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FRA DUE EPOCHE,SENZA BUSSOLA RICERCANDO LA PACE

All’inizio di quest’anno abbiamo provato a fare una analisi dei tanti problemi che affliggono il nostro tempo. Ora “L’Opinione del filosofo” si cimenta con il declino della pace, dei diritti umani e delle istituzioni internazionali, con il  ritorno delle destre, dei nazionalismi e della colonizzazione sotto forma di ricolonizzazione, mentre si moltiplicano i conflitti ed i crimini di guerra, non ultimo il genocidio.

Ci troviamo nel tempo in cui un’era non è ancora finita e il nuovo non è ancora cominciato: la pace declina, il genocidio e il piano di sterminio di un popolo -l’invasione di Gaza da parte di Israele- su un altro si intensifica, mentre scoppiano i conflitti e le guerre civili.

In questo quadro mondiale, il capitalismo mostra tutte le sue crepe e il colonialismo si rinforza. anche se si moltiplicano i tentativi per il ritorno ad un  clima che permetta  il dialogo nella comunità internazionale. Il nuovo Papa Leone XIV rimette al centro la dottrina sociale delle Chiesa promossa da Leone XIII in favore dei lavoratori e dei poveri, costruendo ponti di pace, che suscita e rinnova la speranza.

L’era situata tra la fine della Seconda Guerra Mondiale e i giorni nostri volge al termine, mentre l’Europa ha vissuto 80 anni di pace, credendo fermamente, attraverso l’istituzione di organismi nazionali e sovranazionali, che la pace fosse sinonimo di progresso e coesistenza. Così hanno creduto i padri fondatori dell’Unione Europea, ora minata dall’interno da movimenti e partiti antidemocratici e xenofobi, se non addirittura fascisti e nazisti.

Ma come siamo arrivati dall’antifascismo alla quasi-normalizzazione del fascismo? La superiorità della democrazia come forma di governo politico emerse con forza dopo la vittoria degli Alleati sul nazismo. Le organizzazioni fasciste e naziste sopravvissero in molti paesi, spesso al di fuori dello spettro politico e non sembravano rappresentare un reale pericolo per la democrazia. Persino le dittature, comprese quelle del blocco sovietico europeo, rivendicavano la legittimità della democrazia attraverso i concetti di democrazia popolare e dello sviluppo.

Anche se in Europa, Spagna, Portogallo e Grecia costituirono un’eccezione, che terminò a metà degli anni Settanta, e fuori dall’Europa esistevano dittature militari e civico-militari, il consenso sulla superiorità della democrazia e sulla legittimità dello slogan “Fascismo, mai più” non fu messo in discussione.

Le critiche alla democrazia provenivano principalmente da forze progressiste contrarie ai limiti della democrazia liberale e favorevoli a una democrazia più solida, sia rispetto ai diritti sociali che alla partecipazione dei cittadini. Tutto cominciò a cambiare con il cosiddetto “Consenso di Washington” della fine degli anni ’80 e il credo neoliberista che esso impose a livello globale, ossia lo Stato minimo, il mercato come grande regolatore economico e sociale, le privatizzazioni e la liberalizzazione dei mercati finanziari, promuovendo la globalizzazione.

Tuttavia negli anni, la legittimità della democrazia, diventata  funzionale al capitalismo, con l’aumento delle disuguaglianze sociali e il controllo dell’opinione pubblica da parte del capitalismo, soprattutto attraverso i media e il “social network”, è stata messa in crisi, mentre si indebolivano i sindacati e le organizzazioni dei lavoratori e con loro, i diritti sociali ed economici.

Dopo la crisi finanziaria del 2008, è emerso un discorso politico autoritario che ha legittimato la polarizzazione sociale e ha creato lo spazio ideologico per la formazione di partiti di estrema destra che hanno esplicitamente trasformato la democrazia in un mero strumento per prendere il potere, piuttosto che in un mezzo per esercitarlo. Oggi, questi partiti sono al governo in molti paesi, di fronte alla perdita di impegno dei cittadini, che già sembrano non credere più che vale la pena impegnarsi per un “mondo migliore”.

La critica di sinistra al liberalismo si è affievolita, sostituendo le lotte di classe con lotte identitarie prive di contenuto di classe ed è stata, a sua volta, sostituita dalla critica di destra al liberalismo, che sfocia spesso nelle “democrazie illiberali”. Il neofascismo si presenta con una parvenza democratica e sembra ora normalizzato: si impone l’urgenza di una nuova resistenza antifascista.

