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Egitto: dopo aver comunicato la notizia del siluramento di Mahmoud al-Sisi.

cms_15076/2v.jpgIl primo a farne le spese è stato Shady Zalat, cronista della testata. Poi è toccato alla direttrice Lina Attallah e a due giornalisti, Rana Mahmoud e Mohamed Hamama, rei di aver dato giovedì scorso la notizia del siluramento di Mahmoud al-Sisi, figlio del presidente egiziano, che passa dal controspionaggio per la sicurezza interna del Paese a un incarico diplomatico a Mosca.

L’incubo è durato circa trentasei ore per Shady Zalat, il redattore di 37 anni arrestato sabato scorso all’interno della sua abitazione. L’operazione è partita alle prime luci dell’alba quando, quattro membri dei servizi di sicurezza in borghese hanno bussato alla porta di casa del giornalista che a quell’ora, stava dormendo con la moglie e la figlia.

I funzionari del Gis, il Servizio centrale di Intelligencedel Cairo, hanno perquisito da cima a fondo l’appartamento, poi prelevato il giornalista e il suo computer.

Da quel momento in poi per i suoi familiari e per la redazione sono cominciate terribili ore di angoscia. Di lui se ne erano addirittura perse le tracce.

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Il pomeriggio della domenica, la polizia, i militari e i servizi di sicurezza hanno continuato il loro incarico facendo irruzione nella sede del giornale ubicata al terzo piano di un palazzo nel centro della città. Hanno bloccato tutti i giornalisti (compresi due stranieri, un americano e un britannico) e le persone presenti negli uffici, hanno sequestrato i computer, i cellulari e i documenti cartacei.

Fuori, intanto, mentre gli attivisti cercavano di tenere viva l’attenzione attraverso l’hashtag #pressnotcriminal la direttrice del giornale con i giornalisti Rama Mahmoud e Mohamed Hamama erano interrogati nella vicina centrale di polizia di Dokki.

2v In realtà oggi, che tutti i giornalisti sono stati liberati, si può dire che l’azione del governo è stata più che altro una prova di forza nei confronti degli oppositori, a partire dalla tenace direttrice di Mada Masr, Lina Attalah.

L’obiettivo dell’operazione era evidentemente, quello di assestare un colpo alla testata giornalistica, una delle poche ‘spine’ nel fianco del governo egiziano rimaste attive sotto il profilo dell’informazione, ormai totalmente uniformata al regime.

Si pensi che nel 2017 il sito è stato oscurato dall’autorità nazionale delle telecomunicazioni e da allora riesce a diffondere le sue notizie e le sue inchieste esclusivamente attraverso i social network. La sua direttrice, Lina Attalah, è giovanissima e l’età media dei suoi giornalisti e redattori, venticinque persone in tutto, è ben sotto i trent’anni.

Di certo il Governo avrebbe voluto che la notizia del siluramento di Mahmoud al-Sisi facesse meno clamore e, per comprenderne le più autentiche ragioni, bisogna risalire allo scorso 20 settembre, giorno in cui una folla di giovani ha invaso piazza Tahrir, raccogliendo l’invito a ribellarsi lanciato da Mohamed Alì, imprenditore/attore ostile al regime e in esilio a Barcellona.

Nel video postato dall’imprenditore e subito diventato virale in rete, Alì aveva denunciato la corruzione regnante all’interno dell’esecutivo guidato da al-Sisi generando, nella notte tra il 21 e il 22 settembre al Cairo e a Suez diverse manifestazioni contro il governo.

In particolare al Cairo, in piazza Tahrir, la storica piazza della rivoluzione del 2011, le forze di sicurezza hanno lanciato lacrimogeni e arrestato almeno 150 manifestanti mentre a Suez ci sono stati scontri e fermi da parte della polizia.

Si può facilmente intuire quanto la protesta abbia irritato il presidente al- Sisi che per castigo, ha fatto fuori dall’intelligence il figlio Mahmoud colpevole di non aver saputo prevenire quelle proteste anti regime.

Mahmoud al-Sisi, è il maggiore dei figli del presidente, il rampollo che ha fatto carriera nell’Intelligence un tempo definita State Security Investigations Service. L’intelligence aveva al suo attivo oltre centomila dipendenti ma, dopo la rivolta diTahrir, è stata trasformata in National Security Agency ed ha incrementato la sua attività con un numero doppio di agenti e collaboratori.

Mahmoud, aveva fatto una scalata vertiginosa nell’apparato grazie al padre che, per ragioni facilmente comprensibili nell’ambito di un regime dittatoriale, l’ha fortemente voluto alla direzione dei servizi.

In realtà dopo quel 20 settembre le manifestazioni non si sono più tenute ma, la miccia innescata dall’imprenditore/attore Mohamed Alì, esiliato a Barcellona e tra i principali oppositori del regime è potente e si vorrebbe zittire, mentre il giornale incriminato Mada Masr sembra voler gettare benzina sul fuoco.

Di fatto la gola profonda, l’uomo di fiducia del presidente egiziano Abdel Fattah al-Sisi che con lui ne condivideva i segreti, lo accusa sostanzialmente di aver sottratto fondi alle casse dello Stato per costruire ville, palazzi e residenze in tutto il paese e oggi il governo trema per quelle rivelazioni capaci di suscitare la profonda indignazione del popolo.

L’uomoafferma di essere stato testimone di quegli illeciti, essendo lui stesso il costruttore per conto della Presidenza.

Si tratta indubbiamente di accuse pesanti che in assenza di carte e documenti non possono essere verificate ma che stanno fomentando un malcontento popolare forte acuito da una crisi economica profonda e un’inflazione galoppante.

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Il regime egiziano ha negato le accuse e per contro, ha fatto partire un’ondata di arresti per chi diffonde il video incriminato sui social mentre sulla testa dell’imprenditore, pende una taglia di 300 mila euro.

I video tuttavia, nonostante le restrizioni imposte dal regime, hanno milioni di visualizzazioni e il suo hashtag ” Vai via Al Sisi” supera il milione di retweet, il primo in Egitto, Kuwait e Arabia Saudita.

Mohammad Ali ha dichiarato inoltre di esser stato contattato dai servizi egiziani che gli avrebbero offerto soldi in cambio del suo silenzio, ma lui ha rifiutato e denunciato tutto sui social continuando a mobilitare i cittadini egiziani alla rivolta contro il regime e, a quanto pare, questo scontro che sta infiammando sui social, rischia di minare agli occhi degli egiziani non solo l’affidabilità di al- Sisi, già in calo per la pesante situazione economica del Paese, ma anche la stabilità del suo governo.

Dal canto suo il Presidente egiziano aveva scelto il silenzio di fronte alle gravi accuse di corruzione mosse contro di lui, ma poi ha deciso di parlare durante un congresso organizzato sul tema dei giovani rigettando le accuse di corruzione ma riconoscendo la costruzione di palazzi e ville: “Non lo faccio per me ma per il paese” ha commentato disarmante. ( Middleeasteye e Reuters).

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Mentre la rivolta incalza, il giovane rampollo Mahmoud al-Sisi si sta accingendo a fare il suo trasloco dalle stanze segrete del principale pezzo del mukhabarat (il termine arabo per indicare i servizi segreti) egiziano a un prestigioso alloggio dell’ambasciata moscovita che sarebbe previsto per i primi mesi del 2020 e potrebbe avere una durata piuttosto lunga, si parla addirittura di anni.

Data:

28 Novembre 2019