L’Opinione del filosofo, in questo inizio d’anno, intende proporvi uno sguardo critico e “relativamente” fiducioso sul futuro, percorrendo i principali eventi e tendenze che caratterizzano questo primo quarto di secolo.
L’ordine mondiale è vicino al punto di svolta, avverte l’ONG Freedom House, che elenca 16 anni consecutivi di declino dei diritti democratici.
Il destino della democrazia è essere annichilita dinanzi al cammino inesorabile della merce che, oltre ai beni pubblici e comuni, privatizza la stessa leadership, trasfigurandola in una “forma fantasmagorica” pronta per lo smercio?
Il nuovo mondo, l’”età del capitalismo avanzato”», non sa che farsene del soggetto cartesiano e della sua ambizione a mettere in ordine lo spazio intorno a sé, di tracciarne i confini e di distinguere rigorosamente il pubblico dal privato. La nuova età scioglie l’individuo, la sua forma individuale e la sua pretesa di irriducibilità nella consistenza fluida e amorfa della folla.
Il nuovo soggetto realizza i suoi desideri negli spazi pubblici, nei luoghi in cui le masse vedono esposte le merci, nella fantasmagoria delle vetrine del consumo, veri e propri mondi onirici dove il tempo è sospeso (…). (Walter Benjamin)
Duemila quattrocento anni fa, fu uno dei massimi storici dell’antichità, Tucidide, a vaticinare: nei frangenti di crisi, di fronte a un pericolo, le masse sono pronte a un regime d’ordine. Ciò significa che il popolo rinuncia volentieri a pezzi di libertà per affidarsi a uomini – o donne – soli al comando.
Premetto che nell’era dell’imperialismo trumpiano, il sovranismo se non è morto, è in pericolo. Infatti, il progetto di Donald Trump non è isolazionista e non esprime solo il sovranismo-nazionalismo dell’America First, ma semmai è imperialista, disposto ad applicare la politica del “divide et impera”. Come possiamo rilevare dall’intenzione di imporre alti dazi al resto del mondo e dalla minaccia di “annettere” il Canada, “comprarsi” la Groenlandia e riappropriarsi del Canale di Panama, questo disegno esprime una concezione imperialista del mondo. Il che per gli Stati Uniti non è una novità – basta pensare alla tradizionale dottrina Monroe sull’America Latina come back yard, come cortile di casa, su cui si può intervenire impunemente.
Ma ripensando i concetti di sovranismo – populismo alla luce della filosofia politica, si impone la necessità di capirli e poi di opporvi resistenza, in quanto la somiglianza di tale fenomeno politico con il fascismo non va intesa nel senso della ripetizione di un modello, ma come una risposta alla stessa domanda che ha portato al fascismo storico.
Come spiega Rocco Ronchi in “Populismo/Sovranismo” (Castelvecchi, 2024), applicando il metodo genealogico, interessato non alla genesi quanto all’origine, il fenomeno populista-sovranista ha origine dalla moderna metafisica della libertà e dall’affermazione del primato della volontà sull’intelletto. Se la filosofia procede diversamente rispetto alle scienze storico-sociali, che assumono un dato di fatto per spiegarne la fenomenologia, la genesi, il “soggetto” della filosofia si costruisce sul filo del proprio domandare, e nel percorso costruisce i termini della propria ricerca.

“Populismo” e “sovranismo” sono concetti distinti, ma hanno un dato comune che qui evidenziamo. Infatti, a volte vengono proposti in forma congiunta come “populismo sovranista”.
Questa semplificazione non è accettata da storici delle idee e politologi, anche se il populismo-sovranista ha padri nobili e insospettati additati come esempi di resistenza al “pensiero unico” – da Dostoevskij del sottosuolo a Pasolini corsaro e a Max Stirner, che combatte ogni entità reale o astratta — dallo Stato alla religione, dalla morale al diritto, fino ai nuovi ideali liberali o socialisti – in nome dell’individuo, unica vera realtà, sovrano del proprio mondo e creatore dei propri valori.
Se il populismo sovranista converge con le istanze più critiche del postmodernismo sulla natura del potere sovrano, tuttavia, quali che siano i populismi e quale che sia la forma della sovranità che viene rivendicata, la “sovranità del popolo” è sempre fuori discussione. Se sul piano fenomenologico il “popolo sovrano” si presenta nella forma di un soggetto incondizionatamente libero, che parla una lingua i cui enunciati sono parole d’ordine e tessere per il riconoscimento tra uguali, non può che moltiplicarsi illimitatamente,
Il libero consenso di una maggioranza, tendenzialmente plebiscitario, è l’anima “democratica” di tutti i populismi e di tutti i sovranismi, compreso il loro prototipo fascista.
Assistiamo ormai da diciotto anni consecutivi di declino della democrazia in tutto il mondo; infatti, il numero di paesi che hanno subito un arretramento è maggiore rispetto alle valutazioni e agli aspetti specifici dei progressi in ciascun paese.
Siamo in una crisi strutturale della democrazia, sia qualitativa che quantitativa: ci sono meno democrazie e meno democrazia in ogni democrazia. Ciò che alimenta il populismo e il nazionalismo deriva dalle profonde divisioni che hanno a che fare non solo con questioni economiche, ma anche con questioni di identità, che finiscono per sovrapporsi.
Ma se questa è la genealogia del fenomeno populista/sovranista, quali sono le possibili contromisure?

