Appena ho saputo che nella mia città avrei potuto partecipare ad un evento importante contro la violenza sulle donne la mia risposta è stata assolutamente sì. Il 25 novembre scorso, a Pescara si è svolta una serata spettacolo con ospite Irene Grandi e la giornalista Alda D’Eusanio dal titolo #365 giorni no alla violenza sulle donne.
Le motivazioni che mi spingono a partecipare a questi incontri sono molteplici ma soprattutto mi aiutano a riflettere e a farmi delle domande a cui poi a volte trovo delle risposte, altre no.
Uno dei quesiti che mi sono posta mentre ascolto telegiornali e programmi televisivi che parlavano dell’argomento, ma soprattutto partecipando ad eventi e manifestazioni dedicate è: Ma perché le vittime molto spesso rifiutano di denunciare?
E andando a documentarmi mi sono resa conto che la risposta è incredibilmente complessa.
È sconcertante rilevare quanto siano ancora poche le donne che effettivamente denunciano gli abusi alle autorità competenti. Da alcune ricerche emerge che solo il 14% si reca dalle forze dell’ordine, percentuale che scende al 9% se l’episodio avviene in casa.
Iniziamo a vedere quindi alcune delle tantissime motivazioni che possono scoraggiare dal segnalare un’aggressione. Tra le prime sicuramente abbiamo: la paura di non essere creduta, il timore di essere attaccata in un momento di estrema vulnerabilità, la concreta possibilità di una vittimizzazione secondaria a livello sociale, mediatico e giuridico e il senso di vergogna e imbarazzo. Andando ad approfondire l’argomento possiamo notare come la maggior parte delle volte, le dinamiche che sottostanno alla non denuncia sono legate ad una dipendenza relazionale o a fattori pratici che impediscono di uscire da una situazione così grave. Vi è lo smarrimento e l’incredulità per un qualcosa che accade e che credi sempre che “capiti a qualcun altro” e mai a te. La violenza ci pone di fronte ad una riflessione su noi stessi, sull’altro e sulla situazione per capire cosa accade e spesso la soluzione più semplice si cela dietro il cercare, volere o credere di poter cambiare l’aggressore.Ma la verità è che su una persona brutale e aggressiva si può fare ben poco, ma la situazione può essere cambiata a partire dalla vittima poiché è anch’essa attrice attiva del dramma. Purtroppo, è questo passaggio che spesso sfugge, ma trovarsi in una situazione potenzialmente pericolosa per la propria vita non è semplice e non predispone alla lucidità di pensiero, per cui è comprensibile ed è per questo cheè di fondamentale importanza la presenza, sul territorio nazionale, di centri di supporto e accoglienza per le donne vittime di violenza.
Purtroppo, subire un abuso significa fare i conti con conseguenze psicologiche di lungo termine: perdita di autostima, aumento del senso di insicurezza e vulnerabilità e fenomeni di origine ansiosa sono solo alcuni degli effetti che le persecuzioni hanno sulle vittime. E gli effetti maggiori li subiscono coloro che hanno subito aggressioni dal proprio partner, a causa del protrarsi della vicinanza con l’aggressore e per la probabilità di reiterazione degli episodi. Gli effetti possono determinare anche isolamento, incapacità di lavorare, limitata capacità di prendersi cura di sé stesse e dei propri figli. Gli effetti della violenza di genere quindi si ripercuotono sul benessere dell’intera comunità.
Denunciare è importantissimo, ma lo è anche analizzare le dinamiche che ciò scatena in un contesto ad esempio di violenza domestica, dove il rischio può essere altissimo e aumentare proprio dopo aver lasciato il maltrattante. Molto spesso, infatti, il rischio di femminicidio è più alto subito dopo che la donna decide di agire: due terzi, infatti, avviene nei tre mesi strettamente successivi alla fine della relazione, questo perché l’uomo potrebbe ad esempio sentirsi attaccato o rifiutato e reagire. Una delle caratteristiche che accomuna tutte le donne vittime di abusi è certamente la solitudine in cui sono immerse: l’isolamento sociale è uno dei passaggi chiave di quella “spirale della violenza” in cui si trovano. Ad essa si aggiunge una forte emozione che è la paura che seppur comune a tutti gli esseri umani, la reazione che scatena può essere soggettivamente molto diversa a seconda delle caratteristiche personali (capacità di gestione dello stress, capacità di problem solving, autostima, autoefficacia) e delle dinamiche esterne in cui ci si trova (ambiente, contesto lavorativo, impossibilità di muoversi ecc.). In particolare, gioca un ruolo importante sul rischio di violenza l’autostima che è la misura di quanto si ritiene di valere. Una buona autostima e la voglia di preservarla possono essere motivazioni sufficienti a ridurre il rischio di subire un’aggressione o aumenta la possibilità di richiesta di aiuto.