Il virus Ebola fa paura, tanto da spingere la Commissione europea a stanziare circa 3,9 milioni di euro da destinare alle misure per contenere la sua diffusione e a fornire assistenza sanitaria alle popolazioni colpite in Guinea, Sierra Leone e Liberia, dove, secondo i dati dell’Organizzazione mondiale della Sanità, sono rimaste finora uccise oltre 700 persone.
Da febbraio 2014 è in corso la prima epidemia documentata di malattia da virus Ebola (Evd) in Africa Occidentale. L’origine dell’epidemia non è nota, tuttavia si sospetta che i casi primari possano essere stati esposti a cacciagione locale infetta. La maggior parte dei casi secondari ha partecipato a cerimonie funebri, entrando in contatto con pazienti deceduti e persone infette. Per questo si ritiene che la trasmissione interumana costituisca la principale via di trasmissione.
Nonostante la Commissione europea rassicuri circa i rischi che il virus si diffonda in Europa, aumenta il livello di allerta dei governi che ritengono l’epidemia una minaccia molto seria e l’Organizzazione mondiale della Sanità lancia l’allarme e chiede la mobilitazione internazionale.
Negli USA, dopo l’arrivo di Kent Brantley, il medico contagiato in Africa e rientrato in patria per essere curato, è quasi psicosi. Tuttavia, il governo rassicura l’opinione pubblica che la presenza del medico sul suolo americano non comporta il rischio del contagio, anche perché migliorano progressivamente le sue condizioni di salute. Intanto, nel vertice di Conakry, dove è volata anche Margaret Khan, l’OMS e i presidenti africani dei paesi colpiti da Ebola annunciano un piano urgente da 100 milioni di dollari, che prevede sia un rafforzamento delle misure di prevenzione e di diagnosi, sia il dispiegamento di diverse centinaia di operatori sanitari al fianco del personale medico già impegnato da tempo contro l’epidemia.
E da settembre, il National Institute of Health inizierà la sperimentazione di un vaccino sull’uomo che ha già dato risultati soddisfacenti sui primati. Ma l’emergenza è adesso e, nonostante la maggior parte degli esperti escluda che il contagio possa oltrepassare i confini dell’Africa e approdare in Occidente, molte sono le misure di sicurezza prese dai governi.
La Farnesina diffonde, sul sito Viaggiare Sicuri, l’allarme e sconsiglia viaggi non necessari in Liberia e in Sierra Leone. Lo stesso fanno Francia e Stati Uniti. Mentre il Libano chiude le porte agli africani, non rilasciando, a questi, permessi di lavoro, causa “timori per la salute pubblica”. Difficile, in emergenze come questa, tuttavia, evitare strumentalizzazioni di temi tanto seri.
Soprattutto in Casa nostra e soprattutto da parte di chi è sempre stato ostile alle tanto discusse politiche di accoglienza e di integrazione. Infatti, nonostante gli esperti e lo stesso ministro della salute, Beatrice Lorenzin assicurino che è quasi impossibile il contagio in Italia e che “Ebola si trasmette solo con fluidi ed è molto difficile che arrivi attraverso i barconi dei profughi”, c’è chi riesce, come la Lega Nord in questi giorni, a diffondere proclami allarmisti a becero sfondo razzista.
Perché se è vero che è utile, da una parte, chiedersi se si è pronti a fronteggiare una eventuale emergenza e creare tutte le condizioni per far fronte a eventuali situazioni di rischio legate alla febbre emorragica da virus Ebola, altra cosa è creare strumentali, nonché inutili allarmismi che mettono in difficoltà amministratori locali e associazioni di volontariato che si trovano ad affrontare da soli, ogni giorno, l’emergenza profughi. Rischiando di annullare altresì il duro compito del nuovo ministero dell’integrazione che, in questi mesi, attraverso proposte e politiche rivolte all’inclusione e alla coesione sociale, le sole capaci di assicurare giustizia e sviluppo al territorio, molto hanno lavorato per combattere la tanto diffusa coltre di indifferenza radicata in casa nostra.