai viene rilevata anche fra gli esperti del settore che fanno notare come questo stallo faccia ancora più scalpore a fronte della recente riforma della governance che in teoria ha velocizzato tutti i processi decisionali trasformando il direttore generale in un amministratore delegato con le relative responsabilità ma anche libertà di azione.
Detto ciò non sembra che il Cda della Rai sarà convocato questa settimana e chissà se questo si concretizzerà durante la prossima, considerato che il presidente Marcello Foa, cui spetta il compito di farlo, si troverebbe in una difficile strettoia fra chi preme, nel mondo politico, per far slittare ancora il consiglio in attesa che si trovi un accordo soddisfacente per tutta la maggioranza, e chi, invece, è più attento all’operatività dell’Azienda e spinge per entrare rapidamente nel vivo delle cose da fare, che non sono poche, e recuperare alla svelta il tempo perduto.
In tutto questo, a quanto apprende l’Adnkronos, sembra che l’ostacolo principale alla quadratura del cerchio sia il fatto che il Movimento Cinque Stelle, in assenza di punti di riferimento propri, continui a proporre nomi troppo vicini alla sinistra e ostili a tematiche che stanno molto a cuore alla Lega. D’altro canto ci sarebbe anche diffidenza all’interno del M5s nei confronti della Lega che, secondo i pentastellati, sarebbe pronta a boicottare qualunque loro proposta per il Tg1 (non solo Giuseppina Pateriniti, quindi, ma anche eventualmente Giuseppe Carboni). Tg1 che, secondo il M5s, alla fine, a forza di tirare la corda con un ennesimo slittamento, la Lega vorrebbe per sé.
Tap si farà
Il governo vuole procedere alla realizzazione della Tap. Ad annunciarlo è il presidente del Consiglio Giuseppe Conte dopo aver ricevuto il rapporto del ministero dell’Ambiente che conferma la legittimità del progetto. “Gli accordi chiusi in passato – spiega il premier – ci conducono a una strada senza via di uscita”. “Interrompere la realizzazione dell’opera – sottolinea – comporterebbe costi insostenibili, pari a decine di miliardi di euro. In ballo ci sono numeri che si avvicinano a quelli di una manovra economica”. “Abbiamo fatto tutto quello che potevamo, non lasciando nulla di intentato. Ora però – dichiara Conte – è arrivato il momento di operare le scelte necessarie e di metterci la faccia”.
LE VERIFICHE – Il presidente del Consiglio riferisce di aver ricevuto oggi una comunicazione che riassume le ultime verifiche effettuate dai tecnici del ministero dell’Ambiente sul progetto. “Mi ero impegnato – ricorda – con le Autorità locali e con i Rappresentanti delle comunità territoriali, ivi compresi i Parlamentari eletti in Puglia, ad effettuare un rigoroso controllo delle procedure di realizzazione dell’opera al fine di verificare tutti i profili di eventuale illegittimità che erano stati segnalati”. “Avevo altresì preannunciato che se avessimo riscontrato tali profili di illegittimità non avremmo esitato ad assumere tutti i conseguenti provvedimenti, compresa la decisione di interrompere i lavori. Da quando ci siamo insediati abbiamo fatto quello che non è mai stato fatto in precedenza”, assicura Conte.
MAXI-PENALI IN CASO DI STOP– “Abbiamo effettuato un’analisi costi-benefici, abbiamo dialogato con il territorio, abbiamo ascoltato le istanze e studiato i documenti presentati dalle autorità locali”. Dunque la decisione che gela la componente M5S al governo: “Ad oggi – si legge – non è più possibile intervenire sulla realizzazione di questo progetto che è stato pianificato dai governi precedenti con vincoli contrattuali già in essere. Gli accordi chiusi in passato ci conducono a una strada senza via di uscita”. “Non abbiamo riscontrato elementi di illegittimità. Interrompere la realizzazione dell’opera comporterebbe costi insostenibili, pari a decine di miliardi di euro. In ballo ci sono numeri che si avvicinano a quelli di una manovra economica”, mette in chiaro il premier ribadendo di non aver lasciato “nulla di intentato”.
LA RELAZIONE DEL MINISTERO DELL’AMBIENTE – Nella nota in cui annuncia di aver inviato la relazione al premier, il ministro dell’Ambiente Sergio Costa sottolinea come “anche nei punti contestati” del progetto “non sono emersi profili di illegittimità“. “La valutazione fatta dal ministero dell’Ambiente – precisa – esula dal mio pensiero personale e dal mio convincimento politico, se l’opera sia giusta o no. Ma nella fase attuale ogni valutazione da parte del ministero deve essere fatta solo ed esclusivamente sulla base del principio della legittimità degli atti e non sul merito tecnico dei medesimi in quanto non consentita dall’Ordinamento”, conclude.
