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Furia 5S su Ermini al Csm

Furia 5S su Ermini al Csm

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Infuria la polemica dopo l’elezione alla vicepresidenza del Consiglio superiore della magistratura di David Ermini, ex deputato del Partito democratico, di cui è stato anche responsabile Giustizia. Il Guardasigilli Alfonso Bonafede va all’attacco accusando la maggioranza delle toghe di fare politica. Mentre il vicepremier Luigi Di Maio chiede: “Ma dov’è l’indipendenza?”.

L’ELEZIONE – Il plenum, presieduto dal capo dello Stato Sergio Mattarella, ha eletto Ermini al terzo scrutinio, con 13 voti. Il laico in quota M5S Alberto Maria Benedetti ha avuto 11 voti, due sono state le schede bianche. Ermini è l’unico politico di professione tra gli otto consiglieri laici eletti a luglio scorso dal Parlamento. Dopo l’elezione il neo eletto vicepresidente del Csm ha annunciato: “Ho già chiesto la sospensione dell’iscrizione al Partito Democratico perché ritengo che quando si assume un incarico istituzionale si deve essere liberi”.

LE DICHIARAZIONI DI ERMINI – Prendendo la parola a conclusione del plenum, Ermini ha detto: ’’Le cose che dobbiamo avere davanti sono la legge e la Costituzione, e il garante della Costituzione, che è il Presidente della Repubblica, al quale mi rivolgerò in modo pressante e continuo perché io possa svolgere il compito con tutta la forza necessaria’’. ’’Ognuno di noi quando arriva qui deve dismettere la casacca che aveva e rispondere solo alla legge e alla Costituzione, così sarà per me”, ha ribadito Ermini. “L’emozione è tanta”, ha aggiunto, dedicando la sua elezione al padre: “Per tutta la vita ha fatto l’avvocato, se fosse qui sarebbe più contento di me”.

FURIA M5S – La scelta di eleggere Ermini fa però infuriare i 5 Stelle. “Prendo atto che all’interno del Csm c’è una parte maggioritaria di magistrati che ha deciso di fare politica!”, scrive in un post su Facebook il ministro della Giustizia Alfonso Bonafede. ’’Non posso non prendere atto che i magistrati del Csm hanno deciso di affidare la vice presidenza del loro organo di autonomia ad un esponente di primo piano del Pd, unico politico eletto in questa legislatura tra laici del Csm’’, rileva il ministro, che ricorda: “In questi anni, da deputato mi sono sempre battuto affinché, a prescindere dallo schieramento politico, il Parlamento individuasse membri laici non esposti politicamente. Una battaglia essenziale, a mio avviso, per salvaguardare l’autonomia della magistratura dalla politica’’. Ma ’’evidentemente sta a cuore più al ministro della Giustizia che alla maggioranza dei magistrati’’. ’’Nulla di personale nei confronti del neo eletto vicepresidente David Ermini – precisa Bonafede – a cui faccio i migliori auguri di buon lavoro. Continuo a credere che il rapporto tra il ministero e il Csm sia fondamentale per il buon funzionamento della giustizia e mi impegnerò sinceramente. Ma ci sono atti che hanno un significato politico che non può essere ignorato”.

Duro anche il commento del vicepremier Luigi Di Maio : “È incredibile! Avete letto? Questo renzianissimo deputato fiorentino del Pd è appena stato eletto presidente di fatto del Consiglio Superiore della Magistratura. Lo hanno votato magistrati di ruolo e i membri espressi dal Parlamento. Ma dov’è l’indipendenza? E avevano pure il coraggio di accusare noi per Foa che non ha mai militato in nessun partito. È incredibile”. “Ermini è stato eletto a marzo, si è fatto 5 anni in Parlamento con il Pd lottando contro le intercettazioni: la riforma che abbiamo bloccato era proprio la sua. Ora lo fanno pure presidente. Il Sistema è vivo e lotta contro di noi”, chiosa il leader 5 Stelle.

LA REAZIONE DEL PD – Dal Pd il segretario Maurizio Martina commenta così la reazione dei 5 Stelle all’elezione di Ermini: ’’Ci sono dichiarazioni gravissime da parte di autorevoli rappresentanti di governo sul Csm. Addirittura il ministro della Giustizia. Dimostrano in questo modo – sottolinea – di non avere alcun senso dello Stato. Il governo rispetti la Costituzione e l’organismo di autogoverno della magistratura’’.

RENZI: “LO HA VOTATO ANCHE DI MAIO” – “Di Maio urla che l’elezione del vice presidente del Csm è un complotto di Renzi e del Pd. Allucinante”. Lo scrive Matteo Renzi su Facebook, che in un post riepiloga “i fatti: 1. David Ermini è stato eletto al Csm anche coi voti del Movimento Cinque Stelle (723 parlamentari!). Oggi Di Maio grida al complotto, ma in aula lo ha votato anche lui. Un complotto a sua insaputa?”.

