I risultati di uno studio condotto dal Policlinico San Matteo di Pavia e dal Karolinska Institute di Stoccolma dimostrano la persistenza della risposta immunitaria dopo l’esposizione naturale al Sars-Cov2
A circa un anno di distanza dalla comparsa del Sars-Cov2 risulta possibile analizzare i dati a nostra disposizione e fare una stima sull’immunità derivata dall’esposizione al virus. La tempesta mediatica che ha seguito la pandemia spesso non è riuscita a fugare i dubbi delle persone. Anzi, a volte si è creata un’inutile confusione. A riguardo della possibile immunità delle persone contagiate e poi negativizzate si è parlato molto (e prematuramente). Tre mesi, sei mesi, forse un anno: ma quanto dura realmente l’immunità?
È importante chiarire subito che non è possibile fare stime affidabili sulla durata massima dell’immunità, ma solo su quella minima. Vale a dire che, analizzando i dati a nostra disposizione, possiamo verificare se a oggi la memoria del nostro sistema immunitario è ancora attiva: non possiamo avanzare congetture sul prossimo futuro, e questo vale anche per i vaccini.
Gli anticorpi e i test sierologici
I test sierologici, ossia quelli che individuano la presenza di anticorpi nel sangue, sono stati utili per aiutare i ricercatori ad avere un quadro epidemiologico più accurato. Sappiamo infatti che il numero dei contagi reali è superiore al numero dei contagi ufficiali, per questo le indagini sierologiche hanno permesso anche di rivalutare le stime sulla letalità del virus in Italia. Quello che ci interessa, tuttavia, sono le immunoglobuline che questi test vanno a rilevare: si tratta delle IgG, IgM e IgA. Il 93% delle persone contagiate svilupperebbe (tra i sei e i venti giorni successivi all’esposizione) questi anticorpi, utili per il riconoscimento del virus.
Tuttavia, una volta che guariamo, il nostro organismo non ha più bisogno di produrre questi anticorpi. È per questo che, a distanza di qualche settimana, non è più possibile rilevarli nei test sierologici.
Per fare un esempio, dopo che contraiamo un virus (come quello che provoca la mononucleosi), a distanza di qualche giorno inizieremo a produrre le immunoglobuline necessarie a combatterlo. Una volta che l’infezione è stata superata, noi risultiamo guariti e in futuro non ci sarà più traccia di questi anticorpi nel nostro sangue. Altrimenti, avremmo continuamente questi valori alle stelle, e il nostro sistema immunitario manterrebbe una produzione alta di anticorpi come se fossimo costantemente malati.
Tuttavia, il fatto che cali il livello di anticorpi non significa che il nostro sistema immunitario abbia perso tutte le informazioni necessarie per combattere nuovamente, nel caso si ripresentasse, quello stesso virus.
Sebbene non tutti i virus ci permettono di sviluppare un’immunità più o meno permanente, nei confronti del Sars-Cov2 il nostro organismo sarebbe in grado di mantenerne una traccia, così da combatterlo rapidamente ed efficacemente nel caso di una successiva esposizione.
Quanto dura l’immunità?
Dall’inizio della pandemia, in Italia i guariti superano abbondantemente il milione. Alcune di queste persone, soprattutto quelle che si sono contagiate nella prima ondata, hanno probabilmente avuto modo di entrare nuovamente in contatto con il virus. Per capire quanto sia efficace e quanto duri l’immunità da Sars-Cov2, occorre monitorare questo campione di guariti e – semplificando al massimo – valutare in quanti si contagiano di nuovo.
Uno studio svolto in collaborazione tra il Policlinico San Matteo di Pavia e il Karolinska Institute di Stoccolma confermerebbe la presenza di cellule memoria (quelle che memorizzano tutte le informazioni sul virus e che garantiscono l’immunità) a distanza di 6-8 mesi dalla prima risposta immunitaria. Questa, come anticipato all’inizio, è la durata minima dell’immunità e si riferisce al periodo di osservazione. Per sapere se durerà più a lungo dovremo aspettare.
La probabilità di reinfettarsi si attesta sull’1,8%
I primi risultati di uno studio effettuato dal dipartimento di Virologia del Policlinico San Matteo, coadiuvato dagli ospedali di Piacenza e di Lecco, sembrano confermare l’immunità da Sars-Cov2 nei soggetti precedentemente contagiati. Il campione di riferimento è il personale sanitario di queste strutture, il quale è stato suddiviso in due gruppi: quelli che a maggio erano risultati positivi al test sierologico (1.460) e quelli che invece erano negativi (8.150). Dei 1460 che erano risultati positivi, solo in 27 si sono contagiati di nuovo (1,8%). Questo dato suggerisce che l’immunità garantita dall’esposizione naturale al Coronavirus sia nettamente maggiore a quella garantita dai vaccini che sono in arrivo (ad esempio, il vaccino Pfizer garantirebbe un’efficacia del 95%, ossia una probabilità di reinfettarsi del 5%).
Si potrebbe pensare a un patentino di immunità?
Questi dati suggeriscono inoltre che i soggetti più esposti sono quelli che non si sono mai contagiati. È proprio a loro che si potrebbero riservare le prime dosi disponibili del vaccino. Nel frattempo, affinché ci si avvii a una ripresa economica stabile e duratura, una strategia forse attuabile riguarderebbe l’esclusione dei soggetti immuni dalle restrizioni generalizzate imposte al resto del Paese.