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GASDOTTI E COOPERAZIONE INTERNAZIONALE – L’economia UE, nel lungo periodo, necessita di energia a basso prezzo

Oggi, agosto 2024, l’Europa Occidentale continua a ridurre gradualmente le importazioni di  gas da quella Orientale. Nessuno si è ancora posto il problema di cosa accadrà quando la crisi nel Donbass sarà finita. Se  il governo dell’Ucraina, in pieno conflitto armato con quello della Federazione Russa, continua a a far transitare gas russo e lucrare sui diritti di passaggio, non c’è alcuna ragione perché non riprenda a farlo a conflitto concluso. Ma qui non vogliamo considera le conseguenze delle beghe di breve periodo, ma le scelte di lungo periodo.

Si dice che il politicante pensa solo alle prossime elezioni, lo statista pensa anche alle prossime generazioni. Sembra evidente che l’Europa (da Gibilterra agli Urali) abbia un gran bisogno di statisti.

Quando alcune tecnologie oggi in erba giungeranno a completo sviluppo, tra qualche decennio, forse l’Europa Occidentale potrà gas ed esportarlo verso quella Orientale. Una obiezione possibile è che l’Europa Occidentale finora ha solo importato, ma se la crisi economica della UE, generata dalle scelte politiche delle istituzioni UE, continua è assolutamente possibile che la UE sia costretta a farlo.  I violenti scontri in Gran Bretagna tra autoctoni e non, previsti e prevedibili, sono un pessimo segnale di conflitti interetnici, di cui la Jugoslavia è stata un antesignano. E i conflitti su un territorio generano sempre solo povertà, come quello tra ucraini e russi entro i confini ex-sovietici dell’Ucraina, confini disegnati a suo tempo senza tener conto della presenza di una fortissima minoranza russa prevalentemente nella zona orientale.

Lo sviluppo economico dell’umanità ha sempre implicato e si è basato su un continuo aumento dei consumi energetici pro-capite, ottenuto tramite l’uso di nuove fonti di energia, con un processo di crescita parallela dei beni prodotti e del consumo energetico.

E’ irrazionale credere che una parte dell’umanità accetti di stare economicamente peggio della parte restante (la scontentezza anima di tutte le rivoluzioni, ir icchi la chiamano invidia), ne segue che lo stimolo alla crescita economica sarà sempre presente e attivo in tutti gli Stati poveri, fino a raggiungere il livello di parità con gli Stati più ricchi. Quando lo stesso livello di consumo di energia pro-capite, ora raggiunto nei paesi economicamente sviluppati e ad alta produzione industriale, si estenderà a tutta l’umanità, avremo (in realtà lo abbiamo già adesso, ma sarà in misura maggiore) un problema di sostenibilità ambientale ed energetica come mai l’umanità ha avuto prima.

Il dilemma è che la filosofia della “crescita economica continua” ha risolto nella seconda metà del XX secolo un problema apparentemente insolubile senza una rivoluzione sociale che comportasse una non iniqua distribuzione della produzione di beni: quello del raggiungimento di un certo livello di benessere della classe povera.

E’ certamente molto più facile per una classe dirigente gestire una società dove una crescita continua dell’energia (e del benessere) disponibili consente di far crescere anche la ricchezza assoluta pro-capite nelle classi povere (anche se quella pro-capite delle classi ricche cresce ben più rapidamente), che gestire una società a stock di capitale e produzione  costante, dove le ricchezze dovrebbero (secondo giustizia) essere ridistribuite recuperando dai ricchi ciò che l’organizzazione sociale ha dato loro per ridarlo ai poveri.

E’ questa crescita continua di energia disponibile a basso prezzo la “vera” soluzione che consentì di aggirare lo scoglio dei conflitti di classe del XX secolo; e anche solo immaginare che la crescita cessi per carenza di energia, costringerebbe le classi dirigenti a riaffrontare il problema della giustizia sociale, che si ripresenterebbe alla loro porta. E chi mai vorrebbe farlo, quando persino gli USA, la superpotenza economica mondiale del XX secolo, sono sempre sull’orlo di una crisi finanziaria? Crisi, nota bene, senza agganci con il mondo reale e con l’economia dei beni, prodotti e servizi. Crisi dovuta anche all’agire del 2 % più ricco (negli USA rappresentato dai percettori dei redditi più alti, dai manager delle aziende, ecc.) per non ridistribuire la ricchezza. Ricchezza accumulata sfruttando alcuni meccanismi insiti nello sviluppo economico globale, e non certamente frutto del proprio sudato lavoro.

