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DISFORIA DI GENERE: VERSO UNA NUOVA ONTOLOGIA DEL CORPO?

“Triptorelina sì, triptorelina no? Ma cos’è la triptorelina e perché se ne parla così tanto?”
Potrebbe sembrare uno scioglilingua, ma no, non lo è. Per comprendere di cosa stiamo parlando, bisogna fare un passo indietro e soffermarsi su tre costrutti: quello di genere, di identità di genere e di disforia di genere. Le teorie sull’anatomia corporea e sulla genetica hanno svolto un ruolo prioritario nella costruzione in termini «bipolari» della natura umana: il femminile e il maschile. Il concetto di identità di genere indica l’azione intima dell’autoriconoscersi da parte del soggetto in un genere oggi inteso in termini più ampi e che include situazioni di assenza (agender), di molteplicità (bigender, pangender), di fluidità (genderfluid), neutralità (genderqueer, genere neutro, terzo genere) o parzialità (demiboy o demigirl).


https://www.centroclinicoalma.it/blog/fluid-gender.html


Diversamente da quanto si crede, le identità non binarie non rappresentano un fenomeno nuovo, basta spostarsi in Siberia, nelle Filippine, in India… per rendersene conto. Erodoto, uno storico greco del V secolo a.C. nella sua opera “Storie“, dedica alcune pagine alla descrizione degli indovini degli Sciti, gli “enarei”, “uominidonne”, ovvero individui nati come maschi, ma con compiti tipicamente femminili. Freud, nel lontano 1932, affermava: “C’e qui un invito a familiarizzare con l’idea che la proporzione in cui il maschile ed il femminile si intrecciano nell’individuo è soggetta ad oscillazioni assai rilevanti”. Oggi, a distanza di quasi 93 anni, si parla di “disforia di genere” (o disturbo dell’identità di genere), una condizione caratterizzata da una marcata e persistente incongruenza tra il genere percepito da una persona e il sesso assegnatole alla nascita. Questo concetto, introdotto nella quinta edizione del Manuale diagnostico statistico dei disturbi mentali (DSM-5), sostituisce la precedente terminologia “disturbo di identità di genere”: tale cambiamento segnala l’avvento di un paradigma più inclusivo e attento al malessere personale, sottolineando la necessità di migliorarne la comprensione.


https://lanuovabq.it/it/careggi-stop-alla-triptorelina


Ma cos’è la triptorelina? Si tratta di un farmaco bloccante della pubertà per inibire e differire lo sviluppo puberale come la comparsa del seno, dei testicoli, della peluria e del ciclo mestruale. La prescrizione è “off label”, “fuori etichetta”, in altre parole, sotto la responsabilità di un medico, ma può esporre a potenziali effetti collaterali non ancora comprovati. Questo fenomeno ha ricevuto crescente attenzione negli ultimi anni, non solo in ambito medico e psicologico, ma anche in quello etico-filosofico. Recentemente, il Comitato nazionale di bioetica ha richiesto maggiori approfondimenti riguardo agli effetti e al rapporto costi/benefici dei cosiddetti “farmaci bloccanti per la pubertà”. La decisione scaturisce dalla disponibilità di maggiori studi, follow up, dall’aumento di casi di detransizione e dalle politiche di molti Paesi che, dopo anni di applicazione del protocollo, invertono la rotta.

Ma, al di là delle questioni mediche, cosa ci dice la filosofia? E’ eticamente accettabile modificare il proprio corpo? Stravolgerlo al punto tale da fargli cambiare i principali tratti sessuali? E’ realmente questa un’antinomia irrisolvibile? Il corpo gioca un ruolo centrale nel dibattito sulla disforia di genere.


https://www.borderline24.com/2023/10/10/dottorato-honoris-causa-delluniba-alla-filosofa-judith-butler/

La querelle in atto vede da un lato i sostenitori della sacralità dell’identità di genere oppositori di ogni intervento medico e, dall’altro, i teorici del libero arbitrio fautori di tali cambiamenti. Secondo questi ultimi, la proibizione della Triptorelina potrebbe essere filosoficamente categorizzata come una forma di violenza ontologica: la negazione del diritto all’autodeterminazione e alla realizzazione di sé. Secondo Judith Butler, il genere non è una realtà biologica o una verità naturale, ma una serie di atti performativi che vengono ripetuti nel tempo. In altre parole, è il risultato di una continua ripetizione di comportamenti e attitudini che sono socialmente e culturalmente imposti. Butler, scardinando ogni definizione di genere imposta, promuove un nuovo paradigma improntato alla non definizione, partendo proprio dal ruolo fondamentale del linguaggio, poiché “i corpi non sono mai solo nostri
ma hanno anche una dimensione pubblica e politica”.
Oltre le singole posizioni, non dimentichiamocelo resta la persona e il suo specifico vissuto.

Data:

29 Dicembre 2024

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