Chiunque può informarsi sulla carriera sportiva di Francesco Moser e dedurne che è stato la bandiera del ciclismo italiano nel mondo.
Io ho avuto il privilegio che lui accettasse i vari inviti che gli ho rivolto negli anni ad intervenire alle mie iniziative o nei programmi di cui mi occupavo.
Ho continuato a invitarlo dopo la prima volta che mi diede l’opportunità di conoscerlo come uomo semplice, dalla conversazione piacevole e che sa apprezzare la buona tavola e il buon vino.
Di indole timida e riservata in pubblico o con persone che non conosce, è una piacevolissima compagnia nei momenti privati.
Non ho mai smesso di sorprendermi del suo senso dell’umorismo, oserei dire dei suoi tempi comici.
Una parolina, una frasetta breve, tagliente, al momento giusto evidenziavano un attento osservatore dei comportamenti altrui e della realtà che spesso dissacrava.
Allo stesso tempo mi sembrava non venisse mai meno quell’aurea del campione che aveva attaccata addosso.
Lo chiamavano lo sceriffo, per la sua lucidità e per la sua capacità strategica.
Forse la sua scuola è stata la famiglia con 12 fratelli.
Ancora oggi è il ciclista italiano che ha accumulato più vittorie ed il terzo ciclista più titolato al mondo.
Abbiamo pranzato varie volte insieme e da lui ho appreso a riconoscere il vino buono; da lui che, dopo il ritiro, ha scelto di dedicarsi alla produzione di questa sublime scoperta dell’uomo.
Si, è stato anche produttore di bici ma, chissà perché, ho sempre pensato che fossero in second’ordine.
Non l’ho mai sentito parlare più appassionatamente di qualcosa di quanto lo faccia della sua campagna, della vendemmia e del suo vino.
Una passione, più che un lavoro, in cui ha coinvolto anche i figli.
Ho ricevuto da lui alcuni regali indimenticabili.
Nel 2003 i suoi impegni non gli permisero di fare da padrino alla partenza del Giro d’Italia da Lecce, ma alcune settimane dopo venne a ritirare un Premio istituito da me in un piccolo paese del Salento.
Venni a conoscenza dopo di questo fatto, quando cercai di capire perché circolava voce che avevo usato impropriamente il nome di Moser e che non sarebbe stato presente.
Arrivò 2 ore prima dell’evento, ritirò il premio dalle mani del sindaco che aveva sfidato la sorte presenziando alla cerimonia e preparandosi al peggio.
Piccolo scorcio di piccole storie di provincia.
Cenammo insieme con il suo bianco prediletto, che provvedo sempre a fargli trovare in tavola, e andò a dormire presto per poter ripartire alle 6 del mattino.
Si ritagliò, cioè, quella serata per potermi accontentare.
Una delle perle della collana di gesti affettuosi che ho avuto la sorte di inanellare nella mia vita.
Adesso che ci penso, non riesco a ricordare un incontro normale con Francesco.
Una volta doveva essere ospite di un programma della Goggi e arrivò con la giacca fradicia di pioggia, forse anche macchiata, e dovetti organizzargli una spedizione nella sartoria del Delle Vittorie per trovarne un’altra che facesse meno a pugni possibile con i pantaloni gessati.
A Firenze, quando lo presentai nel corso di uno spettacolo, improvvisai una gag con lui, che affrontò al suo meglio ma mi rimproverò di non farlo più o di prepararlo prima.
La sua autobiografia si intitola “Ho osato vincere”.
Ha scelto anche il sottotitolo: Ho vinto spesso, qualche volta ho perso, non ho mai partecipato.
Vi posso assicurare che in queste parole c’è l’essenza di Francesco, uomo schietto, semplice, lavoratore, appassionato; frutto di una sana famiglia della nostra terra.
(Le foto sono di proprietà dell’autore)