Scoccate da poco le ore 10 del 21 febbraio 2017, la decisione della Cassazione ha segnato un punto di arrivo nella vita di due donne madre e figlia, Cosima Serrano e Sabrina Misseri, per le quali è stato “confermato” il domicilio nelle patrie galere, dove dovrebbero restare a vita essendo stata loro comminata la pena dell’ergastolo per l’uccisione della quindicenne Sara Scazzi.
Visto che il sistema giudiziario italiano lascerebbe intravvedere uno spiraglio di “contenimento” di quella pena estrema nei più verosimili termini di una reclusione di 30 anni suscettibili di ulteriori “sconti”, magari per “buona condotta carceraria”; tutto sommato, le due donne potrebbero considerarsi fortunate per il solo fatto di avere concluso una pagina così cruciale del loro Karma in un’epoca in cui, nel nostro paese culla del “diritto”, da un pezzo risulta archiviata la pena capitale.
Comunque, al di là del moto di pregiudizi scusabili solo se rimasti al di fuori delle aule dei tre gradi di un processo indiziario, l’unica certezza sbandierata e recepibile dalle masse sembrerebbe l’auto-incolpazione dell’omicidio della povera Sara da parte dello zio Cosimo Misseri al quale non si è voluto dare alcun credito se non quello derivante dall’essere stato proprio lui a far rinvenire il cadavere della nipote quaranta giorni dopo il decesso; per cui, dovrà scontare otto anni di reclusione per l’occultamento del povero corpo di Sara lasciato a macerarsi in un profondo anfratto, nella campagna che ha visto il provetto contadino rifarsi ad una vecchia esperienza lavorativa da becchino.
Oltre al rammarico per la giovane vita stroncata in un vortice che ha coinvolto anche un intero ambito familiare non esente dai pregiudizi propri di una scarsa base culturale con contorni di vecchie ruggini in un altrettanto limitato contesto territoriale, resta la perplessità dei soliti invalicati limiti della cosiddetta “verità processuale” che lascia spazio a ritenere che, nonostante lo stesso drammatico epilogo, la realtà dei fatti avrebbe potuto configurare uno scenario ben diverso; non solo rispetto a quello macabro prefigurato in una Cosima Serrano, in età matura, che avrebbe trattenuto con la forza l’esile nipote Sara per permettere alla figlia Sabrina di strangolare la bella cuginetta rivale in amore; ma anche rispetto all’essersi lo zio Cosimo dipinto in preda a raptus sessuale che lo avrebbe improvvisato carnefice della nipote. Oggi, forse, si sarebbe potuto parlare di qualcosa di più plausibile per coscienze riluttanti a ravvisare supinamente due “streghe”, oppure un “orco”, negli sventurati protagonisti di quello che, presumibilmente nato da una lite con venuta alle mani e strattonamenti più o meno violenti, potrebbe essere stato solo un tragico incidente in cui l’esile collo di Sara Scazzi si sarebbe potuto ritrovare nella stretta fatale della tracolla del suo zainetto.
Forse, ad offrire una realtà meno raccapricciante sarebbe servito che la “scarpa grossa” insita nei geni essenzialmente contadini della famiglia Misseri non avesse chiamato in causa la presunta “finezza” di cervelli in “volo” di efferata fantasia ma, soprattutto, presumibilmente in “tilt” nell’ottundimento della paura per l’esito funesto non voluto.
Comunque sia andata, si spera che la povera Sara possa avere pace al di là dell’essere o non essere stata fatta la discutibile “giustizia” degli uomini.