Per la particolare attenzione votata allo studio della condizione dell’individuo nella società e il suo conseguente rapporto con il contesto urbano, l’eminente figura americana può essere definita “l’architetto della contemporaneità”.
Nell’ambito dell’architettura e della città negli Stati Uniti, è ai valori che Sullivan aveva magistralmente interpretato che si rifà la prima opera di Frank Lloyd Wright (1867-1959), con progetti destinati a soddisfare le esigenze di una classe culturalmente raffinata, insediata nei suburbs residenziali dei ceti privilegiati. Ciò che Wright trae dall’insegnamento di Sullivan è, più che altro, un atteggiamento ideologico, cui egli dà un’interpretazione che lo mette al riparo dai fallimenti del maestro: rifarsi alla filosofia dei “padri fondatori” – all’individualismo esasperato di Thoreau, al naturalismo di Jefferson o di Emerson – comporta l’immediata identificazione di “architettura organica” con la “società organica”, significa esaltare “l’integralità del soggetto”, che, solo in quanto tale, in comunione con la Natura (letta come astrazione dal sapore settecentesco), può “ricostruire” la propria comunità (M. Tafuri, F. Dal Co, 1976, p.64).
A questo proposito si nota come il termine “natura” è utilizzato in un senso tipicamente emersoniano, l’architettura organica consisteva in un modo di costruire che traeva dalla natura modello e ispirazione. L’architettura organica di F. L. Wright può essere riassunta in sei principi fondamentali della progettazione: la semplicità e la serenità dovevano essere i criteri dell’arte: eliminare il superfluo, comprese le pareti divisorie interne; i particolari e la decorazione dovevano essere ridotti al minimo e gli impianti domestici, gli apparecchi, i quadri e i mobili integrati alla struttura. In secondo luogo, se ci fossero stati tanti stili di case quanti erano gli stili degli uomini, ciò avrebbe consentito l’espressione della personalità del cliente.
Il terzo principio collegava natura, topografia e architettura. Il quarto principio prescriveva di ispirarsi ai colori della natura e di armonizzarli con i materiali da costruzione: per questo Wright adottò il termine conventionalization, intendendo un metodo che consentisse di astrarre la forma fino agli elementi essenziali, cioè colori e forme del mondo vegetale, come fonti di motivi ornamentali. Il quinto concerneva la “natura dei materiali”: una vera architettura moderna doveva mostrare apertamente il sistema costruttivo dei suoi edifici: in ognuno di essi dovevano essere leggibili le parti portanti e quelle portate. Il sesto principio dichiarava l’esigenza di integralità spirituale dell’architettura. I principi organici che stabiliscono i punti fermi della sua architettura sono: funzionalismo, tecnologia, metafisica, intento sociale e un linguaggio delle forme architettoniche in costante evoluzione (A. Alofsin, 2007, pp.42-81).
Il “movimento organico” con il “funzionalismo” (il cui maggior esponente è Le Corbusier) sono le due grandi correnti spaziali dell’architettura moderna, ambedue sono di carattere internazionale. Il movimento organico, che ha il suo maggior esponente in un genio americano come F. L. Wright appunto, solo negli ultimi decenni del XX secolo si diffonde in Europa. Avendo in comune il tema della pianta libera, queste correnti lo intendono in un modo diverso, organicamente e con piena umanità la prima, soltanto razionalmente la seconda. L’architettura organica con Wright in America, con Aalto, gli svedesi e i giovani italiani (Carlo Scarpa), risponde ad istanze funzionali più complesse, cioè è funzionale non solo rispetto alla tecnica e all’utilità, ma alla psicologia dell’uomo. Il suo messaggio post-funzionalista è l’umanizzazione dell’architettura (B. Zevi, 1948, pp.96-99).
L’itinerario wrightiano culmina approdando nella metropoli più ostile e odiata, trampolino di lancio di tutti i movimenti accademici e reazionari che hanno conculcato le tendenze rinnovatrici del Middle West e del West, a cominciare dalla Scuola di Chicago. Il Guggenheim è un intervento urbanisticamente polemico perché denuncia l’incongruità della scacchiera newyorchese. È polemico e blasfemo rispetto alla consueta sistemazione dei musei, in quanto rigetta l’inerte meccanismo di sole scatole giustapposte, ciascuna chiusa in se stessa, non coinvolta in una fluida continuità.
È polemico anche nel rapporto museo-città, interpretato tradizionalmente come antitesi tra sacro e quotidiano, dove il sacro si distingue con una retorica scalea e con un enfatico fronte colonnato dell’edilizia ordinaria. Alla cattedrale dell’arte Wright oppone una passeggiata nell’arte, una strada affine ad un super garage, che prolunga quella della città ravvolgendosi in una spirale aperta per ricongiungersi poi al contesto urbano. All’indomani della morte del maestro, il Guggenheim subì numerose modifiche nel dosaggio della luce e nell’assetto delle opere (B. Zevi, 1976, pp.244-251).