DOCCIA FREDDA PER I 5S – Il via libera alla Tap è una doccia fredda per i 5 Stelle. Il vicepremier Luigi Di Maio prova a placare gli animi spiegando che il governo non aveva scelta. “Abbiamo fatto un’istruttoria per due mesi e verificato tutti gli aspetti di quell’opera e ci sono fino a venti miliardi di euro di penali da pagare, cioè più del reddito di cittadinanza e di quota cento insieme. E’ questo il problema”, sottolinea. “Ma questo non vuol dire che abbasseremo la guardia – aggiunge – noi staremo attentissimi a quello che succederà con quest’opera”. Tra i 5 Stelle però c’è rabbia e delusione. “Vendiamo l’anima alla Lega“. E’ uno degli sms che rimbalza su alcuni cellulari dei parlamentari M5S più imbestialiti. A fremere sono gli eletti da tutto il Paese, “perché il ’vaffa’ alla Tap era una nostra bandiera”, lamenta qualcuno. Fonti di governo del Movimento spiegano all’Adnkronos che tutti i ministri pentastellati hanno dato il proprio contributo per approfondire il dossier Tap. Ma alla fine sarebbe arrivato il via libera all’opera a causa delle penali salatissime: “Oltre 22 miliardi saltati fuori solo due mesi dopo l’arrivo al governo e l’accesso agli atti nei ministeri competenti”, viene spiegato da fonti dell’esecutivo. A quanto apprende l’Adnkronos dai vertici M5S, ci sarebbe l’impegno a migliorare la Tap con condizioni “più favorevoli” per i territori coinvolti dall’opera che sarebbero già state trattate e vedrebbero lo stanziamento di “decine e decine di milioni di euro” per le aree salentine interessate dai lavori per il gasdotto.
SALVINI SODDISFATTO – Esulta per il via libera all’opera il vicepremier e ministro dell’interno Matteo Salvini. ’’Avere l’energia che costerà meno a famiglie e imprese è fondamentale, quindi – sottolinea – avanti coi lavori’’.
OPPOSIZIONE ALL’ATTACCO – Vanno al’attacco dopo l’annuncio del governo le opposizioni. I 5 Stelle sapevano di “non poter bloccare il gasdotto, ma in Puglia ha fatto la campagna elettorale gridando NoTap, prendendo in giro i cittadini. Che dice @ale_dibattista?”, scrive su Twitter Mariastella Gelmini, capogruppo di Forza Italia alla Camera dei deputati. Nicola Fratoianni, segretario di Sinistra italiana e deputato di Leu, rimarca: “Cari elettori del M5S, questo non è il governo del cambiamento. È il governo delle costose ed inutili grandi opere e delle promesse elettorali mancate, è il governo della Lega… davvero complimenti!!”
Aumentano i morti sul lavoro
Aumentano i morti sul lavoro nei primi nove mesi del 2018. Da gennaio a settembre di quest’anno le denunce di infortunio sul lavoro con esito mortale presentate all’Inail sono state 834, 65 in più rispetto alle 769 denunciate nello stesso periodo del 2017 (+8,5%). L’aumento dei casi mortali è dovuto soprattutto all’elevato numero di decessi avvenuti lo scorso mese di agosto rispetto all’agosto 2017 (109 contro 65), alcuni dei quali causati da incidenti ’plurimi’, ovvero quelli che causano contemporaneamente la morte di due o più lavoratori. I casi di infortunio denunciati all’Inail, invece, sono stati 469.008, in diminuzione dello 0,5% rispetto all’analogo periodo del 2017.
DECESSI – I dati rilevati al 30 settembre evidenziano, a livello nazionale, un incremento sia dei casi avvenuti in occasione di lavoro, che sono passati da 551 a 581 (+5,4%), sia di quelli occorsi in itinere, in aumento del 16,1% (da 218 a 253). Nei primi nove mesi di quest’anno si è registrato un incremento di 67 casi mortali (da 648 a 715) nella gestione Industria e servizi e di cinque casi in Agricoltura (da 100 a 105), a fronte di un decremento di sette casi nel Conto Stato (da 21 a 14).
