Profonda la fase di stallo nel percorso di riavvicinamento tra Stati Uniti d’America e Corea del Nord. Impasse dovuta prevalentemente ai fallimentari esiti del summit di Hanoi. Trump, in tutta la sua tracotanza, si è presentato all’incontro persuaso di poter ottenere in poche e semplici, intimidatorie mosse la completa denuclearizzazione della Corea del Nord. A conti fatti, Kim Jong-un, nonostante la sua giovane età, si è mostrato piuttosto risoluto, aperto alla discussione, pur rimanendo fermo sulle sue posizioni: il capo di Stato si sarebbe dimostrato disposto alla sola chiusura del sito di processamento dell’uranio di Yongbyon. Il vertice di Hanoi si è pertanto concluso con un nulla di fatto: Trump si è rifiutato categoricamente di concedere la rimozione delle sanzioni economiche, bramata da Kim Jong-un, abbandonando il tavolo delle trattative prima del tempo.
Kim Jong-un non è rimasto indifferente: la sua vendetta si è perpetrata a danno dei principali negoziatori coinvolti. Secondo Chosun libo, quotidiano sudcoreano, Kim Hyok Chol, rappresentante della Corea del Nord per gli affari americani e capo negoziatore, sarebbe stato giustiziato insieme ad altri quattro funzionari, coinvolti nelle trattative, a marzo, all’aeroporto di Pyongyang, accusati di spionaggio per conto degli Stati Uniti. Ucciso anche l’interprete, colpevole di mancata prontezza nel comunicare una delle ultimissime proposte di Kim a Trump. Non sono stati risparmiati neanche il braccio destro e la sorella del Capo di Stato coreano, Kim Yong Chol e Kim Yo-jong. Il primo inviato in un campo di lavoro, la seconda forzata a tenere un profilo basso.
Come riportato su La Repubblica, sembra che nelle ultime settimane ci sia stato un ritorno ai test missilistici da parte della Corea del Nord, probabilmente nella speranza di sbloccare la situazione e mettere così pressione alla Casa Bianca… ma i rischi di una tale strategia non sono certamente da sottovalutare.