Era dal 2000 che negli Stati Uniti non si vedeva nulla di simile. All’epoca, George W. Bush ebbe la meglio su Al Gore grazie ad una sentenza della Corte Suprema. Oggi, Donald Trump punta a ripetere la stessa cosa, con toni, tuttavia, molto più vulcanici, esagerati per gran parte dei media americani. Mentre la gara elettorale procede voto per voto, in una battaglia che sta vedendo Joe Biden in leggero vantaggio, Trump, che il 4 novembre di primo mattino si era spinto a dichiararsi vincitore (cosa, questa, giudicata affrettata anche dai media più conservatori), non solo ha annunciato battaglia, ma è passato all’azione, con il suo comitato elettorale che si è già mobilitato per effettuare ricorsi legali in tutti gli Stati in cui Biden ha ottenuto un considerevole vantaggio dal voto postale. Proprio il voto per corrispondenza, è il grande protagonista di questa tornata elettorale: mai nella storia era stato utilizzato in maniera così ampia. Il motivo, soprattutto, è la pandemia di coronavirus, molto temuta soprattutto dagli elettori democratici, dato che i repubblicani più convinti tendono a negare la pericolosità della malattia, o, addirittura, la sua stessa esistenza.
Donald Trump ha scoraggiato il voto postale per mesi, affermando che favorirebbe brogli elettorali (cosa, questa, smentita da numerosi studi, ndr) e delegittimandone la validità. Per questo ha annunciato la sua vittoria prima che la maggior parte di essi (in gran numero favorevoli a Biden) venissero scrutinati, e per lo stesso motivo continua a chiedere di non contarli. In un suo tweet, prontamente segnalato dal social media in quanto “controverso e fuorviante”, il Presidente uscente ha scritto: “In tutti gli Stati recentemente assegnati a Biden sarà fatto ricorso legale da parte nostra per frode elettorale. Ci sono moltissime prove – basta guardare i media”. Pochi minuti dopo, ecco un altro tweet, anch’esso prontamente oscurato da Twitter, che recita: “Fermate la frode”. Trump sta chiedendo di fermare il conteggio dei voti dal momento in cui è partito lo scrutinio dei voti per posta. In verità, come evidenziato dai media americani, non sono state al momento presentate dai repubblicani prove convincenti che possano fare almeno sospettare brogli, il che in un certo senso riporta la memoria a quando Trump iniziò a parlare di un “Obamagate”, che sarebbe stato, a suo dire, “il più grande scandalo politico della storia”.
Anche allora, Trump affermò che esistessero moltissime prove, e che fosse sufficiente controllare i media per capirlo. Tuttavia, in quel caso, queste “prove” non furono mai presentate da nessuno, e le accuse ad Obama da parte dei repubblicani non trovarono conferma alcuna. Vedremo se, questa volta, gli uomini del tycoon riusciranno a raccogliere davvero delle prove, ricordando che, se il risultato elettorale dovesse arrivare davvero davanti alla Corte Suprema americana, i repubblicani vincerebbero la causa con ogni probabilità, vista la schiacciante maggioranza conservatrice presente nel massimo organo giudiziario statunitense. Tra gli Stati in cui i repubblicani hanno presentato ricorso nel tentativo di fermare il conteggio dei voti, la Georgia è stato il più celere nel dare risposta, con il giudice che ha respinto immediatamente la richiesta. In Pennsylvania, invece, un giudice aveva deciso di permettere ad alcuni rappresentanti del comitato elettorale di Trump di entrare nei luoghi di scrutinio e controllare gli scrutinatori a distanza ravvicinata di 2 metri, nei limiti delle regole di sicurezza anti-Coronavirus. La sentenza, però, è stata rapidamente corretta dalla Corte Suprema statale della Pennsylvania, che ha decretato che i rappresentanti repubblicani potranno seguire sì gli scrutini, ma da maggiore distanza. Poche ore prima, il procuratore generale della Pennsylvania, Josh Shapiro, aveva attaccato la campagna del presidente Donald Trump per aver presentato ricorso nel tentativo di fermare il conteggio dei voti. “Non permetterò a nessuno di fermare lo scrutinio. Questi sono voti legali e saranno contati”, ha assicurato. “Basta con la retorica, la campagna è finita”, ha aggiunto.
Per le strade d’America si sono riversate diverse migliaia di manifestanti, sia pro-Biden che pro-Trump. Negli Stati in cui Trump sembrerebbe star recuperando, i suoi sostenitori chiedono di contare fino all’ultimo voto, mentre in quelli in cui è in rimonta Biden, i sostenitori di Trump chiedono a gran voce di fermare il conteggio. Secondo il manager dell’ex-vicepresidente, la reazione di Trump di fronte all’evolversi del voto è “disperata”. Se è certo che i ricorsi si protrarranno probabilmente per mesi dopo che saranno resi noti i risultati finali elettorali, mentre la tensione sale a causa dei ritardi ormai clamorosi nei conteggi, ciò che sappiamo nel momento in cui viene scritto questo articolo è che gli Stati ancora contendibili sono Arizona, Nevada, North Carolina, Georgia e Pennsylvania. In Arizona il vantaggio di Biden sembrerebbe abbastanza solido, e lo stesso vale (in maniera anche più netta) per Trump in North Carolina. Degli ultimi tre Stati, presi quindi per sicuri i risultati di Arizona e North Carolina, a Biden basterebbe vincere il solo Nevada per arrivare a quota 270 grandi elettori e dichiararsi Presidente, al netto dei ricorsi successivi. Se poi Biden dovesse vincere in Pennsylvania, potrebbe persino permettersi il lusso di perdere tutti gli altri quattro Stati in bilico, chiudendo comunque a 273. Trump, quindi, vincerebbe (e ritirerebbe i ricorsi?) se dovessero colorarsi di rosso la Pennsylvania e due tra Nevada, Georgia e Arizona. È ancora impossibile dire chi sarà l’inquilino della Casa Bianca dal prossimo gennaio. Continueremo ad aggiornarvi, nella speranza che le tensioni tra le due fazioni non portino ad inutili violenze, in un Paese che negli ultimi mesi ne ha già viste davvero troppe.