Ema, Renzi: “Spero che giudice olandese sia fake news”
“Tutto il Pd sta a fianco del sindaco Sala. E speriamo che quella del giudice olandese chiamato a decidere sul ricorso sia una fake news” auspica con un tweet il segretario del Partito Democratico Matteo Renzi. “Neanche in Champions si può arbitrare una squadra della stessa nazione. Sulla partita #Ema va fatta chiarezza”. La designazione di un giudice olandese da parte della Corte europea di giustizia di Lussemburgo per la decisione sul ricorso che contrappone Italia e Olanda nel contenzioso sull’assegnazione della sede dell’Ema, afferma all’AdnKronos il sottosegretario alla Giustizia Cosimo Maria Ferri, “ci ha sorpreso anche perché la stessa Corte, dal punto di vista organizzativo, generalmente evita che un giudice si possa occupare di questioni relative al proprio Paese, anche se nel caso in questione la parte del giudizio è il Consiglio d’Europa ma è evidente che l’Olanda ha un interesse da tutelare e potrebbe costituirsi in giudizio”. “Sono certo però -osserva Ferri- che la Corte, così come prevede lo statuto, saprà garantire imparzialità e terzietà di giudizio nel valutare le istanze dell’Italia”.
“Riteniamo essenziale che il Governo italiano si attivi per creare il consenso necessario a rivedere la decisione dell’assegnazione di Ema, nell’interesse europeo di tutti gli Stati membri e dei cittadini europei, nonché per garantire la piena operatività dell’Agenzia nei tempi previsti”. Questa la richiesta rivolta al premier Paolo Gentiloni nella lettera in possesso dell’Adnkronos, firmata dal sindaco di Milano Giuseppe Sala, dal presidente della Regione Lombardia Roberto Maroni, da Diana Bracco, in rappresentanza delle imprese, e da Gianluca Vago, in rappresentanza del sistema accademico lombardo.
Ringraziando il premier e il Governo per il ricorso presentato contro l’assegnazione della nuova sede Ema ad Amsterdam, Sala, Maroni, Bracco e Vago sottolineano nella lettera che “la situazione che di fatto si è venuta a creare sta mettendo in grande difficoltà il processo di trasferimento della sede di Ema, come testimoniato dalla presa di posizione del suo direttore esecutivo nei giorni scorsi”.
Comune, Regione, aziende e mondo accademico fanno fronte comune e chiedono al Governo italiano di attivarsi. “Sarà importante che il dibattito acquisisca rilevanza nel Parlamento europeo in quanto solo da un confronto tra Parlamento, Consiglio e Commissione potrà emergere la necessità di rivedere la decisione assunta in sede di Consiglio secondo la procedura di assegnazione”, affermano.
In gioco non c’è solo la candidatura di Milano, ma la stessa operatività dell’Agenzia europea del farmaco, che potrebbe essere messa a rischio dai ritardi olandesi nel predisporre la nuova sede, con inevitabili conseguenze per il ruolo svolto da Ema.
“La farmacovigilanza è un’attività che contribuisce alla tutela della salute pubblica, sia con la valutazione dei nuovi farmaci, sia attraverso l’identificazione, la valutazione, la comprensione e la prevenzione degli effetti avversi o di qualsiasi altro problema correlato all’uso dei medicinali”, rilevano Sala, Maroni, Bracco e Vago nella lettera al premier Gentiloni.
“La business continuity è dunque un fattore essenziale, come affermavano gli stessi parametri stabiliti dalla Commissione. Chi assicura, ad esempio, che alla data finale la sede di Amsterdam sia pronta? Cosa accadrà se la continuità operativa non sarà garantita e le attività dell’Ema verranno danneggiate? Chi ha la responsabilità di questa tempistica? A fronte di tanta incertezza, la candidatura di Milano con le sue garanzie appare ancora più solida e inattaccabile”, aggiungono.
5 mesi di lavoro per pagare le tasse
Oltre a commemorare la Festa della Repubblica, il prossimo 2 giugno gli italiani celebreranno anche il tanto sospirato “tax freedom day”. In altre parole, dopo 5 mesi dall’inizio del 2018 (pari a 152 giorni lavorativi), il contribuente medio italiano avrà assolto tutti gli obblighi fiscali dell’anno (Irpef, accise, Imu, Tasi, Iva, Tari, addizionali varie, Irap, Ires, etc.) e dal 2 giugno inizierà a guadagnare per sé stesso e per la propria famiglia. A segnale la scadenza è la Cgia, l’associazione degli artigiani di Mestre, che precisa come “questo sia un esercizio del tutto astratto che, comunque, dà la dimensione di quanto sia smisurato il prelievo fiscale e contributivo dai portafogli degli italiani”.
In che modo si è giunti a individuare il 2 giugno come il “giorno di liberazione fiscale” del 2018 ? L’Ufficio studi della Cgia ha preso in esame la stima del pil nazionale di quest’anno e l’ha suddiviso per 365 giorni, ottenendo così un dato medio giornaliero. Successivamente, ha considerato le previsioni di gettito dei contributi previdenziali, delle imposte e delle tasse che i percettori di reddito verseranno nel 2018 e le ha rapportate al pil giornaliero. Il risultato di questa operazione ha consentito di calcolare il “giorno di liberazione fiscale” di quest’anno.
