Un altro, importante pezzo del berlusconismo viene smantellato. Nata con il secondo governo Berlusconi, a circa dieci anni dalla sua approvazione, la legge 40 sulla fecondazione assistita ha subito, lo scorso mercoledì 9 aprile, un’altra picconata, la sua ventinovesima, decisiva picconata. E questa volta, non è la Corte europea a infliggere il colpo.
Questa volta, l’incostituzionalità di una delle norme simbolo della legge, quella sul divieto della fecondazione eterologa, viene da casa nostra, dalla Corte Costituzionale italiana. Resta in piedi il divieto di ricorrere alla fecondazione assistita per le coppie dello stesso sesso e per i single.Fin dalla sua promulgazione nel febbraio 2004, la legge, che si proponeva di risolvere i problemi di fecondazione assistita delle coppie italiane, ha avuto un percorso impervio: già nel 2005, infatti, i Radicali ed alcuni esponenti del centrosinistra presentarono in Cassazione una serie di referendum abrogativi. Tuttavia, l’astensionismo – si recò alle urne solo il 25% degli aventi diritto – ebbe la meglio.
Ma la legge 40 non ha vita facile e, negli anni a venire, pezzo per pezzo, viene smontata dai tribunali che, di volta in volta, hanno dichiarato illegittimo il limite di produzione degli embrioni, l’obbligo di un unico e contemporaneo impianto e il divieto di congelare gli stessi. In tutti questi anni, la classe politica ha accuratamente evitato di affrontare l’argomento, mentre migliaia di coppie si recavano all’estero per ottenere servizi che, di fatto, uno Stato laico deve poter offrire a tutti i suoi cittadini. Basti pensare che circa il 63% delle fecondazioni eterologhe su coppie italiane si sono effettuate in Spagna, con costi che viaggiano dai 5.000 ai 10.000 euro a tentativo. Nel paese iberico, come in Francia, Germania e Regno Unito, la fecondazione eterologa, infatti, è legale. Unica eccezione, con una legislazione fortemente restrittiva, è rappresentata dalla italiana legge 40 che, così come era stata ideata – divieto alla produzione di più di tre embrioni per volta, divieto di usare embrioni non idonei per la ricerca scientifica, divieto della fecondazione eterologa, divieto di accesso alla fecondazione assistita per coppie omosessuali e single, divieto alla diagnosi pre-impianto e divieto di accesso alle coppie fertili ma portatrici di malattie genetiche – rappresentava un caso quasi unico nel panorama europeo.
Una legge, la nostra, tra le più restrittive d’Europa dunque che, nel suo impianto iniziale, non ha tenuto conto né delle regole della scienza e delle esigenze dei pazienti, né di quella parte laica e progressista di popolazione italiana che non crede più nelle limitazioni imposte dall’alto, che ritiene giusto agire esternamente anche su quelle che sono le leggi crudeli della natura per risolvere problemi fisici e biologici, come la sterilità e l’infertilità. Ora, la domanda è: si può andare in clinica e chiedere una fecondazione eterologa? Vale a dire, si può finalmente andare in una clinica italiana e chiedere l’impianto di un ovulo o di un seme di un donatore? Difficile la risposta.
Certamente, la decisione della Corte Costituzionale fa decadere un divieto, ma non avvia il recupero di tecniche e procedure non in uso ormai da anni. Probabilmente, il nuovo passo spetta nuovamente alla nostra classe politica. Probabilmente, l’obiettivo futuro è quello di riformulare una nuova legge sulla fecondazione assistita. E, questa volta, si spera in una legge che tenga conto delle nuove libertà che la Corte Costituzionale ha definitivamente sancito e che soprattutto non si perda nel solito, inutile ginepraio normativo nel quale noi italiani abbiamo “l’abilità” di restare intrappolati.