Se pensiamo allo “sdoganamento” della guerra in questi ultimi tempi, in questa nostra epoca, che era iniziata con il ricordo dell’orrore della guerra, in particolare delle due guerre mondiali e dei quasi 80 milioni di morti, tutte le istituzioni, le convenzioni e i trattati internazionali  erano stati concepiti per prevenire nuove guerre. Il concetto di “Guerra Fredda” fu inventato per distinguerla dalla guerra reale. Sappiamo che le guerre reali, comprese le guerre civili, continuarono ai margini del sistema mondiale, ma l’egemonia della convinzione della superiorità della pace sulla guerra contribuì a considerare questi conflitti armati come locali e a promuovere la solidarietà internazionale per porvi fine.

Sappiamo ormai che la fine della Guerra Fredda nel 1991 con il crollo del blocco sovietico segnò l’inizio di un tempo marcato dalle avvisaglie di nuove guerre calde. La NATO si espanse, estendendo il suo raggio d’azione all’Iraq e all’Afghanistan, fino all’intervento nei Balcani negli anni ’90, mentre la Russia coltivava il “mito imperiale” e l’idea della “Grande Russia”, le cui derive ideologiche e geopolitiche sono all’origine della guerra in Ucraina

Il “mito imperiale” e l’idea della “Grande Russia”, che Putin ha propagandato nella mistificazione della sua guerra, hanno origine in una precisa ed articolata elaborazione ideologica, che ha avuto una sua evoluzione nel tempo e si identifica essenzialmente in una “concezione geopolitica”, cui si è dato il nome di “neo-eurasiatismoo “neo-eurasismo”.

Teorie come quelle dello “spazio vitale” o delle “faglie di frizione”, ha finito per giustificare guerre e mire egemoniche. E queste conseguenze si rinvengono proprio nell’eurasiatismo.  Le origini della teoria si riconducono al rivoluzionario Konstantin  Leont’ev, che nell’opera  Vizantism i slavjanstvo (1875) sosteneva l’idea che la civiltà russa è modellata sulla cultura bizantina, dove prevalgono come elementi fondativi l’autocrazia e il cristianesimo ortodosso. La cultura russa per Leont’ev condanna il razionalismo e il liberalismo occidentali, e pertanto per la Russia, il futuro è unirsi ai popoli dell’Asia, il continente dei bisogni spirituali dell’uomo.

Nel 1991 al crollo dell’Unione Sovietica, il filosofo Aleksandr Dugin ha proposto una “quarta via politica”, un “neo-eurasiatismo”, fondando il “Partito Eurasiatico”, sostenendo il fallimento delle grandi ideologie storiche: il liberalismo, il comunismo e il fascismo. La nuova elaborazione propugna l’idea di riportare la Russia alla re-integrazione politica dei paesi postsovietici, nel quadro di una unione ideale tra Europa e Asia in funzione antiamericana e soprattutto contro l’Europa occidentale.

Nell’ambito della dottrina di Dugin si è poi sviluppato un altro filone ideologico, che ha elaborato più specificamente il mainstream del “complotto dell’Occidente” contro la Russia in un vero e proprio processo di rivisitazione della Storia, giustificando la continuazione della guerra in Ucraina dal 2014 ad oggi.

Tutto ciò ha contribuito a far sì che la convinzione della superiorità della risoluzione pacifica dei conflitti sia stata progressivamente sostituita dall’ inevitabilità della guerra; i bilanci militari sono ora in più rapida crescita nella maggior parte dei paesi e i leader europei dichiarano che è legittimo riarmarsi di fronte al pericolo che la guerra in Ucraina si estenda ad altri stati europei.

Da parte statunitense, non solo l’accerchiamento militare della Cina, con basi militari in Giappone, Corea del Sud, Filippine, Guam e Thailandia, ma l’imposizione di dazi che destabilizza il commercio internazionale, aumentano la polarizzazione e la possibilità del conflitto, peraltro apertamente dichiarato, in quanto entrambe le superpotenze aspirano all’egemonia sul mondo. La superiorità della guerra sembra consolidata tra le grandi potenze e l’indottrinamento mediatico la sta trasformando in un nuovo senso comune.

D’altra parte, il “Mai più l’Olocausto” sembra aver condotto ad una forma di “normalizzazione” del genocidio. L’era attuale è impensabile senza l’orrore dell’Olocausto. La liberazione e la dignità del popolo ebraico hanno segnato la nuova era. Nacque così lo Stato di Israele, anche se le ultime politiche di estrema destra del Governo israeliano hanno trasferito i costi dell’atroce crimine perpetrato dal nazismo su altri popoli, causando la prima “Nakba” del popolo palestinese.

