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“E TU, UN FIGLIO QUANDO?”

A chi non è mai capitato, superata una certa soglia, di sentirsi chiedere: “E tu, un figlio quando?”.

Verrebbe da rispondere: ma chi ha stabilito che metter su famiglia significhi necessariamente anche avere figli?

I dati Istat parlano chiaro: nel 2024 sono nati 4.600 bambini in meno rispetto allo scorso anno. Secondo il report Famiglie, soggetti sociali e ciclo di vita, il 45,4% delle donne di età compresa tra i 18 e 49 rinuncia alla maternità,  il 22,2% non desidera figli nel futuro immediato e il 17,4% non include nel proprio progetto di vita l’ipotesi di generare prole.

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Domandarsi il perché di questa inversione appare superfluo. Secondo l’Osservatorio Federconsumatori, il costo stimato per mantenere un figlio dalla nascita fino ai 18 anni si aggira intorno ai 175.000 euro, escluse eventuali spese universitarie. Insomma, crescere un figlio è una ‘roba’ da ricchi. Alla questione economica si aggiungono poi gli scenari di incertezza geopolitica e ambientale. L’evoluzione linguistica può esserci utile per comprendere meglio il carattere multidimensionale della iponatalità. Oggi, infatti, si parla di coppie “Dink”, acronimo inglese che letteralmente significa “double income, no kids”, tradotto “due stipendi, niente figli”. Il dink concept garantirebbe passioni comuni, investimenti e cura della persona, ma non è esente da critiche perché giudicato egoista ed edonista. Una lettura semplicistica potrebbe interpretare il fenomeno come il naturale esito di un individualismo sfrenato, tuttavia in realtà, spesso cela una maggiore consapevolezza. Anche il calendario si è adeguato ai nuovi tempi introducendo la “Giornata internazionale senza figli”, l’International Childfree Day, celebrata il 1° agosto. Al termine Dink si aggiungono poi “childless” e “childfree”. Il primo è usato in riferimento a chi non ha figli suo malgrado, il secondo, al contrario,  a  chi  è  consapevolmente  senza  figli. A  questo  quadro  terminologico,  si  aggiunge  anche l’espressione “green sex” («green inclinations, no kids», tendenze green, senza figli) ovvero una sessualità controllata, anti-riproduttiva, senza impatto ambientale.  In pratica: “siamo in troppi perché continuare a riprodurci?”.

https://www.investopedia.com/terms/d/dinks.asp

Il fenomeno dink porta con sé interrogativi filosofici sul concetto di  “famiglia”, sul significato della procreazione e sulle forme di realizzazione individuale e collettiva. La famiglia è sempre stata un tema centrale in numerose tradizioni di pensiero. Aristotele, ad esempio, vede la famiglia come una struttura fondamentale per la formazione della polis, a cui riconosce il compito della teknopoìia, la procreazione.  Lo Stagirita stabilisce limiti di età per il matrimonio che indica nei 18 anni per le donne e intorno ai 37 per gli uomini e, al contempo, limiti oltre i quali non sarebbe opportuno riprodursi. In epoca contemporanea, la famiglia aristoteliana rischia di essere percepita come un residuo del passato. Zygmunt Bauman mette in discussione la visione conservatrice come nucleo finalizzato alla riproduzione biologica e alla cura dei figli.

In particolare, ricorre all’espressione di “modernità liquida” per definire un’epoca in cui le relazioni e i legami si fanno più fluidi e la famiglia una scelta volontaria, piuttosto che un dovere impellente.

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A distanza di otto anni dalla morte, le sue osservazioni probabilmente oggi riceverebbero numerosi like dalle generazioni dink: “I figli oggi sono desiderati per la gioia dei piaceri genitoriali che si spera arrecheranno, il tipo di gioie che nessun altro  oggetto, per  quanto  ingegnoso o sofisticato,  può offrire. I figli sono probabilmente gli acquisti più costosi che i consumatori medi compiono in tutta la loro vita”. Avrà ragione Bauman? Dipende dai punti di vista o, semplicemente, come scrive Émile Durkheim: “Non esiste un modo di essere e di vivere che sia il migliore di tutti. […] La famiglia di oggi non è né più né meno perfetta di quella di una volta: è diversa, perché le circostanze sono diverse”.

Data:

10 Febbraio 2025