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Facebook prima studia le nostre emozioni e poi si scusa

C’era da aspettarselo, e forse era già avvenuto e nessuno se ne era mai accorto prima. Ora, invece, il Garante della Privacy del Regno Unito ha messo nel mirino il più popolare dei social network, multandolo per essersi intromesso nella privacy di centinaia di migliaia di utenti. Facebook rischia di pagare fino a 500 mila sterline di multa se la FTC, la Federal Trade Commission, riterrà il colosso americano dei social network colpevole di aver messo il naso nei dati personali dei suoi sprovveduti utenti, attraverso un test segreto che ha manipolato gli stati d’animo sulle bacheche dei propri iscritti per analizzarne il contagio emotivo.

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La ricerca sulle “emozioni” dei milioni di utenti di Facebook è partita da alcuni ricercatori del social network, coadiuvati da esponenti della Cornell University e della University of California. Questo team di esperti-ficcanaso non ha fatto altro che alterare per un’intera settimana nel mese di gennaio 2012 un algoritmo che ha la capacità di determinare cosa viene mostrato nella bacheca di circa 700mila persone, con lo scopo di certificare che il contagio emotivo si realizza anche sul piano virtuale. I ricercatori però hanno “dimenticato” di avvisare gli utenti, i quali ignari di aver preso parte a questa indagine emozionale, hanno prodotto un flusso vorticoso di notizie e informazioni che è stato puntualmente plasmato per le finalità di questa ricerca. Interpellati sulla vicenda, i responsabili dell’azienda californiana hanno candidamente affermato che lo studio è stato effettuato con le “protezioni appropriate”, anche se poi “è normale”, spiegano, “che gli utenti siano apparsi contrariati quando la vicenda è venuta a galla”. “E comunque”, hanno aggiunto i talking heads di Facebook, “l’azienda ci tiene all’impatto emotivo di Facebook e dunque delle persone che lo usano ogni giorno, e per questo è stata effettuata tale ricerca”.

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Insomma, al di là della cifra ridicola e irrisoria comminata dall’Autorità, Facebook va paradossalmente assolto, in quanto la sua intromissione nelle nostre emozioni era dettata da nobili scopi, volti a tutelare, a migliorare e rafforzare la nostra resa incondizionata a quella che il sociologo Bauman ha definito la “società-confessionale”. La rapida ascesa di questa nuova società ha segnato il trionfo di un’invenzione moderna, la privacy, valore assoluto invocato da più parti, che, tuttavia, ha subito perso d’importanza nel momento in cui ha colonizzato la cosiddetta sfera pubblica. Facebook, e i suoi tanti succedanei diffusi sul globo terracqueo, hanno de valorizzato il senso della privacy, negando a tanti la gioia di detenere un segreto, e trasformando, per inverso, molti utenti, in esseri bramosi di condividere e gettare in pubblica piazza qualsiasi nostro celato e inconfessabile pensiero, tra cui quelli più intimi come le emozioni. Da proprietà privata a proprietà condivisa, siamo specchi riflettenti, non più in grado di attirare nessuna curiosità e interesse, qualità orami da tempo gettate in pasto al pubblico e affisse sulle nostre bacheche.

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Data:

16 Luglio 2014