Da allora, questo popolo occupato e martirizzato ha tenuto tra le mani, contro la sua volontà, la chiave della dignità e del destino dell’era attuale. Il genocidio di Gaza ha quindi un significato speciale.  Non basta ricorrere all’alibi dell’ ignoranza che gli europei hanno invocato quando le immagini dei campi di concentramento e le testimonianze dei sopravvissuti cominciarono a circolare nel dopoguerra riguardo al genocidio degli ebrei, perché il genocidio di Gaza viene trasmesso in diretta ogni giorno nell’indifferenza quasi totale.

Se questa è “banalità del male”, essa testimonia non solo la fine di un’era, ma segna la fine dell’era dei diritti umani, del diritto umanitario, della coesistenza fra i popoli, il trionfo della violenza e della sopraffazione come legge del più forte. Ed è questo che la comunità internazionale – e la nostra umanità non può permettersi che succeda, di fronte alla possibilità della fine del genere umano nell’annientamento della bomba atomica e nella distruzione dell’ambiente naturale in cui sia possibile vivere. Né ci rende più umani il miraggio di un trasferimento su Marte prima dell’annichilamento definitivo dell’umanità.

Come la vecchia era nacque dalla memoria del genocidio degli ebrei, il tempo attuale è segnato dal genocidio dei palestinesi. Ma, se i grandi criminali di guerra riescono quasi sempre a fuggire, lo stesso non vale per i burocrati, il cui ruolo è quello di trasformare l’orrore in banalità tecnica. Come un “Adolf Eichmann” qualsiasi che sta attualmente assicurando che la metodica distruzione del popolo palestinese continui, uccidendo ogni giorno tanta parte della popolazione per raggiungere la soluzione finale dei palestinesi, sembra difficile evitare il costo politico per chi detiene il potere in Israele. Su come verrà giudicato, la risposta sarà il segno distintivo della nuova era.

La vecchia era potrebbe concludersi con una violenza che potrebbe sfociare nella Terza Guerra Mondiale o un’ondata di guerre civili sotto forma di lotte di classe tra le masse impoverite, ma potrebbe concludersi pacificamente attraverso transizioni in molteplici settori della vita sociale, economica, culturale e politica. 

Se il movimento pacifista, che fino all’inizio di questo millennio mobilitava milioni di attivisti, fatica a far sentire la sua voce, dobbiamo tuttavia identificare i luoghi e le condizioni in cui la pace e la convivenza siano più promettenti rendendole possibili.

La nuova pace

Mentre la coesistenza multipolare è in crisi,  si sta pericolosamente imponendo una forma di  dominio unipolare imperiale la cui visione del mondo si basa sulla forza e sulla coercizione, quella del più forte sul più debole.  E tuttavia, dopo secoli di crescente interdipendenza tra i paesi, la pace può instaurarsi solo attraverso la multipolarità del mondo e il rispetto del diritto, del diritto umanitario e delle organizzazioni sovranazionali.

Quale sarà la forma finale di quelli che oggi chiamiamo diritti della natura? Attribuire diritti alla natura è già di per sé un cambiamento di paradigma, anche se si sta delineando un collasso ecologico che la politica sarà presto obbligata a prendere molto più seriamente di quanto abbia fatto fino ad ora. I “diritti della natura” non sono un’idea transitoria, mentre il principio della crescita economica infinita è giunto al termine, e con esso gli attuali modelli di consumo e di sviluppo illimitato.

D’altra parte, il segno distintivo di quest’epoca è stata la decolonizzazione politica, non per volontà delle potenze coloniali, ma per il rafforzamento delle lotte di liberazione dei popoli colonizzati. I nuovi paesi indipendenti si resero presto conto che l’indipendenza politica era limitata per le diverse forme di “neocolonialismo”, ma il desiderio di approfondirla ispirò numerose iniziative internazionali, dal Movimento dei Paesi Non Allineati (1961) al Nuovo Ordine Economico Internazionale (1974).

Tuttavia, dagli anni ’80 in poi, e soprattutto dopo il crollo dell’Unione Sovietica, le agenzie economiche multilaterali -FMI e Banca Mondiale- e la globalizzazione del capitale finanziario hanno tentato di neutralizzarono qualsiasi iniziativa volta a non uniformarsi all’ordine economico imposto dal neoliberismo.

La dipendenza dei paesi periferici si è approfondita. Nell’ultimo decennio, la rivoluzione tecnologica e la cosiddetta “transizione energetica” hanno creato una nuova disputa tra le grandi potenze per il controllo e sfruttamento delle risorse naturali, in particolare dei metalli rari, che si trovano principalmente nei paesi ex colonizzati, attraverso una forma di estrattivismo spinto, in una nuova forma di colonizzazione.