Incidenti ’plurimi’. L’aumento dei casi mortali è dovuto soprattutto all’elevato numero di decessi avvenuti lo scorso mese di agosto rispetto all’agosto 2017 (109 contro 65), alcuni dei quali causati da incidenti ’plurimi’, ovvero quelli che causano contemporaneamente la morte di due o più lavoratori. Nel solo mese di agosto, infatti, si è contato lo stesso numero di vittime (36) in incidenti plurimi dell’intero periodo gennaio-settembre 2017. Tra gli eventi di quest’anno con il bilancio più tragico si ricordano, in particolare, il crollo del ponte Morandi a Genova e gli incidenti stradali avvenuti a Lesina e a Foggia, in cui hanno perso la vita numerosi braccianti. Allargando l’analisi dei dati ai primi nove mesi, nel 2018 tra gennaio e settembre si sono verificati in totale 18 incidenti plurimi che sono costati la vita a 66 lavoratori, rispetto ai 12 incidenti plurimi del 2017, che hanno causato 36 morti.
Analisi territoriale. L’analisi territoriale evidenzia un incremento di 40 casi mortali nel Nord-Ovest (da 183 a 223), di 15 nel Nord-Est (da 196 a 211) e di 14 al Sud (da 165 a 179). Modeste diminuzioni si riscontrano, invece, al Centro (da 158 a 156) e nelle Isole (da 67 a 65). A livello regionale spiccano i 20 casi in più del Veneto (da 70 a 90) e i 19 in più della Lombardia (da 94 a 113). Cali significativi si registrano, invece, in Abruzzo (da 38 a 22) e nelle Marche (da 28 a 15). L’aumento rilevato nel confronto tra i primi nove mesi del 2017 e del 2018 è legato prevalentemente alla componente maschile, i cui casi mortali denunciati sono stati 64 in più (da 696 a 760), mentre quella femminile ha registrato un decesso in più (da 73 a 74). L’incremento ha interessato sia le denunce dei lavoratori italiani (da 649 a 698), sia quelle dei lavoratori extracomunitari (da 84 a 97) e comunitari (da 36 a 39).
Analisi per età. Dall’analisi per classi di età emerge come quasi una morte su due abbia coinvolto lavoratori di età compresa tra i 50 e i 64 anni, con un incremento tra i due periodi di 67 casi (da 322 a 389). In aumento anche le denunce che hanno riguardato gli under 34 (da 132 a 154) e gli over 65 (da 59 a 62). In calo, invece, le morti dei lavoratori tra i 35 e i 49 anni (da 256 a 229).
INFORTUNI – I casi di infortunio denunciati all’Inail sono stati 469.008, in diminuzione dello 0,5% rispetto all’analogo periodo del 2017. I dati rilevati allo scorso 30 settembre hanno evidenziato, a livello nazionale, una diminuzione dei casi avvenuti in occasione di lavoro, passati da 401.474 a 398.759 (-0,7%), mentre quelli in itinere, avvenuti cioè nel tragitto di andata e ritorno tra l’abitazione e il posto di lavoro, hanno fatto registrare un incremento pari allo 0,3%, da 70.044 a 70.249. Tra gennaio e settembre il numero degli infortuni denunciati è diminuito dello 0,5% nella gestione Industria e servizi (dai 375.499 del 2017 ai 373.670 casi del 2018), del 2,4% in Agricoltura (da 25.219 a 24.610) e del -0,1% nel Conto Stato (da 70.800 a 70.728).
Analisi territoriale. L’analisi territoriale evidenzia una sostanziale stabilità delle denunce di infortunio sul lavoro nel Nord-Ovest (-0,01%), una diminuzione al Centro(-2,0%), al Sud (-0,5%) e nelle Isole (-3,1%), e un lieve aumento nel Nord-Est (+0,4%). Tra le regioni con i maggiori decrementi percentuali si segnalano la Provincia autonoma di Trento (-9,2%), la Valle d’Aosta (-5,0%) e l’Abruzzo (-4,1%), mentre gli incrementi maggiori sono quelli rilevati in Friuli Venezia Giulia (+4,1%), nella Provincia autonoma di Bolzano (+4,0%) e in Molise (+2,4%).
I lavoratori. Il decremento rilevato nel confronto tra i primi nove mesi del 2017 e del 2018 è legato quasi esclusivamente alla componente femminile, che registra un calo pari all’1,5% (da 167.631 a 165.145), rispetto al -0,01% di quella maschile (da 303.887 a 303.863). La diminuzione ha interessato gli infortuni dei lavoratori italiani (-1,7%) e di quelli comunitari (-0,4%), mentre per i lavoratori extracomunitari l’aumento è stato dell’8,0%. Dall’analisi per classi di età emergono decrementi per i lavoratori delle fasce 30-44 anni (-4,1%) e 45-59 anni (-1,4%). Viceversa, le classi fino a 29 anni e 60-69 anni registrano un aumento pari, rispettivamente, al +3,5% e al +5,2%.