Secondo il politologo José Ignacio Torreblanca, l’’interdipendenza strategica consiste nello scegliere bene da chi dipendere. L’ultima legislatura europea è stata una legislatura di autonomia strategica; ora si parla di una strategia di sicurezza economica, che consiste nel promuovere l’industria europea e proteggere le sue vulnerabilità affinché non cadano nelle mani di terzi, come la Russia o la Cina.
Si tratta del derisking, della riduzione del rischio e di diversificazione: una strategia di diversificazione, sicurezza economica e difesa industriale.
Tuttavia, siamo così lontani dall’autonomia strategica che molti di questi piani ci porterebbero a sviluppare solo il 20% delle nostre capacità in Europa. Ecco perché parlare di interdipendenza strategica consiste nello scegliere bene da chi dipendere, diversificando e facendo in modo che gli alleati siano solidi e affidabili.
Il rapporto Draghi contiene una diagnosi severa sia sulla questione tecnologica quanto su quella energetica. L’80% dei servizi e dei prodotti digitali consumati in Europa proviene dagli Stati Uniti o da altri paesi. Anche nel tridente delle tecnologie dirompenti – chip, intelligenza artificiale e quantistica – su cui è in gioco il futuro, l’Europa è in ritardo. La posta in gioco è altissima e riguarda le comunicazioni come la capacità di difesa.
Riguardo la praticabilità di un antifascismo militante, non basta dirsi antifascisti per esserlo. I sovranisti di oggi non possono essere combattuti semplicemente smontando le loro tesi con argomentazioni razionali, ma agendo nel cuore vivo della società, costruendo alleanze strategiche e operando attraverso compromessi intelligenti, senza dogmatismi, a livello locale e nazionale.
La sinistra non si può ritirare dal grande conflitto per determinare un’alternativa di società e non può lasciare sguarnite tutte le postazioni necessarie per sviluppare prove di resistenza al piano espansivo del capitale, quello sovranista: ora più che mai, come ci avverte Massimo Cacciari nel suo articolo “I Musk, la Macchina e la sinistra fuori gioco”, i padroni della “Macchina intelligente” sono gli attuali sovrani del mondo. Per questo è più che mai necessaria una politica che sappia distribuire equamente la ricchezza, cioè bisogna tornare all’etica, alla giustizia sociale ed ai diritti umani.

Secondo Bertolt Brecht per essere un antifascismo militante occorre un “Grande Metodo”. Brecht non dice: il Grande Metodo è il materialismo dialettico di Marx ed Engels, ma il suo materialismo è piuttosto un empirismo radicale, la sua dialettica è in realtà un pragmatismo. La sua proposta politica non è la rivoluzione ma è un riformismo ostinato, una instancabile negoziazione quotidiana, che non è cinismo o opportunismo, ma una dottrina pratica delle alleanze che è anche il modo in cui dovrebbe funzionare il socialismo, sorretto da una dose di pragmatismo e di volontarismo soggettivista, come in Gramsci.
Gramsci era infatti consapevole del carattere “intrinsecamente” minoritario del socialismo e del carattere “intrinsecamente” maggioritario del suo avversario fascista. Una democrazia compiuta richiede una minoranza agguerrita, dotata cioè di una metis, di una intelligenza pragmatica, capace di costruire come a sciogliere alleanze locali, a istituire blocchi sociali eterogenei, a governare processi, a osare arditi “compromessi” che siano in grado non solo di arginare la tendenza avversa, ma di piegarla nella propria direzione.
Contro i materialisti dialettici, Brecht e Gramsci ritenevano che la politica fosse sperimentazione e che la matrice della società civile fosse la guerra di posizione. Tutti i più innovativi concetti gramsciani nascevano dalla presa d’atto di questa situazione di crisi irreversibile della democrazia liberale: da qui le sue proposte, non solo l’“egemonia culturale” e il “blocco storico”, ma anche l’ idea machiavellica del Partito come Nuovo Principe. In questa prospettiva la “virtù politica” non è che un’arte cibernetica, un’arte di governare la nave, per la quale la democrazia stessa da fine in sé diventa anche mezzo. Alla maniera di Tucidite, la storia va interpretata in modo oggettivo, considerando il contesto storico.
Il Grande Metodo si coniuga così con la Grande Politica nietzschiana che è una politica “minore”, una micro-politica intensiva, una sorta di techne, che Deleuze e Guattari alla fine degli anni Settanta, battezzarono “macchina da guerra”. Sia il Grande Metodo brechtiano che la “macchina da guerra” sono frutto della metis – metis come astuzia e come strategia di relazione con gli altri e con la natura, basata sull’“astuzia dell’intelligenza”, che sfrutta i cambiamenti e dipende dai cambiamenti, si riconosce nei processi e li segue, e soprattutto, “insegna a porre delle domande che rendono possibile l’azione”.
A questa strategia Deleuze e Guattari affidavano il compito di difendere la società da un nuovo incombente fascismo che avrebbe fatto impallidire quello originario.
Non c’è dubbio che stiamo vivendo un nuovo contesto di incertezza in cui sta crescendo un’ondata di populismo, nazionalismo e disinformazione, che offre apparentemente soluzioni facili a problemi complessi e mette a repentaglio le democrazie liberali.
Le società contemporanee in perenne crisi e incertezza cercano soluzioni semplici e leader forti, attraverso una dinamica storica ciclica, in cui le masse spaventate da cambiamenti e sfide complesse sono disposte a sacrificare pezzi di libertà in cambio di ordine e sicurezza.
(Continua)