Inoltre, la nuova colonizzazione passa anche dalla ricolonizzazione delle menti attraverso il controllo linguistico e un insidioso indottrinamento promosso dalle tecnologie dell’informazione, dall’industria dell’ intrattenimento e, in ultima analisi, dall’intelligenza artificiale. Viviamo in un’epoca che apprezza il pensiero decoloniale ma pratica attivamente la ricolonizzazione.

I paesi della CELAC e la rivalità tra Cina e Stati Uniti

L’era attuale è iniziata con il mondo diviso in due blocchi con sistemi ideologici e politico-economici antagonisti: capitalismo e socialismo. Questa divisione è stata uno dei pilastri della polarizzazione politica in molti paesi, in particolare la divisione tra sinistra e destra. Con il crollo dell’Unione Sovietica nel 1991, il mondo socialista è stato confinato a pochi paesi allora considerati periferici (Cina, Corea del Nord, Vietnam e Cuba).

Nel frattempo, la Cina ha subito profonde trasformazioni, si è integrata al mercato economico globale, ha contribuito allo sviluppo degli Stati Uniti, è diventata la seconda economia mondiale e sta dando un contributo allo sviluppo di molti paesi attraverso la nuova Via della Seta.

La natura del sistema economico cinese è controversa. Si tratta di socialismo o capitalismo di Stato? La polarizzazione odierna è principalmente economica, ma è anche politica tra democrazia e autocrazia. Tutto lascia supporre che quest’epoca, iniziata con una rivalità politico-ideologica ad alta tensione, si concluderà con una rivalità tra due tipi di capitalismo, uno incentrato sulle multinazionali e sul capitale finanziario globale, e l’altro incentrato sul controllo statale del capitale finanziario e sulle decisioni economiche strategiche.

Senza una crescita infinita, non è possibile il capitalismo. Se il benessere deve essere condiviso, non solo tra gli esseri umani, ma anche tra gli esseri umani e la natura, il  capitalismo è difficilmente applicabile. In questa “contesa” si inseriscono i BRICS e le relazioni tra la Cina e i paesi di Africa, America Latina e Caraibi (CELAC) sono un segnale di multipolarità contro il dominio imperiale unipolare, sottolineando l’importanza dell’unità del Sud del mondo a fronte di un unilateralismo e di un protezionismo in crescita e questo certamente contribuisce alla pace.

Proprio in questo mese di maggio 2025 Cina e CELAC hanno inaugurato un  nuovo capitolo della cooperazione tra i paesi del sud del mondo. La cooperazione Cina-CELAC  apporta vantaggi tangibili alle comunità locali con importanti progetti nei percorsi di modernizzazione e sviluppo. La Cina e i Paesi della CELAC hanno costruito una comunità con un futuro condiviso, basata sui vantaggi reciproci, sostenendo l’apertura e l’inclusività e puntando ad apportare benefici tangibili alla popolazione. La Cina e i Paesi della CELAC sono membri importanti del Sud del mondo, ha affermato il presidente cinese: “Indipendenza e autonomia sono nostre gloriose tradizioni, sviluppo e rinnovamento sono nostri diritti naturali, equità e giustizia sono nostri obiettivi comuni”.

Chiunque segua il dibattito politico occidentale, attualmente dominato dagli Stati Uniti, sa che il pericolo maggiore è la crescita dell’influenza globale della Cina e che la grande domanda del tempo che ci aspetta, è come contenerla.

Ma la storia non si ferma e insegna che le frontiere sono superabili e il rimescolamento delle culture è già in atto.  La pace è la risposta al popolo palestinese chiuso nel fazzoletto di terra che vogliono far sparire i padroni della guerra. Quando ci sarà pace a Gerusalemme, ci sarà per tutto il mondo. Sedersi ai tavoli della diplomazia – quei pochi attivi – può sembrare irrealistico, ma le recenti, accorate espressioni di papa Leone alle Chiese orientali, e poi al Corpo diplomatico, aprono uno scenario paralizzato dal gioco dei veti e ci proiettano in un altro orizzonte, rivelato non dalla geopolitica ma dalla teologia della storia, nelle cui pieghe non è all’opera solo la logica umana. C’è da sperare tutti che sia così, c’è da sperare che la voce delle coscienze prevalga oltre le trombe di guerra, recuperando il senso profondo di un “noi” planetario.

Fine

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Data:

22 Maggio 2025

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