Franco Fortini, al secolo Franco Lattes (1917 – 1994), poeta, critico, saggista. Figlio di un avvocato repubblicano e antifascista, dalla finestra della sua casa di Milano vide sfilare Mussolini. Nel 1971 scriverà: «Avevo cinque anni quando vidi i fascisti picchiare / uno che non aveva salutato la bandiera». Suoi compagni di liceo furono Giorgio Spini, Giampiero Carrocci, Franco Calamandrei, Piero Santi, Alessandro Parronchi, Valentino Bucchi, Giancarlo Salimbeni, Geno Pampaloni e altri. Durante il periodo universitario fu tuttavia selezionato per la sessione di Arte ai Littoriali di Roma e scrisse anche articoli per alcuni periodici fascisti, pur coltivando amicizie esclusivamente antifasciste. Amante dell’arte tout court, fu grande poeta e grande pittore: per chi volesse approfondire, numerose sono le pubblicazioni cartacee e il repertorio critico disponibile on line. La chiamata alle armi del 1941 fu, paradossalmente, una liberazione dalla cappa opprimente che si era venuta a creare con le leggi razziali (il padre, ebreo, era stato internato in un campo e non poté più svolgere la professione). Nel frattempo entra nel Partito D’Azione e successivamente nello PSIUP. Collaborò con numerosissime riviste del tempo e, a partire dal dopoguerra, con L’Avanti. Durante una tavola rotonda che si tenne a Roma, Il PCI ai giovani!, Fortini legge privatamente all’amico il testo che aveva preparato per l’occasione nel quale affermava: “Presente e futuro dei movimenti studenteschi. Tema troppo serio per parlarne qui. Non sono qualificato per farlo (…). Qui si deve discutere invece di una carta scritta da uno dei maggiori scrittori del nostro paese./ Il mio giudizio è di tristezza e di rifiuto”. Ce l’aveva con Pasolini e col suo famoso intervento: Fortini nel ‘68 manifestò a favore del movimento studentesco. In seguito collaborerà sia col Corriere sia – e più a lungo – col Manifesto. Ma successivamente si allontanerà dalla politica militante per avvicinarsi maggiormente all’impegno letterario. Insegnò prima al liceo (suo allievo fu Angelo Branduardi, e i versi iniziali di Domenica e Lunedì sono proprio di Fortini), poi all’università. Disse di sé: “C’è in me qualcosa che allontana la gente e mi impedisce l’amicizia. La cosa si ripete negli anni con tanta regolarità che non posso imputare gli altri. Ma riuscissi a capire cos’è ed a emendarmi…“. Lo diceva a Pasolini. Prima del dissidio, ovviamente.
Eccoci dunque alla poesia A un fiorentino; appare subito evidente, in questo caso, la scelta del poeta di utilizzare assonanze e consonanze al posto delle rime (sguardo/stendardi, freccia/agghiaccia). Interessante l’uso del verbo “avviva”: non un dono del cielo, ma “i nostri anni le han fatte”, con un pleonasmo (cioè una ripetizione “anni/le han”) evidentemente rafforzativo. Un altro verbo: si spicca ha il significato di si stacca, ed è di tradizione fiorentina e dantesca.
Queste sono solo alcune pillole di una biografia che avrebbe ben altro da dire, e di una lettura evidentemente e inevitabilmente incompleta che ogni settimana intendiamo proporvi.
Le espressioni forbite e i luoghi comuni (ad es. definire Fortini figura controversa, che vuol dire tutto e niente) lì lasciamo ai gusti e alla libertà altrui.
A un fiorentino
Non è pietà dai cieli quello sguardo
che da occidente avviva i vetri, freccia
d ponte a ponte e brucia gli stendardi
che marzo scaglia e agghiaccia.
Queste sere che cadono lucenti
i nostri anni le han fatte; e sangue umano
è il raggio che si spicca del diamante
ultimo di Majano.