“2. Ermini – prosegue l’ex premier e segretario del Pd – è diventato vice presidente del Csm grazie al voto dei togati. Che a loro volta sono stati eletti dai giudici di tutta Italia. I togati dovevano scegliere tra due professionisti del diritto: uno eletto dal Pd, uno scelto dalla Piattaforma Rousseau. Non è pensabile dire che se vince Rousseau è democrazia, se vince uno del Pd è complotto. 3. Tutte queste decisioni sono state prese dopo le elezioni politiche del 4 marzo. Data che secondo Di Maio segna la mia fine politica. Dunque: perché mi attacca ancora?”.

“La verità – conclude – è che Di Maio non è più lucido. Ieri mi ha dato dell’assassino, oggi attacca i giudici italiani. Capisco lo stress di lavorare, specie per chi non vi è abituato. Ma Di Maio dovrebbe ricordarsi che le procedure del Csm sono definite da una Legge Fondamentale che si chiama Costituzione. Continuano ad attaccare le Istituzioni, senza pietà. Bisogna reagire. Perché chi tace è complice”.

Mediobanca, Bolloré esce dal patto di sindacato

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Il gruppo Bolloré ha deciso di uscire dal patto di Mediobanca, sfruttando la finestra di settembre per la disdetta anticipata che si sarebbe chiusa tra qualche giorno. “Il presidente dell’accordo per la partecipazione al capitale Mediobanca informa di aver ricevuto da Financière du Perguet (gruppo Bolloré), titolare di n. 69,7 mln azioni pari al 7,9% del capitale, lettera di disdetta anticipata con efficacia primo gennaio 2019”, spiega una nota di Mediobanca.

Pur uscendo dal patto di sindacato, il gruppo Bolloré precisa che manterrà la sua quota, pari a circa il 7,9% del capitale di Mediobanca. Ed esprime “soddisfazione per gli eccellenti risultati conseguiti dal gruppo Mediobanca, convinto sostegno all’attuale strategia e pieno supporto al suo management”. Dopo quasi vent’anni di adesione all’accordo, “la scelta è collegata al crescente impegno finanziario del gruppo Bolloré in Vivendi (la cui quota di possesso è cresciuta in 12 mesi dal 20,6% al 26,2%) e all’obiettivo di utilizzare con maggiore flessibilità i suoi asset”, spiega la nota.

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Senza il gruppo Bolloré, che aderiva con il 7,9%, il patto si scioglierà automaticamente il 1 gennaio 2019. Secondo quanto si apprende, fino al 31 dicembre la situazione resterà ferma. Al momento le ipotesi più concrete per il futuro di Mediobanca sono due: o la creazione di un patto light al 20% circa con una durata minima di due anni, che accompagni il board fino al 2020, quando si rinnoverà il consiglio. Oppure la fine del patto, a gennaio, e l’inizio di una governance da public company per Mediobanca, cosa a cui la banca sta lavorando da tempo, con uno statuto già pronto per questa evenienza.

Fonti a conoscenza della situazione raccontano dello “stupore” in Mediobanca per la decisione inattesa del finanziere bretone. La lettera con la disdetta del gruppo francese è arrivata ieri sera ad Angelo Casò, presidente dell’assemblea del Patto. Oggi la riunione del patto è durata meno di due ore e non si è parlato di patto light o altre ipotesi. L’intenzione dei soci sarebbe quella di prendere tempo, e un’altra riunione dovrebbe essere convocata a stretto giro, comunque entro la fine di novembre, per prendere una decisione.

A ogni modo, fanno notare le stesse fonti, un patto light non avrebbe senso senza Unicredit e la sua quota dell’8,4%. Con l’uscita di Italmobiliare e Bolloré, il patto è sceso da circa il 28,5% al 19,6%. La sua soglia di validità era stata fissata al 25%.

Genova, ecco la bozza del decreto

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Il decreto legge per l’emergenza, legata al crollo del ponte Morandi a Genova, è stato inviato al Quirinale, dove ora verrà esaminato dal Presidente della Repubblica, Sergio Mattarella, e dai suoi uffici prima dell’emanazione.

I FONDI – Il comma 6 dell’articolo 1 contiene le disposizioni sugli interventi urgenti per il sostegno e la ripresa economica del territorio del Comune di Genova, dopo l’emergenza creata dal crollo del viadotto. “Il concessionario del tratto autostradale alla data dell’evento, tenuto (…) in quanto responsabile dell’evento, a far fronte alle spese di ricostruzione dell’infrastruttura, entro trenta giorni dalla richiesta del Commissario straordinario” dovrà versare “sulla contabilità speciale le somme necessarie al ripristino e alle altre attività connesse“. Ma in caso di omesso versamento nel termine previsto o di ritardi il Commissario straordinario per la ricostruzione di ponte Morandi a Genova “può individuare un soggetto pubblico o privato che anticipi le somme necessarie alla integrale realizzazione delle opere, a fronte della cessione pro solvendo della pertinente quota dei crediti dello Stato nei confronti del concessionario alla data dell’evento”. Inoltre per assicurare l’avvio rapido delle attività del Commissario: “in caso di mancato o ritardato versamento da parte del Concessionario – è scritto nel decreto – a garanzia dell’immediata attivazione del meccanismo di anticipazione è autorizzata la spesa di 30 milioni annui dall’anno 2018 all’anno 2029”.