MALATTIA – Dopo la diminuzione registrata nel corso di tutto il 2017, in controtendenza rispetto al costante aumento degli anni precedenti, nei primi nove mesi di quest’anno le denunce di malattia professionale protocollate dall’Inail sono tornate ad aumentare, anche se a un ritmo sempre più decrescente nelle diverse rilevazioni mensili. Al 30 settembre scorso l’incremento si è attestato al +1,8% (pari a 771 casi in più rispetto allo stesso periodo del 2017, da 43.312 a 44.083). Si tratta della variazione più bassa registrata quest’anno: a gennaio, infatti, l’aumento registrato era stato pari al +14,8%, a febbraio al +10,3%, a marzo al +5,8%, ad aprile al +5,5%, a maggio al +3,1%, a giugno al +2,5%, a luglio al +3,5% e ad agosto al 2,3%. L’incremento ha interessato in particolare l’Agricoltura, con una crescita percentuale pari al 5,2% (da 8.397 a 8.831), e l’Industria e servizi, le cui denunce di malattia professionale sono aumentate dell’1,0% (da 34.387 a 34.739), mentre nel Conto Stato il numero delle patologie denunciate è diminuito del 2,8% (da 528 a 513).
Analisi territoriale. L’analisi territoriale evidenzia incrementi delle denunce al Centro (+809), dove si concentra oltre un terzo del totale dei casi protocollati dall’Istituto, al Sud (+385 casi), dove le tecnopatie denunciate sono quasi un quarto del totale, e nel Nord-Ovest (+120). In calo, invece, il dato del Nord-Est (-233) e delle Isole (-310). In ottica di genere si rilevano 850 denunce di malattia professionale in più per i lavoratori (da 31.412 a 32.262, pari al +2,7%) e 79 in meno per le lavoratrici (da 11.900 a 11.821, per una diminuzione dello 0,7%). L’incremento ha interessato le denunce dei lavoratori italiani, passate da 40.494 a 41.237 (+1,8%) e quelle dei lavoratori comunitari, da 834 a 910 (+9,1%), mentre le denunce dei lavoratori extracomunitari sono diminuite del 2,4% (da 1.984 a 1.936).
Patologie. Le patologie del sistema osteo-muscolare e del tessuto connettivo (26.732 casi), con quelle del sistema nervoso (5.065) e dell’orecchio (3.369), nei primi nove mesi di quest’anno hanno continuato a rappresentare le prime tre malattie professionali denunciate e sono pari a circa l’80% del totale. Seguono le denunce di patologie del sistema respiratorio (1.973) e dei tumori (1.753).
Schiaffi ai bimbi, 4 maestre in manette
Li spintonavano, trascinandoli fino a farli cadere, per poi urtarli e percuoterli con schiaffi alle braccia e sul volto. Quattro maestre sono finite in manette a Bari con l’accusa di gravi maltrattamenti a carico dei propri alunni, bambini di appena tre anni della Scuola Materna ’Montessori’ di Capurso. I carabinieri del comando provinciale di Bari hanno eseguito un’ordinanza di custodia cautelare agli arresti domiciliari emessa dal Tribunale di Bari nei confronti delle donne, una 63enne, una 47enne e una 49enne originarie della provincia di Bari e una 52enne originaria della provincia di Lecce.
I carabinieri, coordinati dalla Procura della Repubblica di Bari, a seguito di un’accurata e specifica attività di indagine, hanno accertato e verificato che le quattro maestre, sia autonomamente che talora in concorso, nell’anno scolastico 2017/2018 hanno maltrattato, sottomesso, e mortificato i bambini a loro affidati per cura ed educazione, assumendo comportamenti vessatori e violenti nei loro confronti.
In particolare, i carabinieri hanno appurato che le maestre sistematicamente per esercitare la loro funzione di insegnante spintonavano i piccoli, li strattonavano, a volte li trascinavano, e in alcuni casi li prendevano a schiaffi sul viso e sulle braccia. Ai piccoli veniva imposto di rimanere con il capo riverso sul banco in posizione sottomessa e in caso di rifiuto erano costretti con forza a tenere tale posizione. Altre ’punizioni’ consistevano nell’imporre ai bambini a rimanere in un angolo della classe con il volto rivolto verso il muro, a volte con le mani dietro la schiena, per periodi prolungati.
Le maestre minacciavano inoltre i bambini, intimorendoli che sarebbero stati legati con la corda, che sarebbero stati picchiati, che sarebbero stati portati in caserma dai carabinieri dove un cane gli avrebbe dato un morso. I bambini erano inoltre mortificati platealmente, ed offesi con frasi come “monelli, cattivi, scostumati, maleducati, monellacci di strada, rimbambiti, pappamolli”.