“Al netto di eventuali manovre correttive – afferma il coordinatore dell’Ufficio studi della Cgia Paolo Zabeo – quest’anno la pressione fiscale è destinata a scendere di mezzo punto percentuale rispetto al dato medio del 2017, per attestarsi, al lordo dell’effetto del bonus Renzi, al 42,1 per cento. Una discesa ancora troppo lenta e quasi impercettibile che, per l’anno in corso, è ascrivibile, in particolar modo, alla crescita del Pil e solo in minima parte alla diminuzione delle tasse”.
Sebbene sia in calo dal 2013, negli ultimi 25 anni il “tax freedom day” più “precoce” si è verificato nel 2005. In quell’occasione, con il Governo Berlusconi II, la pressione fiscale si attestò al 39,1 per cento e ai contribuenti italiani bastò raggiungere il 24 maggio (143 giorni lavorativi) per scrollarsi di dosso il giogo fiscale. Osservando sempre il calendario, quello più in “ritardo“, invece, si è registrato nel 2012 (anno bisestile). Ricordiamo che in quell’anno alla guida del Paese c’era Mario Monti.
Questo risultato così negativo si verificò, spiega la Cgia, perché la pressione fiscale raggiunse il record storico del 43,6 per cento e, di conseguenza, il “giorno di liberazione fiscale” si celebrò “solo” il 9 giugno (dopo ben 160 giorni lavorativi). Dal 2014 ad oggi ci siamo “svincolati” sempre prima dal pagamento delle tasse perché la pressione fiscale ha iniziato a diminuire a seguito della cancellazione della Tasi sulla prima casa, dell’introduzione del “bonus Renzi” e di una serie di misure di alleggerimento dell’Irap sul costo del lavoro, per l’abolizione temporanea dei contributi previdenziali in capo ai neo assunti con un contratto a tempo indeterminato, per il taglio dell’Ires, per la ripresa del Pil e anche a seguito del blocco delle tasse locali.
Dal 2016, infatti, va ricordato che, ad eccezione della Tari, tutte le altre imposte locali (Imu, Tasi, Irap, addizionali regionali/comunali Irpef, Tosap, bollo auto, etc.) sono state congelate per legge. “Al netto delle strepitose promesse elettorali annunciate in queste ultime settimane da una buona parte dei big politici – afferma Zabeo – entro la fine di quest’anno chi sarà chiamato a governare il Paese dovrà recuperare quasi 12,5 miliardi di euro per sterilizzare l’ennesima clausola di salvaguardia, altrimenti dal 1° gennaio 2019 l’aliquota Iva del 10 per cento salirà all’11,5 e quella attualmente al 22 si alzerà al 24,2 per cento”.
Nel 2016 (ultimo anno in cui è possibile effettuare una comparazione con i paesi Ue) i contribuenti italiani hanno lavorato per il fisco fino al 2 giugno (154 giorni lavorativi), vale a dire 4 giorni in più rispetto alla media registrata nei Paesi dell’area euro e 9 se, invece, il confronto è realizzato con la media dei 28 Paesi che compongono l’Unione europea.
Se confrontiamo il “tax freedom day” italiano con quello dei nostri principali competitori economici, solo la Francia presenta un numero di giorni di lavoro necessari per pagare le tasse nettamente superiore (+21), mentre tutti gli altri hanno potuto festeggiare la liberazione fiscale con un netto anticipo. In Germania, ad esempio, 7 giorni prima di noi, in Olanda 12, nel Regno Unito 27 e in Spagna 28. Il paese più virtuoso è l’Irlanda; con una pressione fiscale del 23,6 per cento consente ai propri contribuenti di assolvere gli obblighi fiscali in soli 86 giorni lavorativi.
Sos medici: 14 milioni di italiani a rischio cure
La salute degli italiani nei prossimi anni potrebbe essere sempre più a rischio per il “pensionamento dei medici di famiglia che nei prossimi cinque/otto anni priveranno 14 milioni di cittadini di questa figura professionale“. A lanciare l’allarme è la Federazione italiana dei medici di famiglia (Fimmg) sul proprio sito web. “Appare quasi ridicolo assistere al fatto che nessuna forza politica che aspira a governare il Paese proponga e si impegni sul tema dell’assistenza territoriale, della cronicità e della non autosufficienza – spiega Silvestro Scotti, segretario della Fimmg – in un Paese che, per caratteristiche demografiche, avrà soprattutto bisogno di un’assistenza medica domiciliare, residenziale e di prossimità”. Secondo le stime della Fimmg i pensionamenti nei prossimi 10 anni saranno 33392, quelli da qui al 2022 (anno di picco per la Fimmg) saranno 14908 e 3902 i camici bianchi che ’saluteranno’ i colleghi nel 2022.
“Per poter continuare a garantire ai cittadini italiani il diritto di essere curati tutti nello stesso modo devono essere garantiti investimenti economici sul numero e sulla qualità della formazione dei medici di medicina generale, sul personale sanitario e amministrativo nei nostri studi, sulle tecnologie – sottolinea Scotti – A questo punto la figura e la presenza del medico di medicina generale appare impotente per promuovere il vero cambiamento e allora, coraggio, chi vuole rottamare la medicina di famiglia si faccia avanti a viso scoperto e non come un ladro che ruba a piccole quantità per non essere scoperto. Ormai il buco è evidente e le impronte si cominciano a vedere. Noi non vogliamo essere dei complici silenziosi né peggio omertosi anche perché ci sentiamo, insieme ai cittadini, le vittime di tanta superficiale approssimazione”.