Con un voto a sorpresa, l’Assemblea Nazionale Costituente, il nuovo organismo legislativo voluto dal governo Maduro, ha deciso di indire le elezioni presidenziali il prossimo 22 aprile. La decisione non casuale di chiamare il paese alle urne mesi prima rispetto al previsto è sicuramente una mossa strategica a favore del presidente Maduro, alle prese con un Paese allo sbaraglio. L’opposizione della MUD (Mesa de la Unidad Democratica), infatti, considerando questa una farsa elettorale e denunciando una situazione politicamente insostenibile, rifiuta per protesta di partecipare alle elezioni, lasciando probabilmente il nome di Maduro come unico nome sulle schede elettorali.
Al momento, infatti, sembra essere soltanto una la possibile candidatura contro il presidente in carica, quella di Henri Falcόn, ex governatore dello stato di Lara, espulso per questa sua mossa dall’opposizione, il cui obiettivo è il boicottaggio di queste pseudo-elezioni. Tutto il contenzioso politico del Paese manca di trasparenza; anche la situazione delle opposizioni è complicata. Il Parlamento eletto democraticamente nel dicembre 2015, controllato maggioritariamente dai partiti di opposizione, è stato esautorato dal decreto disposto dal Ministro degli Esteri Delcy Rodriguez, convinta chavista, che riduce il Parlamento ad un foro di confronto politico e fa della neonata Assemblea Costituente il nuovo organismo deliberante con il potere di legiferare su temi di ordine pubblico, sicurezza nazionale, diritti umani, sistema socio-economico e finanze. Il decreto tiene a ribadire una “convivenza” tra Parlamento e Assemblea Costituente, ed è con lo stesso intento che la Rodriguez convoca i membri del Parlamento, in segno di democrazia, dopo che Maduro aveva definito la Costituente “l’unico potere plenipotenziario, sovracostituzionale, e originale.”
Sembra ormai che il governo Maduro abbia ben poco di democratico. Questo, potrebbe essere l’ultimo dei numerosi tentativi mossi per privare l’opposizione del potere legislativo. Si pensi ad esempio alla sentenza del 30/03/17 del Tribunal Supremo de Justicia, volta a trasferire i poteri della “Asamblea Nacional” (in mano all’opposizione) allo stesso Tribunal; decreto revocato grazie all’intervento dell’ex procuratore Luisa Ortega Diaz, oggi rifugiata politica in Colombia per aver minacciato di rendere pubbliche le testimonianze sui casi di corruzione legati alla multinazionale brasiliana Odebrecht, che avrebbero coinvolto Maduro e il suo seguito. Tra i più eclatanti attacchi alla democrazia ci sono sicuramente le elezioni del 30 luglio 2017 dell’Assemblea Costituente, indette mediante decreto presidenziale a differenza di quelle del ’99, convocate invece a seguito di un referendum.
I risultati delle elezioni hanno attribuito 538 seggi sui 545 della totalità al “Grande Polo Patriottico”, coalizione filochavista, favorevole a Maduro. L’opposizione, anche in questo caso, non ha presentato candidati e ha denunciato una manipolazione dei sondaggi sull’affluenza alle urne. Secondo l’opposizione, solo il 13% degli aventi diritto avrebbe partecipato, contro il 41,53% dichiarato dalle fonti governative. I risultati stessi sono stati fortemente contestati e non sono stati riconosciuti dalla MUD, che in data 16 luglio ha indetto un referendum popolare per far emergere il dissenso verso l’elezione della nuova Assemblea Costituente. Azione fortemente osteggiata dal governo, che lo ha definito un “atto di disobbedienza civile”. In effetti, secondo i sondaggi condotti da svariate case sondaggistiche – quali Datanalisis, Hinterlaces, Pronόstico ecc. – tra il maggio e il luglio 2017 le percentuali rosse contrarie alla Costituente risultano superare nel 90% dei casi quelle favorevoli, anche con differenze importanti. A rimostranza di questo, l’intensificarsi degli scontri, che ha fatto salire a 66 il bilancio delle vittime in metà anno. Ormai, considerata la situazione di penurie e stenti che non riguarda più solamente le favelas delle grandi metropoli, come Caracas, e le zone rurali, è appurato che Maduro perde consensi anche in quegli stessi ambienti che avevano creduto e sostenuto l’illusione socialista del suo predecessore Chávez, tanto che molti si rifiutano di associare i due nomi. Non resta che attendere i risultati delle prossime elezioni, sperando che l’intervento delle altre diplomazie possa far sentire il popolo venezuelano meno solo di quanto si senta al momento.