La crescita dei consumi energetici, in termini relativi e assoluti, è particolarmente rilevante nei paesi un tempo definiti “in via di sviluppo”. In essi lo sviluppo dell’industria, delle comunicazioni e dei trasporti produce una crescita della domanda energetica consistente. Se questa crescita non potrà svilupparsi fino a raggiungere i livelli raggiunti nei Paesi di prima industrializzazione, si riprodurranno in quei Paesi le tensioni politiche e sociali dell’inizio del XX secolo.

Nel 2009 nel mondo è stata consumata una quantità di energia pari a 11.164 milioni di tonnellate equivalenti di petrolio, corrispondenti a 15,2 Terawatt (1 TW = 1012W) di potenza forniti con continuità per tutto l’anno. Il consumo energetico italiano corrisponde ad una potenza di circa 260 GW, di cui 42 GW di potenza elettrica (16% circa del totale). In tale ipotesi ogni italiano avrebbe quindi consumato, in media, circa 4,3 kW per 24 ore al giorno, 365 giorni l’anno (questo consumo può sembrare altissimo, ma in esso vanno inclusi anche il riscaldamento, e i trasporti individuali e collettivi).

Ma poiché la crescita economica senza ridistribuzione della ricchezza appare come l’unica soluzione apparentemente praticata dalle classi dirigenti, la crescita dei Paesi più sviluppati dovrà continuare, mentre quella dei Paesi meno sviluppati continuerà a rincorrerla, e quindi ci si doveva  aspettare che i 15 TW  del 2009 saranno abbondantemente superati; con buona pace del limite di 1,5ºC di incremento della temperatura globale per il 2100 (attualmente la stima del rialzo, a comportamenti invariati, è di +4ºC). Occorrerebbero tanti distinguo, ma nel 2023 il consumo di energia mondiale ammonta a circa 130 Twh; la crescita è confermata, e non ci sono segni di diminuzione.

Le fonti di energia disponibili fino a due secoli fa forniscono oggi solo il 2% dell’energia consumata (questo significa che il relativo benessere odierno è dovuto all’aver moltiplicato per circa 50 volte i consumi rispetto all’epoca della sola legna da ardere); i combustibili fossili forniscono oggi circa  l’87% del consumo mondiale. Il problema energetico (e dell’inquinamento da residui della combustione) si risolverà radicalmente solo facendo crescere spaventosamente la quota di rinnovabili, ma la crescita non sembra veloce quanto necessario, e l’informatizzazione anziché ridurre i consumi li sta aumentando.

Dobbiamo quindi ipotizzare che, per 2-3 decenni almeno, il processo di combustione diffusa, con relativa dispersione dell’atmosfera dei gas prodotti, continuerà in tutto il mondo. E con tutta probabilità anche dopo.

Non esiste finora, o non è stata ancora scoperta, una fonte energetica che abbia la stessa densità di energia, in termini di J/kg, degli idrocarburi. E che abbia le stesse caratteristiche di comodità di trasporto, sicurezza, e soprattutto conservazione nel tempo (il petrolio è lì da milioni di anni). Persino in un mondo “verde” sarà comunque necessario, e conveniente, produrre idrocarburi di sintesi ricavati dal biossido di carbonio (disperso nell’atmosfera e raccolto nelle centrali dove i combustibili saranno bruciati) usando energia rinnovabile. In realtà non avremo forse mai una economia all’idrogeno (troppo costoso da immagazzinare e distribuire), ma più probabilmente una economia a gas, o a idrocarburi, di sintesi.

Produrre combustibili raccogliendo biossido di carbonio dall’atmosfera sarà comunque una realtà concreta perché, a questo ritmo di consumo dei combustibili fossili, l’accumulo di biossido di carbonio nell’atmosfera sarà nel 2100 talmente imponente da renderne consigliabile (se non indispensabile) il recupero. Come l’inquinamento attuale è frutto dell’attività nel corso di decenni e secoli di miliardi di piccoli dispositivi (bruciatori, motori, focolari) ognuno dei quali brucia combustibili fossili e scarica nell’atmosfera i prodotti di scarto, così l’atmosfera (quasi) pulita futura sarà frutto di un impegno continuo di depurazione di miliardi di piccoli sintetizzatori che dal biossido di carbonio atmosferico producano molecole organiche reimpiegabili (metano, glucosio, cellulosa).  Ne esistono già, e si chiamano alberi, ma per i bisogni della specie umani sono poco efficaci.

