Mancano ormai poche ore all’inizio della trentaduesima edizione della più importante manifestazione italiana nel campo dell’editoria: la fiera internazionale del libro di Torino (prevista dal 9 al 13 maggio). Come di consueto, essa si svolgerà presso il centro congressi Lingotto Fiere che con i suoi vasti spazi espositivi ospiterà innumerevoli e variegate case editrici. Quest’anno però il festival è al centro di aspre polemiche per via della decisione del Comitato di Indirizzo del Salone di ospitare la casa editrice Altaforte, conosciuta per essere vicina al partito neofascista CasaPound. L’editore presenterà oltretutto il volume Io sono Matteo Salvini, intervista allo specchio.
Francesco Polacchi, responsabile della casa editrice Altaforte, in una intervista per Radio24 riportata da La Repubblica, non si pone nessun problema nell’affermare apertamente: “Sono un militante di Casapound, anzi il Coordinatore regionale della Lombardia. E sono fascista, sì. L’antifascismo è il vero male di questo paese” e aggiunge: “Ritengo che il fascismo sia stato assolutamente il momento storico e politico che ha ricostruito una nazione che era uscita perdente e disastrata dalla prima guerra mondiale. Ha trasformato una nazione che era prevalentemente agricola in una potenza industriale”. “Eravamo pronti alle polemiche – conclude – ma non a questo livello allucinante di cattiverie. Noi ci saremo perché ora è anche una questione di principio” Le conseguenze legate a questa partecipazione appaiono dunque inevitabili: molte voci contrastanti si son levate, tra cui il collettivo di scrittori Wu Ming, il saggista Carlo Ginzburg, il museo di Auschwitz, il fumettista Zerocalcare, di cui si registra l’assenza alla manifestazione.
Interessante la riflessione di Sandro Veronesi per il Corriere della Sera: “La XII Disposizione della Costituzione italiana, detta “transitoria” ma ormai anche “finale”, recita: – È vietata la riorganizzazione, sotto qualsiasi forma, del disciolto partito fascista” (“Sotto qualsiasi forma” è il passaggio chiave). La Legge Scelba del 1952, sanziona con il carcere da 18 mesi a quattro anni la ricostituzione del suddetto partito fascista nonché l’apologia del fascismo, la denigrazione dei valori della Resistenza e i metodi razzisti”.Egli dunque afferma: “Finché saranno in vigore quella Disposizione e quegli articoli di legge, sarà compito della magistratura e della Corte costituzionale individuarne la violazione e decidere di conseguenza. Poi si può manifestare, protestare e organizzare dimostrazioni di piazza per sostenere e rinforzare questi valori fondanti del nostro ordinamento, soprattutto in tempi, come l’attuale, nei quali essi sembrano sotto minaccia: ma chiedere agli autori di disertare il Salone del Libro di Torino perché tra gli editori presenti ce n’è uno che appartiene alla galassia del neofascismo italiano è un errore.”
Alla luce di queste parole risulta più chiara la decisione del Comitato del Salone che difende fortemente l’apertura della fiera alla discussione, sostenendo l’importanza del dialogo e del confronto tra voci differenti, fondamento assoluto della democrazia. Per il Comitato, infatti, così come riportato da AGI: “è compito della magistratura giudicare se un individuo o una organizzazione persegue finalità antidemocratiche. Indiscutibile il diritto per chiunque non sia stato condannato per questi reati di acquistare uno spazio al Salone e di esporvi i propri libri”.
Il dibattito appare ora ulteriormente aggravato in quanto, in queste ultime ore, è stata resa nota la notizia dell’esposto di Sergio Chiamparino, Presidente della regione Piemonte, e di Chiara Appendino, sindaca di Torino, nei confronti di Polacchi, per le dichiarazioni rese di apologia del fascismo.
A questo punto prevarrà il comune sentimento antifascista, ancorato ai tradizionali valori della Repubblica, oppure la necessità di garantire un dialogo “democratico” aperto a voci e orientamenti differenti?