AIUTI ALLE IMPRESE – Alle imprese che “hanno subito un decremento del fatturato rispetto al corrispondente periodo dell’anno 2017, è riconosciuta, a domanda, una somma fino al 100 per cento del predetto decremento e nel limite massimo di euro 200.000. I criteri e le modalità per l’erogazione delle somme, nel limite complessivo di euro 5 milioni per l’anno 2018, sono stabiliti dal Commissario delegato”. Si legge nel testo del Dl Genova che all’articolo 4 riporta le misure a favore delle imprese, “aventi sede operativa all’interno della zona delimitata” ma anche dei professionisti, artigiani e commercianti con sede nella stessa zona “che nel periodo dal 14 agosto 2018 alla data di entrata in vigore del decreto” hanno subito un decremento del fatturato in conseguenza del crollo di ponte Morandi e della conseguente creazione della zona rossa di sicurezza, interdetta. Il decremento di fatturato può essere dimostrato mediante dichiarazione dell’interessato accompagnato dall’estratto autentico delle scritture contabili attinenti ai periodi di riferimento. “In deroga agli articoli 4 e 22 del decreto legislativo 14 settembre 2015 n. 148, a decorrere dalla data di entrata in vigore del presente decreto e per gli anni 2019 e 2020 – prevede l’articolo 44, in tema di Cigs prevedendo la cassa integrazione straordinaria per le aziende in cessazione dell’attività produttiva -, può essere autorizzato sino ad un massimo di dodici mesi complessivi, previo accordo stipulato in sede governativa presso il Ministero del lavoro e delle politiche sociali, anche in presenza del Ministero dello sviluppo economico e della Regione interessata, il trattamento straordinario di integrazione salariale per crisi aziendale”.

IL COMMISSARIO – I lavori di ripristino dopo il disastro di ponte Morandi a Genova, ma anche tutte le attività propedeutiche e connesse, si legge sul comma 7 dell’articolo 1 del Dl Genova, saranno affidati dal commissario straordinario “a uno o più operatori economici che non abbiano alcuna partecipazione, diretta o indiretta, in società concessionarie di strade a pedaggio, ovvero siano da queste ultime controllate o, comunque, ad esse collegate, anche al fine di evitare un indebito vantaggio competitivo nel sistema delle concessioni autostradali”. “L’aggiudicatario costituisce – si legge ancora nel testo, la cui bozza definitiva è allo studio del Quirinale – ai fini della realizzazione delle predette attività, una struttura giuridica con patrimonio e contabilità separati”.

STRUTTURA DI SUPPORTO – “Per l’esercizio dei compiti assegnati – si legge nell’articolo 1, al comma 2 -, il Commissario straordinario si avvale di una struttura di supporto posta alle sue dirette dipendenze, costituita con decreto del Presidente del Consiglio dei ministri e composta da un contingente massimo di personale pari a venti unità, di cui 19 unità di personale non dirigenziale e una unità di personale dirigenziale di livello non generale”. Il nuovo commissario sarà nominato con un decreto del Presidente del Consiglio da adottarsi entro dieci giorni dalla data di entrata in vigore del Dl Genova e sentito il Presidente della Regione Liguria.A comporre la task force che ne supporterà il lavoro saranno “dipendenti di pubbliche amministrazioni centrali e degli enti territoriali, previa intesa con questi ultimi, in possesso delle competenze e dei requisiti di professionalità richiesti dal Commissario straordinario”.

IL PERCORSO – Il dl è stato bollinato dalla Ragioneria Generale dello Stato e ora è al vaglio del Colle, come confermato dal vicepresidente del Consiglio Luigi Di Maio da Bruxelles. “Mi ha scritto” il presidente del Consiglio Giuseppe Conte, ha riferito il capo politico dei 5 Stelle, “dicendomi che c’è stata la bollinatura del decreto Genova, che è un decreto più ampio. Ci sono le misure per il Centro Italia e la cassa integrazione per cessazione d’attività per i lavoratori di Bekaert”, gruppo belga che ha annunciato nello scorso giugno la chiusura del sito produttivo di Figline e Incisa Valdarno, che produce rinforzi di acciaio per pneumatici.

Nel decreto Genova, ha aggiunto Di Maio, “ci sono le norme per Ischia”. Le parti del decreto che riguardano il Centro Italia contengono “il nuovo commissario per il terremoto del Centro Italia e quelle norme che permetteranno ad Amatrice, ad Accumoli e ad altri Comuni di riprendersi più velocemente”.

Da ottobre luce +7,6% e gas +6,1%

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Rincari in arrivo per le bollette di luce e gas. Pur in presenza del blocco degli oneri generali elettrici, annuncia l’autorità per l’energia (Arera), da ottobre la spesa per l’energia per la famiglia tipo in tutela registrerà un incremento del 7,6% per l’energia elettrica (+1,5 cent€/kWh) e del 6,1% per il gas naturale (+4,78cent€/Smc) rispetto alla spesa del terzo trimestre.

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28 Settembre 2018