L’unico tipo di energia disponibile in quantità e ovunque, che possa essere impiegata in una miriade di questi impiantini, è quella fotovoltaica; anche perché ad essa dovrebbero essere dedicate aree non agricole.  E le molecole di più facile (meno energivora) sintesi sono proprio quelle più semplici, vale a dire quelle dei gas con molecole più leggere (metano, etano, ecc.); esistono già realizzazioni molto interessanti, e se questo tipo di ricerca sarà finanziato almeno quanto altre chiaramente di nicchia (biocombustibili, distribuzione diretta di idrogeno) i risultati verranno.

Sono le stesse molecole di gas che arrivano (arrivavano?)  e dovrebbero continuare ad arrivare per tutto il XXI secolo, dalla Russia all’Europa occidentale tramite gasdotti. Molecole che in futuro, se prodotte in una miriade di luoghi, potranno essere inviate anche in Russia.

Anche se oggi la rete di gasdotti serve solo a trasportare il gas estratto dai pozzi dell’Europa orientale verso Ovest, tra qualche decennio è possibile che serva a trasportare verso Est il gas di sintesi prodotto dove batte il sole. Comunque dei gasdotti non potremo fare a meno. Esattamente come oggi non potremmo fare a meno degli elettrodotti, o degli acquedotti.

In prospettiva di lungo periodo questa visione dell’evoluzione della rete gasiera va ben tenuta in conto, quando si discute della progettazione di una rete di gasdotti, anzi del singolo gasdotto. La durata di vita di un gasdotto è infatti tale che è perfettamente possibile che il flusso di gas possa, nel corso del tempo, anche invertirsi nello stesso impianto.

Una più accurata valutazione (attuata 30-40 anni fa) del problema delle scorie nucleari, e della gestione del rischio nucleare, e dei costi connessi, avrebbe consentito forse di non far intrappolare società intere nella “nassa” nucleare. L’industria nucleare purtroppo non è riuscita a offrire il basso costo che si ipotizzava all’inizio dello sviluppo del settore, ma gli investimenti sono stati così cospicui che adesso uscirne sarà costosissimo, e richiederà decenni. E anche altri paesi stanno entrando nella nassa.

Similmente nella progettazione della rete di gasdotti europea occorre quindi anche considerare da oggi la rete (per un futuro non troppo lontano) non solo come un trasportatore da Est a Ovest, ma anche come un sistema complesso di ridistribuzione del gas prodotto localmente in tutta l’Europa.

In tal modo si guadagnerebbe la flessibilità di gestione necessaria per fronteggiare anche le esigenze del prossimo futuro. Con risparmi dell’ordine di decine di miliardi.

Altro aspetto da considerare ineludibilmente è l’affidabilità: una rete energetica così importante deve garantire il suo buon funzionamento per il 100% del tempo senza interruzioni. Questo si otterrà anche prevedendo tronchi doppioni, e tronchi (apparentemente superflui oggi) necessari per garantire una certa “ridondanza”. Verrebbe quindi a cessare il conflitto tra due ipotesi, se la costruzione di ambedue si traducesse in una maggior affidabilità delle fornitura.Ed è la stessa necessità strategica di affidabilità delle forniture che spingerà gli stati senza energie fossili alla sintesi di idrocarburi domani, al trasporto  tramite gasiere oggi.

Inoltre sarebbe possibile e conveniente realizzare tubature più piccole, e meno costose, poiché lo stesso lusso di gas sarebbe diviso tra un numero di collegamenti maggiore. Quanto maggiore il numero dei collegamenti, tanto minore il diametro dei tubi, e l’influenza della quota di costo complessivo del gasdotto per metro cubo di gas potrebbe anche diminuire. Probabilmente esiste una configurazione della rete di gasdotti europea che, mantenendo l’affidabilità al 100%, minimizzerebbe i costi complessivi.

Oggi l’economia UE dipende da importazioni che risultano molto più costose di quella dall’Europa Orientale. Ciò è economicamente insostenibile nel lungo periodo. Prepariamoci quindi a una riattivazione dei collegamenti tra Est e Ovest, sempre che il gas a basso prezzo non vada ancora più ad Est, fornendo un ulteriore vantaggio economico alle produzioni asiatiche, e impoverendo ulteriormente l’area UE.

Data:

10 Agosto 2024