Se esistesse un glossario di termini utilizzati più spesso di altri, “estradizione” sarebbe sicuramente tra questi. Un vocabolo, tra l’altro, di cui si ignora il significato poiché specifico di determinati contesti. Prima di contestualizzarlo, dunque, nelle nuove tensioni tra Londra e Hong Kong, una doverosa premessa chiarificatrice. L’estradizione è una forma di cooperazione giudiziaria tra Stati che consiste nella consegna di un individuo da uno Stato ad un altro. Il soggetto consegnato, rifugiatosi nel Paese dal quale viene trasferito, può essere sottoposto a giudizio penale o alle sanzioni penali se già condannato: nel primo caso si parla di “estradizione processuale”, nel secondo di “estradizione esecutiva”. Inoltre l’estradizione può essere attiva (se una nazione richiede ad un’altra la consegna di un individuo imputato o condannato nel proprio territorio) o passiva (se il territorio “ospitante” consegna il soggetto in questione su richiesta di un altro Stato).
Definito il palcoscenico, chi sono gli attori in causa e cosa stanno recitando? I protagonisti sono Londra e Hong Kong, che vedono salire le tensioni poiché il Regno Unito ha manifestato l’intenzione di sospendere l’accordo per l’estradizione. Questa controversa decisione arriva dopo l’entrata in vigore della contestata Legge sulla Sicurezza Nazionale approvata dalla Cina. Altro passo indietro, utile per collegare per bene tutti i punti. La prima delle due date cruciali per questa discussa legge è il 29 maggio: nell’Assemblea Nazionale del Popolo con 2878 voti favorevoli, 1 contrario e 6 astenuti viene approvata la proposta di questo decreto, le cui conseguenze sono state poi definite come “un Paese, due sistemi”. Un mese dopo quella che era un’ipotesi diventa realtà: la norma punisce gli atti di sovversione, secessione, terrorismo e collusione con le forze straniere. Riassumendo, per usare le parole dei cittadini dell’ex colonia britannica: toglie quasi tutte le libertà.
Nella giornata di ieri Dominic Raab, Ministro degli Esteri britannico, era atteso in Parlamento. Il nocciolo della questione era aggiornare i Comuni sui temi discussi, tra cui gli accordi di estradizione (main topic, come direbbero a quelle latitudini), e su una serie di misure ancora oggetto di valutazione (stando a quanto riportato dall’AGI). Sulla stessa lunghezza d’onda si dichiara essere uno dei leader della protesta democratica a Hong Kong, Nathan Law, fuggito di recente proprio a Londra: “Ho discusso di questo con molti membri del Parlamento e ho ricevuto un sostegno molto forte sull’idea di sospendere il trattato di estradizione con Hong Kong – fa sapere su Twitter – il cambiamento sta avvenendo”.
Come si suol dire, “non c’è due senza tre”: Ian Duncan Smith, il cofondatore della cosiddetta Alleanza Interparlamentare con la Cina, si allinea alle direzioni intraprese da Raab e Law. “Questa è la risposta alla repressione del governo cinese sulla popolazione di Hong Kong”. Molto probabilmente anche Joshua Wong la penserebbe allo stesso modo, anche se attualmente (per via delle restrizioni imposte da Pechino) si sta tenendo lontano dall’attivismo e dalle manifestazioni. A proposito di manifestazioni: l’unica che in molti si augurano di vedere è quella di unità di intenti verso la volontà di mantenere integro l’equilibrio dei rapporti tra le superpotenze mondiali.