E’ sempre più frequente il dibattito sul ricorso alla detenzione per i reati che destano il minore allarme sociale, per l’idoneità al recupero dei reclusi, per il sovraffollamento delle carceri, per l’eterno stigma sociale che accompagna chi ha conosciuto- anche per un breve- periodo le patrie galere.
Per coloro che lo desiderino, purtroppo non è ancora semplice ottemperare al precetto evangelico di visitare i carcerati, salvo che non si tratti di parenti del detenuto o di persone appartenenti ad associazioni di volontariato.
Né è semplice compenetrarsi nello stato d’animo di un recluso, del sentimento di vergogna, di solitudine, sovente di abbandono, di esclusione, che accompagna l‘esperienza dietro le sbarre, con particolare incisività quando si tratta di un “delinquente primario”, e non certo- per converso- quando si tratta di un malavitoso seriale.
Nelle prigioni accanto a dei professionisti del crimine, la maggior parte dei detenuti sono delle persone di scarsa cultura, tossicodipendenti, emarginati, gli “ultimi”, rispetto ai quali l’esperienza detentiva dovrebbe costituire l’ extrema ratio , al fine del recupero e del reinserimento sociale di un reo, recuperabile con misure alternative alla reclusione quali –come è noto- la semilibertà, le diverse forme di detenzione domiciliare e di affidamento in prova al servizio sociale.
Purtroppo sovente la “macchia”rimane indelebile e colpisce non solo il diretto interessato, ma anche i suoi familiari, cui è inibita la partecipazione a quei pubblici concorsi per i quali è richiesta l’appartenenza ad una famiglia”intemerata”.
Nelle carceri italiane ci sono attualmente 43.117 posti regolamentari e quasi 64.000 detenuti, con il conseguente sovraffollamento cui fa riscontro un’endemica carenza di organico del personale della Polizia penitenziaria.
I reclusi sono pertanto privi di spazi dignitosi, di servizi igienici adeguati, di reali opportunità formative, trascorrendo sovente la gran parte del loro tempo in un forzato ozio autodistruttivo, in un deprimente fluire temporale senza senso, in contrasto con i principi dell’emenda del reo e della funzione rieducativa della pena. Papa Francesco nell’incontro del 18 maggio 2024 con la comunità della Casa Circondariale di Montorio a Verona, ha affermato che “La vita è sempre degna di essere vissuta, e c’è sempre speranza per il futuro, anche quando tutto sembra spegnersi”. “Non siamo materiale di scarto“, ha proseguito – esortando i presenti a non perdere di vista la “porta della speranza“, perché “non c’è vita umana senza orizzonte“. L’esortazione che ne è seguita è quella di “non cedere mai allo sconforto” ed a considerare che l’esistenza di ciascuno come un “dono unico per noi e per gli altri, soprattutto per Dio che mai ci abbandona e sa ascoltare, gioire, piangere con noi”.
Parlando del carcere in particolare, lo ha definito un “luogo di grande umanità” ed ha proseguito soffermandosi su di “un’umanità provata, talvolta affaticata da difficoltà, sensi di colpa, giudizi, incomprensioni e sofferenze, ma nello stesso tempo carica di forza, di desiderio di perdono, di voglia di riscatto .…. Dio perdona tutto e perdona sempre! –ha concluso.
Tutto ciò premesso, ci aiuta a comprendere l’opera magna in tre tomi, dal titolo IN CARCERE DA TREMILA ANNI,Editoriale Scientifica, realizzata dal professor Antonio Parente, già dirigente del Ministero della Giustizia e docente universitario, per una storia delle carceri italiane, a partire dalla rivisitazione delle antiche prigioni di Roma sino ai giorni nostri: un lavoro enorme, suffragato non solo dal copioso materiale esaminato nell’arco di 40 anni di carriera, ma anche dall’amore di una professione vissuta con fervore e dedizione quasi missionaria.
L’opera, scritta con uno stile elegante e coinvolgente, avvince il Lettore sin dalla prima pagina, accompagnandolo in un viaggio virtuale all’interno di una realtà dove non è sempre dato riconoscere l’attuazione in concreto del dettato costituzionale di pene che” devono tendere alla rieducazione del condannato.”(art.27 cost.)
L’Autore nell’ambito di un ampio excursus storico giuridico ha esaminato le numerose diversità carcerarie esistenti in Roma(dal Carcere Mamertino a quello di Rebibbia),soffermandosi in particolare sull’importanza del diritto romano e di quello canonico, per l’elaborazione di una scienza giuridica tendenzialmente universale.”Sono del parere – avverte l’A. – che solo attraverso la storia del carcere e delle sofferenze, dei dolori, e delle tribolazioni in esso patiti si può giungere a conoscere la reale civiltà di un popolo,di una nazione Il carcere, infatti, sin dall’antichità, è stato specchio fedele della società”.
“Il grado di civiltà di un Paese –osservava Voltaire già nel 700’ – si misura osservando la condizione delle sue carceri”.
L’intendimento che ha mosso l’A. del corposo lavoro di cui si discorre , è stato quello di realizzare una sorta di opera omnia storica, per colmare vuoti e portare nuova luce e nuove conoscenze in una “materia finora riservata solamente a pochi addetti ai lavori” .
L’Excursus storico –giuridico che ne è derivato, prende le mosse dalle origini dell’organizzazione carceraria romana e della tipologia delle pene, passando poi per il Medioevo, quindi per l’Illuminismo sino all’Italia preunitaria, per arrivare all’Italia unita, alla questione carceraria, alla riforma Zanardelli, all’età contemporanea.
Non potevano mancare puntuali approfondimenti sul positivismo lombrosiano, sulla creazione dei manicomi criminali, sulla legislazione di fine Ottocento, fino ai giorni nostri.
Segue un interessante approfondimento sul passaggio dalla pena carceraria retributiva alla risocializzazione ed al recupero del reo, con una completa panoramica circa le riforme introdotte sino all’oggi, che illustra compiutamente e la figura del Penitenziario e dell’Amministrazione penitenziaria del terzo millennio.
Last but non least, un apposito tomo è dedicato alla rassegna di tutte le strutture carcerarie esistenti nel territorio italiano, ancora in funzione od ormai di mero interesse storico.
Alla storia delle carceri, dei penitenziari, delle galee, l’A. ha affiancato quella della pena di morte, delle afflizioni corporali e delle sanzioni infamanti, attraverso le quali lo Stato soleva reprimere le attività criminose.
Fondamentale, a seguire, è la ricostruzione delle finalità della pena evolutesi nel tempo, vale a dire dalla funzione prettamente punitiva a quella rieducativa.
Una trattazione condotta nelle grandi linee sulla storia degli ospedali psichiatrici giudiziari e della delinquenza minorile, completa questa corposa opera libraria , frutto di decenni di esperienze operative, di studi, di ricerche, e soprattutto di passione per una professione vissuta con spirito missionario al servizio dello Stato, a sua volta funzionale al recupero sociale, morale e civile degli ultimi. Vale a dire degli “scarti della società”, portatori anch’essi, nei recessi dell’anima, di quel barlume di dignità che Gesù ha voluto far rifulgere sino a volersi identificare Egli stesso con i carcerati:” “Ero carcerato e siete venuti a visitarmi”.