Traduci

EDUCARE?

Oggi ogni opera di educazione sembra diventare sempre più ardua e precaria. Si parla costantemente di una grande emergenza educativa, delle immani difficoltà che si incontrano nel trasmettere alle nuove generazioni i valori fondamentali della esistenza e di un retto comportamento, difficoltà che coinvolgono sia la scuola sia la famiglia o, si può dire, ogni altro organismo che si prefigga scopi educativi.

Le ragioni che spingono a parlare di emergenza sono legate soprattutto alla cultura del nostro tempo, nella quale il relativismo sembra avere il dominio assoluto. Sembra che non si possa più parlare di verità sull’uomo, sulla vita, sull’amore perché queste affermazioni hanno il sapore di qualcosa di autoritario e di imposto.

Così si arriva a dubitare di tutto: della bontà della vita, del valore delle relazioni, della coerenza e degli impegni che ci si assume.

La sensazione è quella di camminare senza una meta, di essere dei viandanti piuttosto che dei pellegrini che, pur nella fatica, almeno hanno una meta davanti a loro. Il terreno sotto i piedi è scivoloso, mancano criteri di riferimento che non siano le mode o l’opinione più urlata o capace di vendersi in modo accattivante.

Come è possibile in questo clima proporre ai più giovani e trasmettere di generazione in generazione qualcosa di valido e di certo, delle regole di vita, un autentico significato e convincenti obiettivi per l’umana esistenza sia come persone sia come comunità?

È inutile sottacere quanto sia preoccupante lo scenario. Uno scenario dominato dalla paura e dall’incertezza.

Nel contesto scolastico sono gli insegnanti ad aver timore degli allievi. Sono loro a fare assenze per attacchi di ansia, ad avere mal di testa e palpitazioni appena varcato il portone della scuola. Ma quello che è ancora più sconvolgente è che hanno timore anche padri e madri, sempre più attenti a non infastidire o rimproverare o contraddire la loro creatura per evitare reazioni violente; a temere che se ne vada, che scappi, che si metta in pericolo. Una paura multiforme che blocca qualunque decisione. Negli adolescenti la paura è scomparsa perché è scomparso il senso di autorità. Non sono autorevoli né la famiglia né la scuola, ex punti di riferimento tradizionali che non danno più regole né impongono sanzioni.

E se le impongono, l’effetto è ridicolo: che cosa importa una nota, o un giorno di sospensione, se a casa non mi dicono nulla, se nel mio curriculum scolastico non cambia nulla? La percezione dell’autorità, tuttavia, non è sparita del tutto: nel gruppo dei pari età, ad esempio, o nelle bande, il leader è rispettato; qualche volta perché ha carisma e si teme il suo giudizio (“l’autorevolezza dello scafato”), più spesso perché obbliga i compagni con le minacce a compiere anche azioni riprovevoli. Ancora una volta la paura, quindi, che sempre accompagna l’autorità.

Liti fra genitori e figli ci sono sempre state: quello che fa la differenza, oggi, è soprattutto l’assoluta mancanza del senso di colpa.

Come è potuto accadere?

Bisognerebbe onestamente ammettere che tutto quello che abbiamo sostenuto dagli anni Settanta in poi – figli e genitori devono comportarsi come amici, il padre deve essere una specie di consulente – ha avuto per conseguenza questi risultati. Il frutto malato di una scelta sociale che ha condannato una educazione anche solo vagamente impositiva. Il fallimento di quella psicologia secondo la quale i conflitti sono assolutamente da evitare perché generano violenza.

È innegabile che gli adulti non sappiano più offrire ai giovani e alle nuove generazioni quanto è doveroso trasmettere: noi siamo debitori nei loro confronti dei veri valori che danno fondamento alla vita. Mettere al mondo un figlio che non ha chiesto di esistere, è in qualche modo fare un patto con lui per dimostrargli che la vita è un bene che vale la pena di essere vissuto. Ma come possiamo essere in grado di fare questo se noi adulti per primi siamo immersi nella nebbia e facciamo fatica ad orientarci?

La questione educativa è emergenziale ed è assolutamente necessaria una rinnovata consapevolezza: solo assieme potremo riuscire a fronteggiare questa drammatica crisi, recuperando unità di intenti, mettendo un argine alla sfiducia e soprattutto a quello strano odio di sé che sembra diventato una caratteristica dominante della nostra civiltà.

Cresce da più parti la domanda di un’educazione autentica e la riscoperta della necessità di educatori che siano davvero tali. Lo chiedono i genitori, preoccupati e spesso angosciati per il futuro dei propri figli; lo chiedono tanti insegnanti che vivono la triste esperienza del degrado delle loro scuole; lo chiede la società nel suo complesso perché vede minate dalla crisi dell’educazione le basi stesse della convivenza.

Pubblicità

Data:

12 Aprile 2025

Lascia un commento

Il tuo indirizzo email non sarà pubblicato. I campi obbligatori sono contrassegnati *