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DORSEY E IL LIBERO ARBITRIO SOTTRATTO ALL’UOMO DALLE MACCHINE

Fa una certa impressione leggere le dichiarazioni di Jack Dorsey cofondatore di Twitter nel 2006, una gola profonda dunque dell’universo social, non proprio uno sprovveduto. Riassumendo il suo pensiero, raccolto su corriere.it, un algoritmo è pur sempre un algoritmo, anche se ha un’anima per così dire, open source. Ciò che un algoritmo non perderà mai è la nota di mistero, per la maggior parte degli utenti, su cosa effettivamente mostrerà loro nelle bacheche e nei profili social. Le parole dell’imprenditore americano sono state raccolte durante il 16° Freedom Forum di Oslo, occasione che ha permesso di fare il punto su quella forza intrinseca e semisconosciuta che è alla base di ogni piattaforma social e non solo: l’algoritmo. Dorsey ha tirato in ballo anche un aspetto teosofico per spiegare meglio il suo pensiero, ovvero il libero arbitrio, ciò che Cartesio definì “una delle prime e più comuni nozioni innate” dell’essere umano secondo la quale ognuno stabilisce autonomamente quali sono gli scopi del proprio agire e del proprio pensare.

Gli utenti, o meglio, i consumatori del mondo digitale, sono diventati dipendenti delle piattaforme social al punto che è lo stesso, umanissimo, libero arbitrio a subire una netta inversione a U. E’ inutile opporre resistenza agli algoritmi, perché essi hanno la capacità di conoscerci meglio di noi stessi, una conoscenza che viene resa esplicita grazie alle nostre continue sollecitazioni nel far conoscere i nostri gusti e le nostre preferenze. L’ex Ceo di Twitter ha sottolineato anche come gli algoritmi siano una specie di scatola nera all’interno della quale non solo vengono registrati tutti i nostri movimenti e i nostri pensieri, ma il cui funzionamento gli permette di prevedere ciò che faremo nell’immediato futuro. L’utente, noi tutti, siamo continuamente programmati per rispondere a determinate sollecitazioni che sono utili ai fini del monitoraggio di contenuti utili a creare un coinvolgimento interazionistico. Sotto questo punto di vista, anche i recenti progressi nel campo dell’IA, con l’affermarsi di un mercato sempre più oligopolistico affidato a poche ma potentissime società, sembrano dirigersi verso l’influenza del nostro subconscio alla massimizzazione dell’engagement.

Verificare la correttezza delle azioni messe in atto dagli algoritmi generati dalle società hi-tech, senza che vi sia la nostra piena consapevolezza e attenzione a causa di potenziali verifiche, ci pone con le spalle al muro alla mercé dei potentati che gestiscono le piattaforme social. Se per Dorsey si può uscire da questa situazione di completa passività da parte del consumatore solo se si è in grado di creare un mercato degli algoritmi in modo che l’utente possa scegliere quello di cui si fida di più, vi è dall’altra parte una forma di determinismo tecnologico in cui la vera forza trainante e di sviluppo è la tecnologia che ogni giorno utilizziamo. «La tecnologia», come ha detto Francesco Antinucci nel suo libro “L’algoritmo al potere”, «procede autonomamente, per la sua strada, e ciò che inventa ricade sul mondo e causa, a mano a mano, tutta la catena dei cambiamenti delle nostre vite e delle nostre strutture economiche e sociali». In sintesi, nonostante i nostri sforzi e le nostre procedure di paragone tra diverse opportunità e scelte possibili, rimane una constatazione seppur amara ma oggettiva secondo cui, sempre secondo le parole di Antinucci, «la vera chiave sembra essere lo sfruttamento “opportunistico” di qualcosa che si trova nell’ “ambiente”», lasciando inermi su come prevedere il futuro sotto l’egida di scelte che ci sfuggono.

Andrea Alessandrino

Data:

11 Giugno 2024
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