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EGITTO: UNO “STATO” DI TERRORE

Ci risiamo! Ancora una volta, siamo tristemente costretti a dover parlare delle cose terrificanti che succedono in Egitto, dove in nome della lotta al terrorismo si è ormai consolidato uno stato d’eccezione permanente, che ha soppresso diritti sociali, civili, politici. Eppure era uno dei Paesi più sviluppati del Corno d’Africa, mentre adesso è una delle peggiori dittature del mondo, dove arresti sommari e detenzioni “preventive”, che possono durare anche anni per reati politici, sono all’ordine del giorno. Ultima vittima del terrore egiziano è l’attivista ventiseienne Sanaa Seif “rapita in strada da agenti in borghese” (come riporta il Corriere della Sera) mentre si trovava davanti all’ufficio del procuratore del Cairo. Per la malcapitata è stata ordinata la detenzione preventiva di 15 giorni, in attesa del solito processo-farsa, ammesso che questo avvenga. L’esperienza empirica, però, ci porta purtroppo a dubitare persino di questo: come sta avvenendo a Patrick Zaki, l’attivista LGBT che studiava in Italia ed è stato arrestato il 7 febbraio 2020, appena sbarcato in Egitto per una vacanza, la detenzione preventiva, nel regime di Al-Sisi, non è altro che uno strumento per tenere in gattabuia i prigionieri politici all’infinito, dato che essa può essere ripetutamente prorogata a discrezione delle Procure.

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Sanaa è tra l’altro la sorella di un altro attivista, anch’egli detenuto (nella stessa prigione di Zaki): Alaa Abdelfattah. Insomma, si tratta di un vero e proprio tentativo di mettere a tacere una famiglia intera. Le accuse contro la giovane donna sono “diffusione di notizie false”, “incitamento a compiere reati di terrorismo” e “uso improprio dei social media”. Anche in questo caso, sono evidenti le analogie con il caso Zaki, sottoposto alle medesime accuse. Amnesty International, che da tempo denuncia gli innumerevoli abusi del governo egiziano, ha sollecitato quest’ultimo alla liberazione immediata dell’attivista. Purtroppo, però, è ben noto che le richieste di Amnesty rimangono sempre inascoltate dal regime, ma non solo: infatti l’Ong invia rapporti periodici all’ONU sulla situazione egiziana, chiedendo ripetutamente interventi sostanziali in difesa delle vittime, che, però, non sono mai avvenuti.

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La sorella di Sanaa Seif, Mona, ha dichiarato tramite Twitter che Sanaa “non è stata “arrestata”, bensì rapita, e il suo rapimento è stato facilitato dalle guardie ufficiali dell’ufficio del procuratore generale”.Una giovane donna a cui era toccato un destino drammaticamente simile a quello di Sanaa Seif si chiamava Sarah Hegazi. Sarah era omosessuale e attivista, ed era fuggita in Canada tre anni fa, dopo essere stata incarcerata e brutalmente torturata dal regime egiziano. Purtroppo, dobbiamo usare il passato per riferirci a lei: il 14 giugno di quest’anno, infatti, si è tolta la vita. Aveva solo 30 anni, e il dolore causatole dagli abusi subiti nel suo Paese è stato troppo forte. Il biglietto da lei lasciato prima di suicidarsi recitava: “Ho cercato di sopravvivere, ma non ce l’ho fatta”. Preghiamo tutti che almeno Sanaa Seif riesca a trovare la forza per resistere a questo infame destino.

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26 Giugno 2020